28. Gli amanti della Via Lattea.

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Erano già passate due settimane da quando Noah era sparito e, nonostante la presenza di Ryan alleggerisse il peso che tenevo nel petto, questo non bastava a farmi stare bene veramente.

Mi toccava ammettere che Ryan fosse una delle persone migliori che io avessi mai conosciuto in diciotto anni, ma questo mi ricordava solamente quanto lui e Noah fossero diversi.
Non fraintendetemi, non intendo che Noah non fosse una brava persona, ma lui e Ryan erano praticamente agli antipodi.

Trascorsi molti giorni in compagnia di Ryan, ma tornavo a casa da sola ogni notte.
Percorrevo quella stradina deserta illuminata da lampioni malfunzionanti fino alla fermata dell'autobus più vicina, mi accomodavo in uno degli ultimi posti e sceglievo una canzone che rispecchiasse il mio stato d'animo spento.
Raggiungevo il vialetto di casa, aprivo la porta e salutavo Ade.
Mi struccavo svogliatamente, gettavo a terra i vestiti che avevo appena tolto ed indossavo il pigiama.
Rileggevo la lettera che Noah mi aveva scritto qualche giorno prima di sparire, gli mandavo il messaggio della buonanotte come ogni sera -nonostante non avessi mai ricevuto risposta- e mi addormentavo piangendo nella speranza di svegliarmi l'indomani consapevole del fatto che lui fosse ancora con me, che avessi immaginato tutto.
Ma non era così, non lo era mai.

La mattina seguente mi svegliavo sempre con il fiatone, erano tornati gli incubi.
Le lacrime della notte precedente rendevano i miei occhi rossi e pesanti e neanche una doccia calda riusciva ad aiutarmi.
Avevo sviluppato una specie di dipendenza per Noah e da quando non era più con me, tutto sembrava precipitare.
Avevo bisogno di lei, l'unica persona che mi avrebbe aiutata veramente, così composi il suo numero ed attesi una risposta che non tardò ad arrivare.

«Faith?» chiese stranita con la voce impastata dal sonno, così guardai l'orologio. Erano le nove del mattino e Paige era solita svegliarsi alle cinque, possibile stesse ancora dormendo?

«Ma stavi ancora dormendo?» chiesi a voce bassa, non perché temessi di disturbarla, ma perché non avevo le forze di alzare il tono.

«Oh...beh sì, stavo dormendo. Sai, qui stanno succedendo un po' di cose quindi ultimamente vado a letto un po' più tardi del solito» mormorò sbadigliando. Mi mancava la sua voce soffice. Avrei voluto dirglielo, ma un conato mi attraversò la gola costringendomi a chinarmi contro il gabinetto.

«Faith? Va tutto bene?» si allarmò mia sorella, scattando sull'attenti. Scoppiai in lacrime accasciandomi contro la parete ed iniziai a raccontarle tutto.
Dalla settimana che io e Noah avevamo trascorso chiusi in casa alla lettera, fino ad arrivare a Ryan.

«Va bene, ascoltami. Prendi un bel respiro, trattieni il fiato e poi butta tutto fuori come ti ha insegnato Jude» e così feci. Era una tecnica che mi aiutava sempre, riusciva a calmarmi qualsiasi fosse la situazione ma in quel momento avevo bisogno solamente delle parole di qualcuno che ne sapeva più di me.

«Sai, Faith, per quante ne hai passate credevo che la prima a fare questo discorso saresti stata tu. Mi tocca essere la sorella maggiore anche in quest'occasione» ironizzò strappandomi un sorriso.
«Quando eri piccolina, per calmare gli attacchi di panico ti raccontavo sempre una storia e, insolitamente, questo ti aiutava. Oggi te ne racconterò una un po' diversa, ma voglio che tu ascolti attentamente tutta la storia e ti concentri sul respiro Faith. Va bene?» annuì distrattamente, continuando a singhiozzare. Amavo le storie che mi raccontava Paige, ma avrei voluto che fosse accanto a me mentre la narrava con il suo modo di fare teatrale. Avrei preferito che mi accarezzasse i capelli mentre guardava il vuoto e mi spiegava che non tutto andava bene, ma mi accontentai.

«Tanti anni fa, la principessa Orihime abitava nel cielo stellato. Lei soffriva molto la solitudine poiché era costretta a tessere la lana in prossimità di un grande fiume, la Via Lattea, ma di lì mai nessuno passava. Orihime si era ormai rassegnata all'idea di poter trovare l'anima gemella, quando il padre decise di aiutarla: sapeva che al di là del fiume abitasse un giovane di nome Hikoboshi, così li fece incontrate. Tra i due, l'amore scoppiò in fretta. Si sposarono, ma la loro passione fu così travolgente che entrambi si dedicarono solamente all'amore, dimenticando ogni altra cosa. Il padre, infuriato, divise i due amanti, ma per non far soffrire nuovamente la figlia le promise di farle rivedere Hikoboshi una volta all'anno, il settimo giorno del settimo mese, se solo lei avesse ricominciato a lavorare come un tempo.
Quando quel giorno arrivò, Hikoboshi si rese conto di non poter attraversare il fiume, così uno stormo di gazze, impietosite dalla tristezza della principessa, formò un ponte di ali e i due innamorati riuscirono finalmente a riabbracciarsi».
Tacque all'improvviso.
Quella storia mi era piaciuta così tanto che avevo persino smesso di piangere, il respiro era tornato regolare.

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