Capitolo 1

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Christian aveva afferrato la prima valigia che aveva trovato e ci aveva infilato dentro tutto quello che credeva gli sarebbe servito, pur sapendo che la maggior parte delle cose gliele avrebbero fornite i dirigenti. Per questo quando notò all'interno dell'armadio la propria amata maglia nero-blu, sorrise malinconicamente, pensando che sarebbe stata la prima volta nella propria vita che avrebbe giocato senza quei colori. Eppure non sentiva dolore, ma solo gioia, perché avrebbe vestito qualcosa di più importante, qualcosa a cui aveva agognato da quando i suoi genitori lo avevano portato la prima volta a scuola calcio e quando per la prima volta era stato convocato in prima squadra nell'Atalanta.

Aveva avuto l'opportunità di conoscere tante brave persone, calciatori molto più bravi ed esperti di lui che gli avevano insegnato trucchi e fraseggi a cui da solo non sarebbe mai arrivato, aveva potuto giocare in un campionato importante tanto quanto lo era la champions, anche se in quel caso era solo la riserva del suo amico Matteo Pessina, e aveva avuto modo di mostrare molto agli altri in Serie A, quanto a lui il calcio piacesse, fornendo assist e segnando ogni volta che poteva, essendo lui un centrocampista.

"è tutto pronto?"

Christian si voltò a guardare la donna che se ne stava sulla soglia della porta ad osservarlo, sorridente, dopo che qualche minuto prima era dovuta andare in cucina per asciugarsi gli occhi dalle lacrime.

Le sorrise.

"Certo, Mamma. Non che mi serve molto, dato che la tuta e tante altre cose degli sponsor me le forniranno loro. Devo solo mettere nel bagagliaio della macchina qualche paio di scarpette in più e sono a posto"

Anna si avvicinò al figlio e gli mise una mano sul viso, dovendosi quasi alzare in punta di piedi per fargli quella carezza. Christian era cresciuto molto alla fine di quella primavera, sorprendendo non solo la donna, ma anche se stesso, ma vedendo in quel dettaglio grandi opportunità: se si fosse allenato, probabilmente avrebbe iniziato anche a segnare di testa, anticipando anche i propri avversarsi più alti, tra difensori e portieri.

Continuò a sorridere alla mamma, estremamente felice di vedere quell'orgoglio nel profondo dei suoi occhi, un dettaglio che per lui era importante tanto quanto l'essere un bravo calciatore. Perché aveva realizzato quel sogno non solo per se stesso, ma anche per la sua famiglia che quando era piccolo aveva sofferto insieme a lui nel dover fare la scelta tra la danza e il calcio. Quando aveva scelto quest'ultimo, aveva visto un po' di dolore nello sguardo della madre e Christian sapeva che lo avrebbe causato, anche per via del fatto che la madre fosse proprietaria di una scuola di danza, ma non poteva scegliere qualcosa che lo rendeva meno felice del calcio, solo per far felice qualcun altro.

Magari in un altro universo lui era un ottimo ballerino.

Ma non lì, non adesso, non nell'universo in cui lui, semplice ragazzo era stato prima notato dall'Atalanta in Serie A e poi dalla nazionale per giocare un Europeo.

"Farai attenzione, vero?"

Christian alzò gli occhi al cielo.

Sua mamma aveva una tremenda paura che si infortunasse, da sempre, dalla prima volta che era caduto e si era slogato la caviglia nella prima partita di Champions.

"Fai il bravo, promettimelo"

Christian rise.

"Va bene, mamma, tranquilla"

"Dai, Anna, lascialo un po' respirare!"

Madre e figlio guardarono verso la porta della stanza, vedendo Ivan, il padre, con in mano un mazzo di chiavi, probabilmente quello della macchina di Christian, la prima che si era comprata con il primo stipendio preso da calciatore.

"Grazie papà"

"Smettetela voi due, io sono preoccupata, anche se orgogliosa di mio figlio"

Christian le mise le due mani sulle spalle.

"Grazie mamma, ma stai tranquilla, non mi giocherei mai un'occasione del genere facendomi male"

"Si, certo, guarda il tuo amico Matteo, a pochi giorni dalla prima partita si è fatto male e mica lo ha voluto lui!"

"Non si è infortunato gravemente, si è solo stirato un muscolo e i medici hanno preferito farlo riposare. Sai meglio di me come funzionano queste cose. Per cui ora stai tranquilla e accompagnatemi in macchina, che già gli altri saranno a Coverciano e come sempre io sarò l'ultimo ad arrivare"

Si fece spazio tra i suoi genitori, afferrando le chiavi della macchina dalle mani del padre, sollevando il borsone sulla spalla. Attraversarono la casa in cui abitavano sin da quando lui era piccolo. Aveva chiesto varie volte ai suoi genitori se volessero comprare casa nuova, ma loro avevano preferito ristrutturare quella e continuare a vivere in mezzo ai ricordi di una vita.

Quando uscirono fuori, trovarono Alexia che se ne stava poggiata alla macchina e sorrideva.

"Ehi, pensavo fossi uscita e non mi salutassi"

"Ma cosa dici, vieni qui"

I due fratelli si abbracciarono forte e poi si sorrisero, mentre Alexia faceva spazio a Christian per salire in macchina e mettere in moto.

"Salutami Fede, mi raccomando!" esclamò Alexia, mentre Christian abbassava il finestrino per poter permettere all'aria di entrare nell'abitacolo e dare l'ultimo saluto alla sua famiglia. Non li avrebbe visti per più di un mese, anche se sicuramente si sarebbero sentiti ogni sera tramite videochiamate.

"Ale, ma la smetti di assillare Chiesa, per favore?" rispose il fratello, ridendo per l'ossessione della sorella, di cui era venuto a conoscenza anche il diretto interessato, che un giorno le aveva risposto su instagram, dato che conosceva Christian e voleva scherzare anche con lei.

Mai lo avesse fatto.

Da quel giorno Alexia aveva preso a scrivergli per ogni storia che metteva o anche solo per dargli il buongiorno o la buonanotte, nonostante lui fosse felicemente fidanzato e sua sorella lo sapesse perfettamente.

Tutte e tre le persone fuori dall'abitacolo scoppiarono a ridere e insieme a loro anche Christian si fece trascinare, forse perché quei tre pazzi gli sarebbero mancati, forse perché erano loro a riempirgli la vita di felicità, perché lui da sempre era un ragazzo schivo e solitario, nonostante tante persone lo conoscessero, tanti lo fermassero in strada per chiedergli foto, autografi o semplicemente parlarci, per discutere della partita appena passata o di qualcosa che ancora doveva accadere. Adorava ricevere tutte quelle attenzioni, ma c'erano volte in cui avrebbe tanto voluto avere qualcuno accanto con cui sarebbe bastata guardarsi negli occhi e stare in silenzio per potersi capire.

A volte si chiedeva se non fosse lui il problema, se non fosse lui stesso la sua causa dell'essere solo. Perché sapeva perfettamente che a Coverciano ci sarebbero state anche le fidanzate e le mogli dei propri compagni di squadra, ma non gli era passato minimamente per la mente di portarsi la propria famiglia. Non perché se ne vergognasse, anzi, lui li amava, ma si sarebbe sentito inferiore a loro, dimostrandogli una debolezza che non voleva che nessuno conoscesse.

Si ritrovò a sospirare quando fece il vialetto di casa per poi uscirne e immettersi in strada, mentre nel finestrino poteva scorgere la sua famiglia che lo salutava, dandogli l'ultimo saluto prima delle tre ore e mezza di macchina che lo attendevano.

Coro Azzurro [zenzonelli]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora