3- Intrusione

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«Non è giusto! » replicai per l'ennesima volta dalla porta di camera mia. «Solo perché non mi ha protetto da quel cane non significa che non puole proteggermi!»
Rosalie mi fissò irritata «Aliissa quel cane mi ha quasi morso. E stava per azzannare anche te. E Matthew si è limitato a guardare quella bestia senza alzare nemmeno un dito. Ti ha messa in pericolo»
«Ragazze davvero, apprezzo che teniate così tanto a me, ma non ce n'è bisogno.» sospirai irritata. Mi sentivo come un uccellino in gabbia.
«Aliissa accettalo, basta»
«Non potete rinchiudermi qui per sempre!» scoppiai a quel punto.
«Sì che possiamo» urlarono entrambe «Abbiamo promesso che ti avremmo tenuto al sicuro e vogliamo farlo.» risposero contemporaneamente.
«Siete ossessionate» sbottai.
«Ragazzina impertinente, non provare a riparlarci in quel modo.» Rosalie si avvicinò a me minacciosa come mai. «Siamo andate contro la nostra stessa famiglia per ospitarti, perché tu sei stata una stupida, hai tentato il suicidio e sei rimasta sola. Tuo padre ti ha abbandonato, hai una madre morta per averti messa al mondo, i tuoi vecchi amici si sono scordati pure di te. Siamo la tua unica famiglia, non fare i capricci perché tutto ciò che noi si dice, lo si fa per tenerti al sicuro. Ora, fila in camera tua e non provare a uscire da lì»
Sentii montare le lacrime dentro di me ad ogni parola che pronunciava mia cugina. Alla fine non ressi più, entrai in camera mia sbattendo la porta e mi accasciai per terra, con la schiena appoggiata al letto. Accesi lo stereo a tutto volume e iniziai a piangere sotto le accuse di Rosalie. Sapeva benissimo che molte cose di cui mi aveva incolpato erano false, ma le aveva sputate fuori come se fossero molto più che vere.
Non avevo tentato il suicidio veramente, mio padre era morto in un incidente d'auto e non avevo mai avuto veri amici prima di Matt che dessero dimostrazioni reali d'affetto nei miei confronti. Riguardo a mia madre, quella era vera. Era morta qualche giorno dopo avermi partorito prematura. Non l'avevo mai conosciuta, ma avevo sempre questa sensazione di calore e d'affetto quando pensavo a lei. Come se il mio corpo ricordasse un suo abbraccio. Cosa improbabile, perché subito dopo nata mi avevano messo in incubatrice.
Lentamente mi addormentai, cullata dallo stereo acceso e dai miei ricordi.

**
Mi svegliai di soprassalto.
Non avevo fatto nessuno incubo per la prima volta dopo tantissimo tempo. Sentii battere qualcosa contro il vetro. Pensai fosse la pioggia, così mi avvicinai alla finestra, indolenzita dalla posizione scomoda in cui mi ero addormentata.
Ma quando guardai fuori, vidi la luna che splendeva in un cielo scuro coperto solo dalle stelle. E c'era un ragazzo appollaiato sul davanzale di ferro davanti al vetro.
Repressi un urlo di spavento e mi allontanai dalla finestra.
Era lo stesso ragazzo del rottweiler.
Lui mi fece cenno di aprirgli ed io scossi la testa. Alzò gli occhi al cielo, tirò fuori una molletta per i fogli di carta, la piegò e iniziò a trafficare con la chiusura della mia persiana.
Dopo poco sentii i battenti di legno cedere ed il ragazzo scivolò silenziosamente nella mia camera.
«Con permesso» disse, atterrando silenziosamente sulla moquette avorio.
Lo fissai, senza neanche respirare.
«Non ho cattive intenzioni» disse alzando le mani vedendo il mio sguardo impaurito «Sei stata tu a costringermi a entrare con le cattive. Non era certo così che volevo presentarmi» cercava di rimanere serio, ma c'era un principio di sorriso sulle sue labbra.
«Cosa vuoi?» dissi alterata dal suo sguardo divertito e rilassato, come se intrufolarsi in una camera altrui a notte fonda fosse normale per lui.
«Parlarti.» Si avvicinò a me e mi guardò con i suoi occhi scuri «Voglio capire chi sei»
Lo guardai incredula e confusa «Cosa?» Continuavo a fissarlo negli occhi. Sentivo che se mi fossi staccata da quel contatto indiretto non avrei afferrato ciò che si muoveva in fondo alla mia testa e cercava di darmi una notizia fondamentale.
Però fu lui a spostare lo sguardo da un'altra parte e studiò la mia stanza. Iniziò a camminare lentamente intorno al mio letto e a scrutare ogni più piccolo dettaglio. Si fermò davanti allo stereo e solo allora mi accorsi che avevo ancora la musica sparata a tutto fuoco. Fortunatamente le mie cugine non si lamentavano mai della musica che ascoltavo. Presi il telecomando da sopra il letto e abbassai il volume.
«Perché? Mi piaceva quella canzone» disse guardandomi.
«È Biagio Antonacci, un cantante italiano» risposi stupita.
«Io sono italiano» scrollò le spalle e si mise a guardare i titoli delle canzoni del mio CD. «Oh questa mi piace, dai alza il volume» sorrise divertito e cambiò traccia.
Cercai di nascondere l'irritazione provocata dall'ansia e alzai il volume per farlo contento. Era Favorite Record dei Fall Out Boy. Iniziò a canticchiarla mentre continuava il giro turistico della mia stanza. Sbuffai e mi misi a sedere sul materasso. Non so perché, ma non volevo interromperlo, nonostante la curiosità.
Alla fine mi misi a cantare insieme a lui e quando finì la canzone e ne partì subito un'altra dei Fall Out Boy cantammo pure quella. Però a metà traccia scoppiò a ridere ed io mi zittii.
«Ho stonato?» avvampai.
«Certo che no» sorrise mettendosi davanti a me. Sembrava che per lui le distanze tipo tra sconosciuti non esistessero.
«E allora perché ridi?» chiesi.
Cercavo di ignorare la curva perfetta delle sue labbra, la piccola fossetta che gli si creava sulla guancia quando sorrideva, gli occhi scuri e scintillanti di una malinconia che sembrava sedimentata in lui da tantissimo tempo. Era bello, dovevo ammetterlo. Molto bello.
Si chinò su di me e poggiò le mani sul letto, vicino ai miei fianchi. Trattenni il respirò quando mi ritrovai il suo viso a una decina di centimetri dal mio.
«Chi sei, Aliissa?» sussurrò.
«I-io..» balbettai mentre sentivo i nervi tendersi e spingermi verso di lui. «Sono Aliissa Earthborn. Ho 16 anni e mezzo e sono una comune mortale»
Non sapevo cosa c'entrasse quell'ultima cosa ma avevo sparato le prime parole che mi erano spuntate in mente.
«Comune mortale? Tu?»
Si avvicinò ancora di più ed io cercai di appiattirmi contro il letto. Alzò una mano e mi sfiorò lo zigomo, proprio su una cicatrice che avevo sin da piccola. I brividi partirono dalla vecchia ferita e percorsero tutto il mio corpo. Il suo tocco gelato mi fece sobbalzare e sentii un'energia che conoscevo bene scorrermi nelle vene. Il panico mi assalì e afferrai la sua maglia per istinto mentre tutti i vetri di camera mia esplosero. Foto, TV, PC e finestra.
Il ragazzo mi strinse a se e mi protesse dai frammenti che volavano in aria. Uno strano profumo di menta e pioppo mi inondarono le narici e mi stordirono.
Quando si staccò da me, mi sentii a pezzi e la stanza iniziò a girare velocemente. Sentii qualcosa di umido sfiorarmi il lobo dell'orecchio e una voce mi parlò sussurrando «I fati troveranno la via
Mi sentivo sempre più pesante e stanca e non riuscivo a parlare né a tenere gli occhi aperti. Sentii le mie cugine urlare da qualche parte della casa. «Comunque piacere, io sono Di Angelo e tu non sei affatto una mortale»
Il suo profumo mi inondò completamente la testa e persi i sensi.

Mi ritrovai su una nave, attraccata ad uno strapiombo. Il cielo era terzo e il mare era calmo.
Non era il mio solito incubo e ne fui quasi rincuorata.
Quasi.
La scena era abbastanza bizzarra. C'era un gruppo di ragazzi che fissavano ammutoliti, un ragazzo con una spada nera sguainata e una ragazza che si teneva la guancia. La spada era macchiata di sangue, ma non era quella la cosa strana.
La ragazza ferita ero io. Avevo più o meno un anno di meno ma ero io senza ombra di dubbio. L'unica cosa di differente erano le miliardi di cicatrici che mi rigavano il corpo.
E il ragazzo con la spada era lo stesso dei miei incubi.
I brividi iniziarono a scorrere lungo la mia schiena e una morsa gelata mi strinse lo stomaco. Non capivo cosa stesse succedendo, non mi pareva affatto un sogno quello. Dentro la mia testa si agitava qualcosa. Era un orribile déjà vu che non comprendevo.
Iniziai a correre incontro a me stessa, dovevano essere solo pochi passi, ma quando mi avvicinai a lei (cioè a me) vidi la mia immagine riflessa che mi correva incontro.
Compresi troppo tardi che si trattava di uno specchio e vi andai addosso, rompendolo in mille pezzi.

La Figlia Dell' Olimpo - L'ultima Discendente [Percy Jackson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora