36- Mortale

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Quello che avvenne dopo fu più che prevedibile.
Persefone si avventò su di me, come una bestia affamata davanti a un pezzo di carne. Ma Nico riuscì a fermarla prima che potesse essere troppo tardi. Aveva ripreso il controllo degli scheletri, grazie all'aiuto di suo padre, e li aveva usati come scudo per proteggermi. Riuscii a liberarmi dalla presa anche di Rosalie e rotolai a terra, schivando un'unghiata da parte di Cloe. Non mi sentivo diversa, ma capii di essere diventata Mortale quando, sfiorando la collana ordinandogli di diventare una spada, rimase un ciondolo normale. E le figure delle empuse iniziarono a confondersi in quelle di ragazze con gambe e braccia umane. Sentii qualcuno prendermi il polso. Mi voltai pronta a tirare un pugno a qualunque mostro, quando notai che era Nico. Mi guardò terrorizzato. «Vieni!»
Iniziò a trascinarmi via, diretto verso un'ombra della parete. Lo seguii senza replicare. Mi voltai alla fine, giusto in tempo per vedere Ecate scomparire insieme alle empuse, ormai irriconoscibili dalla Foschia che le circondava, e Ade che teneva Persefone tra le braccia per calmarla. Poi tutto divenne scuro e le urla dei morti mi riempirono le orecchie.

Comparimmo davanti all'enorme pino di Talia. Era il tramonto, il sole stava scendendo lentamente dietro le onde del mare, ma riuscì comunque ad accecarmi. Era stato un viaggio relativamente corto, le urla di tutte quelle anime straziate erano ancora impresse nella mia mente, ma ero contenta di avercela fatta. Era finalmente libera e viva.
Mi voltai verso Nico, per abbracciarlo, baciarlo e festeggiare la nostra vittoria, ma vidi che era impegnato a guardare qualcosa alle mie spalle. Mi girai lentamente e fui stordita da un sorriso più luminoso del sole. Anche se la persona che stava sorridendo, appoggiata comodamente contro il tronco dell'albero era il sole in carne ed ossa. Sorrisi involontariamente, vedendo quel ventenne dalla pelle abbronzata, i capelli biondi come il grano e gli occhi coperti dai suoi soliti occhiali da sole.
«Apollo.» lo salutai.
Sentii Nico stringermi la mano, come a farmi capire che lui era lì, con me. Lo guardai, grata della sua presenza.
«Non so dirti» cominciò Apollo «se aprire quella lettera sia stata una buona cosa o una mossa troppo avventata. So solo che sono soddisfatto del risultato.» Il suo sorriso si fece più largo e più luminoso di quanto potesse essere possibile. «Non dovrei essere qua, gli dèi non si mostrano ai Mortali solitamente, soprattutto non a quelli che hanno rinunciato alla propria discendenza divina, ma volevo darti una cosa prima di scomparire dalla tua vita.»
Si avvicinò ed io ebbi l'impulso di gettarmi tra le sue braccia. Ricordavo tutta la mia infanzia con lui. Quando mi aveva insegnato il tiro con l'arco, quando mi raccontava storie su mia madre, quando cantava con me la sera, prima di andare a letto. Ma rimasi impalata a guardarlo, senza avere il coraggio di fare niente.
Si sfilò gli occhiali, rivelando i suoi occhi azzurri, limpidi come il cielo, pieni di orgoglio, proprio come quando ero piccola e azzeccavo tutti i solfeggi. Mi prese le mani e vi poggiò i suoi occhiali, che cambiarono, e si trasformarono in semplici occhiali da vista celesti. Ignorai la sua mano sopra la mia, calda come una giornata estiva, nonostante le basse temperature, e lo guardai senza capire.
«È per la Foschia» mi disse. Aspettò una mia risposta o una mia reazione, ma ero concentrata a studiare il suo volto per l'ultima volta. Non riuscivo a rispondergli. Ero troppo contenta e al contempo terribilmente triste per il fatto che lui fosse lì, per rivolgermi un ultimo saluto.
Alla fine lasciò la mia mano e il suo sorriso vacillò. «Bene. Ora devo andare, se Papà scopre che sono qua mi fulmina.» cercò di fare una risata, ma gli uscì più un verso strozzato.
Volevo dirgli di restare, di non andarsene, ma tutto quello che riuscii a dire fu un «Va bene» a mezza voce. Non volevo veramente che se ne andasse. Sapevo che non lo avrei più rivisto.
Si voltò e inizio a camminare lungo il fianco della collina, verso il sole che moriva all'orizzonte. Io rimasi lì, a rigirarmi gli occhiali tra le mani, senza riuscire a staccare gli occhi di dosso da mio padre. «Stai bene?» mi chiese Nico, accarezzandomi il braccio. «Non lo so» sussurrai, mentre una lacrima iniziava a scendere lungo la mia guancia. Non sapevo bene cosa fare. Mi sentivo di nuovo una bambina sperduta.
Mi chiesi come mai Apollo non era neancora scomparso, come faceva sempre. Stava ancora camminando lungo il pendio della collina.
«Ti rimprovererai per il resto dei tuoi giorni se non lo raggiungi immediatamente e non lo ringrazi come si deve, lo sai questo?»
Sospirai e annuii. A volte non sapevo proprio come ringraziare il cielo per avermi fatto incontrare Nico. Sembrava capirmi più di quanto riuscissi io. «Hai ragione.»
Racimolai quel poco di coraggio che mi era rimasto e iniziai a correre giù per la collina.
«Aspetta!» urlai. «Papà!»
Lui si voltò con un angolo del labbro alzato. Non se ne era ancora andato perché aspettava solo quel momento. Lo raggiunsi con il cuore che batteva a mille. Gli presi una mano, come lui aveva fatto con me, e mi sfilai il ciondolo, posandoglielo sul palmo. Gli richiusi le dita intorno alla collana e solo in quel momento alzai gli occhi su di lui. Teneva le sopracciglia alzate, sorpreso e aveva un sorriso divertito sulle labbra.
«Grazie.» gli dissi infine. «Grazie di tutto, nonostante tutto.»
Lui sorrise, studiò la collana che mi aveva regalato tanti anni addietro e il suo sguardo scintillò. «Buonafortuna per il resto della tua vita. Almeno ora sei felice.» mi fece l'occhiolino in direzione di Nico ed io arrossii.
«Anche con te lo sono stata.»
Scoppiò a ridere, mentre il sole dietro di lui scompariva del tutto e, quando anche l'ultimo raggio di sole morì, scomparì anche lui. L'unica cosa che rimase fu il suono della sua risata nell'aria.
Tornai da Nico, asciugandomi le lacrime. «Grazie anche a te.» gli dissi, non appena lo raggiunsi. Mi fece un ampio sorriso, facendo spuntare la meravigliosa fossetta che aveva. «Mi piace risentire di nuovo la tua voce.»
Risi e lo baciai sulle labbra. «Anche a me.» Ci guardammo per qualche secondo negli occhi. Increduli e felici di essere lì, finalmente insieme, finalmente senza nessun problema.
«Pronta per tornare a casa?» disse dopo un po', indicando la vallata sotto di sé.
Mi voltai nella direzione del suo sguardo e il mio cuore sprofondò. Io non vidi niente, se non una fattoria in mezzo alle colline. Scossi la testa e mi infilai gli occhiali di mio padre. Dopo qualche secondo, la Foschia si diradò e rivelò la magnificenza del Campo Mezzosangue. Notai che avevo già oltrepassato i confini magici che proteggevano il campo, ma decisi di non fare domande. Guardai Nico lanciandogli un'occhiata di sfida. «Il primo che arriva alla Casa Grande vince?» Mi guardò sbigottito poi rise scuotendo la testa.
«Niente trucchetti.» mi avvertì.
Alzai gli occhi al cielo. «Parla per te semidio, io sono pulita.»
Non diedi nemmeno il via. Iniziai a correre, scendendo la collina, ignorando le urla di protesta di Nico. Mi sentii veramente bene, forse per la prima volta in vita mia. Ero felice, e mi sentivo libera. Non avrei mai potuto lasciare veramente il mondo semidivino, ma non ne facevo più parte integrante. Ed era la cosa che avevo sempre desiderato, da quando Di Angelo mi aveva liberato dal Tartaro. Alla fine, nonostante il sacrificio che avevo dovuto fare, avevo vinto contro il mio stesso destino. Nico era diventata la mia stessa casa ed io avevo finalmente imparato la lezione. Amare non significava donare la propria vita per le altre persone, ma donarla agli altri, per riuscire a rimanergli accanto, nonostante tutto.
E se mai qualcuno mi avesse chiesto cosa poteva arrivare a fare per amore, io gli avrei risposto di sopravvivere per esso.



THE END

La Figlia Dell' Olimpo - L'ultima Discendente [Percy Jackson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora