Capitolo 22

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"Grazie per il passaggio" mormorai, alzando il capo in direzione di Harry, che mi rispose con una semplice scrollata di spalle e posò, finalmente, lo sguardo su di me. Studiai attentamente le sue iridi verdi, che, quella mattina, sembravano estremamente tormentate. C'era qualcosa che lo affliggeva, ne ero più che sicura, ma non mi azzardai a chiedergli nulla. Non volevo sembrare invadente e non volevo innervosirlo ancora di più.

Dopo secondi che parvero ore, mi ordinai di spostare lo sguardo e scesi dall'auto, incamminandomi verso l'edificio che ospitava l'appartamento che condividevo con Louis.

Con la coda dell'occhio vidi l'Audi nera sfrecciare via e strinsi lo zainetto sulla spalla, chiedendomi dove andasse alle otto di domenica mattina.

Corrugai la fronte a quel pensiero e scossi il capo come per volerlo mandare via. Non erano affari miei, dovevo smetterla di soffermarmi su cose o persone che non riguardavano me e, soprattutto, dovevo assolutamente chiamare Louis, i miei zii e Lucinda che, di sicuro, mi avrebbero ucciso virtualmente per la mia, seppur breve, sparizione.

Non è colpa mia se gli iPhone hanno una batteria di merda, mi dissi, storcendo le labbra, mentre salivo velocemente le scale.

Aprii la porta e, dopo averla chiusa, corsi in camera mia, afferrando, nel mentre, il cellulare dalla tasca, per poi collegarlo al caricabatterie, che era fin troppo corto per i miei gusti.

Una tonnellata di messaggi fecero vibrare l'oggetto, il quale, dopo un attimo di silenzio, riprese a tremare.

Sorrisi nel vedere il nome di Louis sul display ed accettai immediatamente la chiamata, sedendomi per terra.

"Buongiorno scricciolo!" la voce squillante di Louis mi fece sorridere istintivamente, come al solito, oserei dire, e l'improvvisa voglia di abbracciarlo si fece largo nella mia testolina, ma dovette arenarsi, non appena mi ricordai che si trovava dall'altro capo del telefono.

Louis era fondamentale nella mia, era la persona alla quale non potevo rinunciare, non sarei stata più la stessa senza di lui, e di questo ne ero ben consapevole. Per anni, era stato l'unico in grado di riuscire a strapparmi un dannato sorriso, era stato la mia guida, senza nemmeno saperlo.
Ricordo ancora quando per farmi ridere si presentava in camera mia con la tavoletta del water in testa o quando cominciava ad urlare citazioni di libri casuali, come per esempio: quella volta che, nel bel mezzo del matrimonio dei miei vicini, a San Francisco, urlò: "No! Jimmy protested"; risi al solito pensiero della faccia sconvolta dei presenti e mi costrinsi a tornare alla realtà, lasciando, per il momento, scivolare via quei piccoli attimi dove mio cugino si era rivelato essere la mia unica ancora, per poi affrettarmi a rispondergli entusiasta: "Buongiorno, William".

William, era il suo secondo nome. Amavo chiamarlo così perché, non a caso, era anche il nome di un principe; a Louis, però, non serviva il sangue blu per essere tale, non servivano nemmeno una corona e un titolo nobiliare vero poiché lui stesso, il suo cuore e la sua anima erano puri, nobili.

"Stai bene, vero?" mi chiese, facendomi accigliare.

"Ma certo che sì, perché me lo chiedi?"

E soprattutto, nessuna rimprovero? Wow Rose, oggi è la tua giornata fortunata!

"So che ieri sera è successo un po' di casino, ho chiamato Harry e mi ha spiegato tutto" disse, rispondendo indirettamente alla mia vocina interiore.

Annuii, nonostante non potesse vedermi. "E tu invece, come stai?" gli chiesi realmente interessata a conoscere il suo stato di salute e non.

"Sto abbastanza bene, anche se non ce la faccio più a stare qui" piagnucolò.

"Vedrai che presto uscirai dall'ospedale" cercai di consolarlo, non trattenendo un sorriso, causato dai suoi continui e, soprattutto, infantili sbuffi.

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