Capitolo 53

2.5K 149 54
                                    


I'm back. So che non ci crederete ma sì, sono tornata!
Diciamo che sono viva e spero voi siate ancora qui, dopo tutto questo tempo. Tornare a scrivere è stato una bella iniezione di vita e spero davvero di riuscire ad essere più produttiva visto che l'intenzione di portare avanti questa storia c'è tutta. Ho dovuto rileggere tutta la storia ma alla fine sono riuscita a terminare questo capitolo. Spero un pochino vi piaccia. Detto ciò, torno nel mio antro a studiare. Il 23 febbraio finisce la mia sessione invernale, quindi mi auguro di poter tornare con un nuovo capitolo il prima possibile.
Grazie e perdonatemi.

Vi adoro

Anna

La sedia era fredda e tremendamente scomoda. Erano passati circa 15 minuti da quando Harry era entrato nella stanza dove avevano sistemato la piccola Sophia e io continuavo a fissare le mattonelle bianche in attesa del ragazzo. I dottori, nonostante l'orario delle visite fosse passato da un pezzo, avevano concesso ad Harry circa 30 minuti da passare con la bambina che era già in compagnia dei suoi genitori e dunque gli zii di Harry. Mi tolsi il capello visto che in ospedale la temperatura era piuttosto alta per via dei condizionatori che erano sempre accesi, per consentire ai pazienti di stare al caldo 24 ore su 24, e lo riposi nello zainetto prima di alzarmi e cominciare a camminare per il corridoio. Mi stavo annoiando ed ero stanchissima, ma non mi sarei mai permessa di mettere fretta ad Harry. Mi spostai una ciocca ribelle dietro l'orecchio e curiosamente raggiunsi il pianerottolo dove alle pareti vi erano attaccati delle frecce che indicavano i vari reparti dell'ospedale. Una rumore alle mie spalle mi fece sobbalzare. Ingoiai la saliva e mi voltai incontrando due occhi azzurri che mi scrutarono per qualche secondo. Immobile osservai la figura dell'uomo superarmi e iniziare a salire le scale che portavano ad un altro reparto, il quale era l'ultimo visto che ci trovavamo al penultimo piano.
Era un infermiere, un infermiere piuttosto strano visto il modo in cui mi aveva guardata di sottecchi, quasi come se volesse assicurarsi di non essere seguito. Mi aveva spaventata e non poco, probabilmente lo aveva capito anche lui dato che ero rimasta imbambolata di fronte al suo sguardo duro.
Mi mordicchiai l'interno della guancia e aggrottai la fronte cercando di ricordarmi dove avessi visto quegli occhi perché sì, ero certa di averli visti da qualche parte, ma non riuscivo proprio a ricordare dove e quando. Mentalmente rividi i dettagli che avevo memorizzato in quei pochi secondi: era alto, magro, aveva la pelle chiara, i capelli biondi e due occhi di un azzurro così intenso e glaciale che avrebbero fatto accapponare la pelle a chiunque. Non sembrava americano, i tratti del suo viso ricordavano più una persona proveniente da uno dei paesi del blocco centrale del vecchio continente. Indirizzai lo sguardo verso la freccia che indicava il reparto dell'ultimo piano: Psichiatria. Sospirai e presi il cellulare dalla tasca. Sbloccai il display e istintivamente digitai Alcatraz sul motore di ricerca Google mentre una sinistra sensazione si faceva largo dentro di me. Ricercai la voce "tentativi di fuga" che avevo già visitato una settimana prima a casa di Lucinda, quando avevo ricevuto quell'ennesimo messaggio minatorio, e rilessi le ultime informazioni.

Jack Daniel's, soprannome del killer seriale evaso durante l'ultimo tentativo di fuga. Con lui anche Robert ed Elton Müller, fratelli di origine tedesca. Non si hanno più notizie e, ad oggi, le forze dell'ordine con l'aiuto dell'FBI continuano a cercare senza sosta i tre criminali.

Origine tedesca. Il mio cuore sussultò, ma prima di farmi venire un arresto cardiaco inutilmente, digitai anche il nome di entrambi i fratelli tedeschi e, non appena la pagina si caricò del tutto rendendo nitidi i volti dei detenuti che erano evasi, il respiro mi si bloccò. Oh mio Dio. Erano loro, o meglio uno dei due era lui: Robert Müller ed era lì, in quell'ospedale. Mi sentivo svenire, indietreggiai e mi poggiai al muro sollevando una mano e posandomela sul petto. Potevo avvertire l'involontario muscolo cardiaco battere rapidamente, quasi come se avessi corso per chissà quanto tempo. Presi un bel respiro provando a calmarmi. Agitarsi e dare di matto sarebbe servito a poco in quel momento. Dovevo ragionare, cercare di farlo almeno. Una parte di me diceva di correre a chiamare la polizia, l'altra invece mi esortava a leggere ciò che c'era scritto nella pagina di Wikipedia che riguardava l'uomo che avevo visto e di conseguenza anche suo fratello e fu proprio questo ciò che feci, prima però sollevai lo sguardo dando un'occhiata alle scale. Non c'era nessuno, sembrava tutto tranquillo. Sfiorai il nome dell'uomo quanta bastava per far sì che si aprisse un'altra scheda di internet e mi accinsi subito a leggere mentalmente.

Hudson RiverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora