Capitolo 29

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"Omnia fert aetas" (Il tempo porta via tutte le cose) - Virgilio

Il tempo e la vita hanno una cosa in comune: entrambe fuggono, corrono, scappano, si nascono in ogni attimo perso, si beffano di noi, ci tormentano con rimpianti e ricordi, senza mai fermarsi, senza darci tregua.

Petrarca scrisse: "La vita fugge, et non s'arresta una hora, et la morte vien dietro a grandi passi" ovvero: "La vita scorre via veloce e non si arresta un attimo, e la morte viene dietro a grandi passi".

E la morte aveva raggiunto il traguardo, portandosi via Celine. Non le aveva lasciato scampo. La vita di Celine era fuggita via, per sempre. Non c'erano soluzioni, rimedi. Non c'erano parole, non percepivo nessun rumore, se non quello del mio cuore che riprendeva lentamente a battere, cosa che non avrebbe più fatto quello di Celine.

Si era fermato, il suo cuore lo aveva fatto, il tempo no.

Perché? Perché è successo? Perché?, continuavo a chiedermi mentre immobile fissavo il candore del viso di Celine che, pian piano, stava lasciando spazio all'oblio della morte.

E prima che me ne rendessi conto una mano mi costrinse ad indietreggiare. Alzai gli occhi, ritrovandomi di fronte al viso di quello che doveva essere un agente di polizia, vista la sua divisa.

"Signorina, qui non può stare" disse l'uomo lentamente. Le mie palpebre si aprirono e si chiusero lentamente mentre l'immagine di Celine non accennava a sparire dalla mia testa. Mi voltai ancora verso quel corpo privo di vita e percepii un brivido scivolarmi lungo la schiena, prima che un senso di nausea mi costringesse a scappare via da quello spogliatoio. Corsi fuori, superando la piccola folla che si era accalcata nella palestra, e raggiunsi il bagno dove liberai lo stomaco dal cibo, ma non da quel terribile nodo che sembrava essersi depositato lì senza alcuna voglia di lasciarmi in pace. Dopo essermi privata del peso dello zaino, mi asciugai le labbra con un fazzolettino di carta e mi poggiai una mano sulla fronte leggermente sudata. Presi un profondo respiro e mi voltai di scatto verso la porta che si era aperta. Una ragazza dai lineamenti familiari si fiondò in un bagno. Non riuscii a capire con esattezza chi fosse, ma il suono dei suoi singhiozzi non tardò ad arrivare alle mie orecchie.

"E' colpa sua..."

Restai in silenzio ad ascoltarla.

"L'ha uccisa..."

Trasalii a quelle parole e mi coprii la bocca con entrambe le mani mentre altri sussurri, che non riuscii a comprendere, uscirono dalle labbra della ragazza. Immediatamente il mio cervello cominciò ad analizzare quelle parole. Di chi stava parlando? Celine era stata... uccisa? Trattenni il respiro e mi guardai intorno confusa e spaventata. Chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere? E perché? Non riuscivo a darmi una spiegazione logica. Gli eventi che si erano verificati in quelle 24 ore erano fin troppo ambigui e assurdi per riuscire a chiarirli subito. Indietreggiai quando la porta si aprì, rivelando la figura di una ragazza. I suoi occhi colmi di lacrime m'inchiodarono seduta stante.

"Tu..." mormorò indicandomi con una mano.

"Cosa?" mi avvicinai cauta.

"Insieme" concluse prima di aprire la porta del bagno e scappare via ancora più sconvolta, lasciandomi sprofondare nella confusione più totale. Fissai un punto indefinito per minuti che parvero ore mentre cercavo di dare un senso a quelle parole, ma ad attirare la mia attenzione fu la porta che improvvisamente si aprì.

"Dobbiamo andare in centrale, Rose" esordì Susan.

"Perché?"

"Non ne ho idea" esclamò a bassa voce, alzando poi le spalle e facendomi un cenno con il capo. Dopo aver ripreso lo zainetto da terra, seguii la ragazza senza fiatare e, incoraggiate da alcuni poliziotti, attraversammo il corridoio che per fortuna era vuoto. Mi accomodai sui sedili posteriori di una volante nella quale, oltre ai due agenti, c'erano anche Susan e Nicole. Lancia un'occhiata ad entrambe le ragazze, che a loro volta risposero con una scrollata di spalle, e mi poggiai allo schienale del sedile, lasciandomi andare ad sospiro profondo ma silenzioso. Venti minuti dopo percepii la volante fermarsi. "Forza ragazze" ci disse un poliziotto invitandoci a scendere dall'auto. Camminammo a passo svelto, salendo poi un'ampia scala, prima di ritrovarci di fronte all'immenso edificio: New York City Police Department.

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