Capitolo 12

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"Anche i carboni, quando sono accesi, brillano come stelle." Callimaco

La luce della Luna e quella delle sue sorelle, le stelle, illuminava gran parte del mio viso mentre i miei occhi stavano osservando quel pozzo oscuro che ormai aveva abbracciato l'intera New York. La Luna, o meglio, la parte visibile di Essa sembrava prendersi gioco delle stelle, la Sua luce prevaleva su tutto. Shakespeare era dell'opinione che quando si avvicinava alla terra facesse impazzire tutti, eppure c'era chi come me preferiva le stelle: astri generati da ammassi liberi di gas e polveri.
Possibile che degli astri tanto lucenti fossero generati da un caos del tutto casuale? La scienza era stata chiara sulla formazione delle stelle, eppure ogni qual volte che le guardavo la loro perfezione, la loro luce era sempre più forte, sempre più abbagliante. Il buio che le circondava forse non era vuoto, forse in quel buio c'erano altre piccole stelle, meno luminose ma pronte ad essere ammirate, pronte ad essere amate e ad amare, pronte a consolare cuori infranti e pronte a conservare segreti mai svelati e i peccati più dannati.
Ed io mi sentivo parte di quel buio, mi ero persa nel vuoto e stavo aspettando che una stella con la sua luce mi aiutasse a brillare. Eppure quel buio era parte di me e non c'era modo di riuscire a ribellarsi, non c'era modo di scappare, di fuggire, di nascondersi dal vuoto che ogni giorno invadeva i frammenti del mio cuore. Troppe erano le cicatrici come troppi erano i ricordi che gridavano alle piccole crepe di riaprirsi, di risalire a galla e di trascinarmi giù, ancora una volta.
Lo squillo del cellulare mi strappò dal fiume di pensieri che aveva inondato la mia mente. Spostai lo sguardo e mi avvicinai al comodino, dov'era poggiato l'aggeggio che continuava a suonare.
Sul display compariva il nome di Zoey, così mi affrettai a risponderle: "Pronto?"

"Hey Rose"

"Ciao Zoey, è successo qualcosa?" le chiesi subito, non mi aspettavo una sua telefona.

"A dire il vero sì.." un misto d'ansia e confusione mi spinse a chiederle cosa fosse successo e non dovetti aspettare molto poiché la sua risposta arrivò subito. L'auto di Liam si era rotta e naturalmente non poteva passare a prendermi. Una qualsiasi ragazza al mio posto probabilmente si sarebbe chiesta come arrivare alle festa, io invece ero più che sollevata da quella notizia. L'ansia che aveva mangiato un quarto del mio stomaco era fuggita via, portando con se dubbi e paure.
Non mi fidavo realmente, ero fin troppo diffidente nei confronti di quei ragazzi che tutto sommato erano sempre stati gentili con me, Harry escluso, naturalmente.
Ero andata al parco con loro e mi ero sentita a mio agio, ma una festa con altre persone sconosciute non era l'ideale per me, non in quel momento almeno, non fino a quando Louis non fosse tornato a casa.

"Nessun problema, ho chiamato Harry e gli ho chiesto di darti un passaggio visto che abitate vicino" disse, inconsapevole di spingere l'ansia a stringere un nuovo piccolo nodo nel mio stomaco.

Oh andiamo Roselynd, sei davvero una cagasotto! Quando sei arrivata ti sei fidata di Elisabeth senza conoscerla, senza accertarti del fatto che conoscesse realmente Louis, e adesso ti fai cinquatamila filmini mentali per una stupida festa alla quale parteciperanno gli amici di tuo cugino Louis? Smettila.

Tossii più volte prima di sospirare, maledicendo quella stupida vocina interiore, ed accettai, dicendole che ero già pronta.

"Perfetto, tra un po' passerà a prenderti, a dopo!" e dicendo ciò riattaccò.

Sbuffai e mi guardai allo specchio, storcendo appena il naso. Non avevo scelto nulla di appariscente. Un pantalone nero e, dannatamente stretto, copriva quelle gambe che odiavo perché troppo corte per rientrare nei maledetti canoni di bellezza comune, mentre un'ampia camicetta di jeans con tanto di cinturone nero legato alla vita fasciavano la parte superiore del mio corpo e per concludere delle semplici ballerine dello stesso tessuto della camicetta. Non mi sembrava il caso di indossare dei tacchi e poi io e quei cosi, amati da milioni di donne, avevamo un rapporto tutt'altro che pacifico. In sintesi: loro odiavano me ed io odiavo loro, semplice.
Quando il rumore del campanello arrivò alle mie orecchie un sospiro uscì dalle mie labbra e con una certa calma raggiunsi la porta per poi aprirla. Stivaletti marroni, pantalone nero, una camicia bizzarra color fuxia, ricci stranamente raccolti in una crocchia ordinata ed uno sguardo tutt'altro che sereno si presentarono dinnanzi ai miei occhi.

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