Capitolo 21. "Anche tu bevi l'acqua quando hai sete?"

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Fisso il vuoto pensando che tra pochi minuti lo rivedrò e non so se questa, sia la scelta giusta da prendere moralmente.
Il mio cuore sta impazzendo e fatico a respirare: ecco come mi sento, col principio di un infarto in petto.
Non ho detto a nessuno che stiamo uscendo, gli altri non capirebbero: hanno visto le mie lacrime riversarsi in fiumi, incapaci di asciugarle.

"Sali?"
"Dove andiamo?"
"Ti porto in un posto."

Apro lo sportello della sua macchina tremante, cercando di non dare a vedere la mia ansia, provo a non scoppiare in uno dei miei attacchi di panico ma sento la mia mente voler evadere ,come un prigioniero vorrebbe fare da un ergastolo: le situazioni scomode creano disagio.

"Come stai?"
"Come sto?"
"Si."
"Non lo so, tu?"
"Bene."

Il suo "bene" mi destabilizza, dal tono di voce non capisco se sta bene perché ora è qui con me o perché in questi mesi ha vissuto bene; si lo so, la mia mente è in crisi, sapevo che vederlo lo avrebbe comportato eppure, più passano i minuti, più guardandolo guidare seduto al mio fianco, provo pace e ricordo come stavo, quando a cullare le mie paure c'era lui, lì, che mi stringeva la mano dicendomi di stare tranquilla perché tutto nella vita, accade per una ragione e che i momenti buii esistono solo per poter fare spazio poi al cielo sereno.

"Siamo arrivati."

Vedo in lontananza la panchina nella piazza che ha visto nascere l'amore degli abitanti del posto: è affacciata sul mare di Ortigia, uno dei luoghi che più preferisco al mondo.
Avere il mare dinanzi a me mi rassicura e mi fa sentire a casa, protetta da quel suono delle onde che si infrangono sulla riva e sostituiscono una voce che calma.
Si siede, io resto alzata.

"Mi sei mancata in questi mesi, ti ho pensata molto."

Ecco la frase che volevo sentirgli dire anche se mi fa male.
Perché lasciarmi andare allora ?
Che senso ha avuto il mio dolore?
Ho passato notti insonni cercando di dimenticare qualcuno che nel frattempo mi pensava?

"E te ne accorgi dopo mesi che ti mancavo? E se io non ti avessi scritto?"
"Lo so ma stare lontano da te, mi ha fatto capire ciò che stavo perdendo e sono stato uno stupido a lasciarti andare, ti avrei cercata."
"Si lo sei stato, puoi anche gridarlo se vuoi."

Il mio orgoglio parla per me dando risposte che sanno di sale e limone, una dopo l'altra, lo tagliano come lame cercando di trasmettergli la rabbia e il dolore che provo.

"Possiamo riprovarci?"
"Mi serve del tempo."

Resto fredda come la neve d'inverno mentre percepisco che i suoi occhi, ad ogni mia risposta, si spengono e nonostante sia arrabbiata, provo sensi di colpa per ogni risposta acida che do.
Perdere qualcuno comporta perdere anche una piccola parte di noi stessi: in questi mesi ho dimenticato chi fossi.
Mi sono consolata con l'alcol, ho frequentato persone che da sobria non avrei mai conosciuto, ho sbagliato strada e sono inciampata durante il tragitto e anche se vorrei dargli la colpa di tutto questo, so che non posso perché la colpa è mia.
Mi siedo accanto a lui e riesco per un istante a guardarlo negli occhi, metto da parte il rancore che era pronto a fare la guerra e mi ricordo perché amo l'amore: 

amare è quell'istinto primordiale che non ha bisogno delle parole per manifestarsi, amare è riconoscere se stessi negli occhi di qualcuno e piacersi più di prima; amare è sentire che l'aria diventa leggera quando condividete lo stesso spazio e le paure diventano colline e non montagne, amarsi è sacrificio, compromesso, accettazione, scoperta.

E io lo stavo quasi per dimenticare...
Emetto un respiro profondo che lascia uscire  l'angoscia e la rabbia che avevo dentro, guardo il mare e poi il cielo; guardo lui e resto in silenzio.

"Anche tu bevi l'acqua quando hai sete?"

Questa frase apparentemente banale, è una di quelle che tiriamo fuori quando nessuno dei due sa cosa dire e resta in silenzio.
Mi guarda sorridendo.

"Si anche io."

Capisce che sto allentando la presa e che i miei nervi si stanno distendendo, si avvicina e mi chiede se può abbracciarmi: lo conosco, il contatto fisico è il mezzo che meglio conosce per far capire a qualcuno quanto tiene a qualcosa. Infondo sa, che dove non arrivano le parole, arriva la pelle a riconoscere sensazioni.

"Ti va se ci riproviamo? Io ci tengo a te."
"Si ma non abbandonarmi più.
Sono piena di cose da dirti, arrabbiata e felice allo stesso tempo."

La mia mente produce la rabbia motivata da un orgoglio ferito ma il mio cuore fa i salti di gioia perché la persona che amo è qui con me.
Ricordo ancora una volta le parole di Clara:

segui il tuo cuore.

Gli prendo la mano, quanto mi era mancato...

Che fine fa la malinconia quando scompare? Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora