Capitolo tre (1 di 2)

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Zara strinse le mani l'una contro l'altra, guardandosi attorno smarrita, lo sguardo talmente impazzito da schizzare in ogni angolo della stanza come un uccellino impazzito

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Zara strinse le mani l'una contro l'altra, guardandosi attorno smarrita, lo sguardo talmente impazzito da schizzare in ogni angolo della stanza come un uccellino impazzito.

La gola arsa le bruciava senza tregua, la sete divenuta ormai una vera e propria tortura, peggiorata di molto negli ultimi interminabili giorni di prigionia.

Senza pensarci si sfiorò il labbro e, quando percepì la pelle dolore al solo sfiorare e il taglio ancora in fase di guarigione, il suo cuore si rammentò di cosa fosse accaduto di recente.

Ancora una volta, fissò le pareti spoglie della casupola in cui erano stata rinchiusa con Stefano e tentò di spostarsi più vicino all'amico, ora privo di sensi. I muscoli atrofizzati per la posizione scomoda protestarono: miseramente perse l'equilibrio e cadde sul pavimento lurido con un sonoro tonfo.

Infuriata, emise un gemito di dolore tra le labbra serrate, cercando di non fare troppo rumore. Lo sfregamento del metallo contro la pelle irritata dei polsi e delle caviglie era insopportabile, la faceva quasi impazzire, anche quando provava ad accennare il minimo movimento.

Il tempo era sfuggito ormai ai suoi sensi, si sentiva in un luogo senza tempo né spazio, ma era certa fossero passati giorni da quando erano stati rapiti e condotti in quel luogo assurdo.

Con lo sguardo lucido, in quelle condizioni per colpa del caldo e della polvere, Zara fissò l'anello all'anulare sinistro e, ripensando ai genitori, bastò ciò per ritrovare il coraggio perduto.

L'attimo dopo condusse la sua esclusiva attenzione a Stefano e si sforzò a tenere a freno le emozioni: l'amico era così pallido, talmente tanto da spaventarla, anche se adesso sembrava tranquillo com'era addormentato sul giaciglio che aveva creato con le coperte fornite loro dai rapitori.

Zara gli aveva sistemato la gamba come meglio poteva, grazie anche al velo che i terroristi le avevano imposto di indossare durante il sequestro, oltre ad evitargli la disidratazione e il dissanguamento, non sapeva che altro fare per aiutarlo.

Strinse le labbra, sentendosi di nuovo impotente. In quei giorni aveva pregato come mai aveva fatto nella sua vita, non aveva fatto altro nelle ultime ore da quando i loro rapitori li avevano abbandonati in quella casupola dimenticata persino dal cielo.

Il giorno dopo la loro sparizione, Zara aveva guardato l'orizzonte oltre gli spiragli sottili della porta, rendendosi conto che non c'era una via di fuga da quell'incubo, strisciando sulle ginocchia a causa delle catene pesanti che le impedivano di muoversi eretta.

Al momento si trovavano in una casupola con un tetto malandato e le pareti di calcestruzzo sporche e erose dal tempo, con una sola un'entrata che fungeva anche da uscita, e oltre di essa l'infinità mortale e infernale del deserto. Una piccola finestra si trovava in alto, sul muro a est, da cui i raggi del sole e quelli della luna si alternavano a illuminare la stanza.

Affranta, spostò lo sguardo annebbiato sull'unica bottiglia d'acqua che quei criminali avevano lasciato e che ora era quasi vuota: dopo che gli avrebbe dato quell'ultimo sorso, cosa ne sarebbe stato di loro?

Il suo stomaco vuoto protestò al solo pensiero mentre la sua mente ricordava: l'uomo con i baffi l'aveva costretta a seguirlo con la minaccia di aprire il fuoco e, nel tentativo di difenderla, Stefano le aveva fatto di scudo.

In un attimo era precipitato tutto e avevano compreso in quali artigli erano finiti preda: il gruppo terroristico Shahiba.

Poco prima di organizzare il viaggio, Zara aveva letto una notizia su quegli individui, di un loro attacco sanguinoso e barbaro a Karak, alla morte di quei turisti e un numero imprecisato di feriti. Ora, avevano ripetuto la stessa azione criminale anche a Petra, portando solo sbigottimento e tanta violenza, finché non li avevano caricati a forza su quel mezzo lurido e condotti via con chiare e ignobili intenzioni.

I sei uomini, dal volto rigorosamente coperto per impedirne il riconoscimento, dopo averli condotti all'interno di una grotta, avevano dato inizio ai soprusi: solo il terrorista con i baffi aveva continuato a tenere il viso scoperto, per nulla preoccupato se avessero potuto riconoscerlo, interessato a impossessarsi dell'anello di sua madre. Zara gli aveva chiesto il perché, senza ottenere alcuna risposta e, nel tentativo di non consegnarlo all'uomo, aveva scoperto di non riuscire più a sfilarselo con il risultato di aver provocato la furia cieca dei suoi sequestratori. L'odio che lei aveva colto nei loro sguardi e nelle loro voci l'avevano condotta più volte sulla strada buia e lastricata della disperazione più nera e, quando avevano deciso di tagliarle una mano, Stefano si era posto tra lei e loro ed era finito per essere picchiato sino alla perdita dei sensi.

In quegli istanti di cruda violenza, il cuore di Zara aveva battuto come le ali di un colibrì e, umiliandosi, si era gettata in ginocchio pregando quei folli di finirla e tentando inutilmente di sfilarsi via l'anello. Tuttavia, quando uno degli uomini incappucciati si era avvicinato per tagliarle l'arto, l'uomo con i baffi aveva dichiarato che sarebbe stato inutile. Anche se confusa da quell'affermazione, Zara era rimasta concentrata su Stefano, preoccupata per le sue condizioni.

Poi i terroristi l'avevano sottoposta a diverse umiliazioni – tra cui quella di indossare quegli arcaiche catene pesanti – e a prestarsi nell'apparire in un breve video, dove le era stato chiesto di chiedere un pagamento in cambio della loro salvezza.

Dopo ore e ore interminabili, l'uomo con i baffi le aveva rivolto un sorriso gelido e li aveva condotti in quella casupola nel deserto, nel nulla, per poi andarsene.

Zara tossì, avvertendo ancora la pazzia minacciare di inghiottirla e divorarla. Ispirando forte, per combattere quella sensazione di soffocamento, si disse, come tante altre volte in quelle ultime ore, che non poteva abbandonarsi allo sconforto e doveva essere forte anche per Stefano.

In un battito di ciglia, pensò a cosa mai avrebbe potuto affermare il padre in una situazione del genere: sicuramente le avrebbe risposto di concentrarsi sulla loro sopravvivenza, nonostante la paura di quel che sarebbe rimasto di lei e dell'amico se si fossero salvati. Formate quelle parole nella mente, si accigliò. Semmai quando si fossero salvati, puntualizzò dopo con rabbia, e non se.

Premette le mani sulle palpebre che le bruciavano e un gemito di dolore le sfuggì, nel momento in cui il metallo dell'anello entrò in contatto con la pelle irritata.

Non dormiva da un bel po' e la stanchezza si stava facendo davvero sentire, ma quando cedeva al sonno, non riusciva a dormire bene: i ricordi del sequestro si erano tramuti in incubi e Morfeo, da placido Signore dell'oblio, era divenuto il suo peggior nemico.

Spesso sognava il padre, il quale le diceva che lo aveva deluso. Alle volte, riviveva gli ultimi istanti con il professore Balzoni e il dubbio che fosse scomparso anche lui, pensando di averlo abbandonato al suo destino, anche se per cause di forza maggiore.

Poi la luce del sole si fece più debole e lei comprese fosse arrivata la sera.

A un certo punto la sua mente si annebbiò e, non seppe come, si ritrovò in una grande landa verdeggiante dove una brezza calda le lambiva la pelle: Zara era seduta sull'erba, i suoi vecchi abiti occidentali indosso e in compagnia della madre, la quale era intenta a fissare il cielo e godersi quel bel panorama insieme.

In preda all'ennesimo grande sconvolgimento, Zara fissò la donna bruna, dagli occhi tanto simili ai suoi, confusa. Dopo la madre si volse e le sorrise: dinanzi a quell'espressione, lei sussultò e inesorabilmente cadde all'indietro, chiedendosi perché non riuscisse più a muoversi né a gridare e non finisse per sentire l'erba di quella pianura contro la schiena. E fu così che spalancò le palpebre di scatto: in un baleno, il dolore allontanò il sonno e si rese conto di essersi addormentata.

Era notte. Il vento infuriava sibilante e faceva scricchiolare il soffitto e le pareti della stanza. Il rimbombo del cuore di Zara nelle orecchie diventò un tutt'uno con quei rumori, intanto che realizzava che lei e Stefano non fossero più soli.  

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora