Capitolo sette (5 di 7)

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Infuriata, Zara telefonò alle ambascerie, per poi ricevere risposte vaghe dai funzionari, i quali la invitano a rimanere calma e affidarsi a Sua Maestà il re della Palestina Orientale che non solo aveva preso la questione a cuore, ma era risaputa la sua battaglia contro il terrorismo.

Una volta conclusa l'ultima conversazione, sentendosi sconfitta, chinò la testa e strinse lo smartphone tra le mani, con la voglia di piangere che si fece sempre più impellente e urgente.

Non poteva essere vero, ponderò. Non poteva.

Impercettibilmente sentì la mano di Harun che le sfiorava la sommità del capo.

«Nel mondo vigono gli interessi» lo udì mormorare.

Lei si scrollò quel tocco di dosso.

«Questo è abuso di potere» puntualizzò con gli occhi lucidi. «Questa è violenza!».

Harun inarcò le sopracciglia, rimanendo in silenzio.

Presero a fronteggiarsi l'una con l'altro, con il solo uso dello sguardo. Zara cercò di comprendere cosa vi fosse dietro quel volto tanto cupo e il profilo severo, quando riconobbe i chiari segni di una maschera. Allora aguzzò la vista e, dopo un po', prima che sparissero nelle profondità oscure di quegli occhi, scorse senso di colpa misto a paura, rabbia, rancore: era quello il vero volto di Harun?

Lei aveva letto abbastanza per comprendere la veridicità su come gli esseri umani portassero con tale perfezione quel tipo di camuffamento, proprio all'altezza del naso, a celare il volto, da averne diversi da indossare per ogni persona e per ogni situazione che gli si presenta davanti, finendo con il diventare davvero ciò che volevano apparire. Anche lei ne aveva indossate tante, per proteggersi, per celare le ferite, per vivere il quotidiano; eppure, giungeva sempre il momento in cui se la sfilava e tornava a respirare, a stare sola con se stessa e venire a patti con il suo lato più buio. Guardando Harun, tuttavia, ebbe la sensazione che lui non sfilasse mai quella maschera, come se non volesse soffermarsi a guardarsi dentro e apprendere cosa vi fosse in fondo alla sua anima.

Un rumore di passi e uno schiarirsi forte di gola la scosse, facendola ripiombare nel presente: a fatica, distolse lo sguardo da Harun e si volse, trovando Dunab con gli stessi abiti del giorno prima, però agghindato con un turbante bianco sul capo, ornato da una piuma in cima e diversi stendardi in bella mostra sulla tunica.

Nonostante avesse abbassato la mano, Zara avvertì la tensione di Harun in modo palpabile, il quale non proferì parola e attese che l'uomo si avvicinasse.

«Sabāha l-ḫair, signora Ascarelli» la salutò Dunab educato. «Spero si sia riposata a dovere».

«Buongiorno» replicò, cercando di sorridere. «Lei come sta?».

«Bene» fece cordiale. «Sono venuto a riferire delle notizie importanti a sua Maestà, se permette...» e lanciò un'occhiata ad Harun.

«Parla pure, Dunab» lo invitò il re, senza mutare l'espressione severa che aveva in volto e senza smettere di guardarla fisso negli occhi.

«È andata come aveva immaginato, signore» dichiarò misterioso l'uomo. «Esattamente come temevano».

«Quando?» chiese Harun, in tono autoritario.

«La notte scorsa» fu la replica. «All'incirca nove ore fa».

«Sono costernato, ma devo andare via» enunciò il re a bruciapelo, tornando a rivolgersi direttamente a Zara. «Per quanto sia importante la nostra conversazione devo affrontare un'emergenza».

Poi fece un cenno a Dunab e nel contempo chiese a Zara: «Mi aspetterai? Sarai paziente?».

Dinanzi a quell'ordine mascherato da richiesta, lei si rabbuiò di colpo.

«Vuoi davvero tenermi qui?» fece, con il cuore che batteva all'impazzata nel petto. «Contro la mia volontà?».

Lui non replicò, ma ebbe tutt'altra reazione: sospirò e la afferrò per un braccio.

«Seguimi, Zara, per piacere» affermò Harun.

Mentre lei cercò di riscuotersi dallo choc, superarono una soglia sormontata da un grande arco arabeggiante e lo sguardo agitato di Zara si posò sui morbidi cuscini sparsi sul pavimento coperto di preziosi tappeti e sulle stanze dal lusso sfrenato.  

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora