Capitolo quattro (9 di 9)

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Dopo essersi accertato che la zona vicina alla grotta fosse sicura, Harun fece ritorno e osservò Zara Ascarelli bere dalla sua borraccia.

Nel guardare il pallido colorito che persisteva su quel visetto, questa volta si disse di avere esagerato con l'audacia, ma anche di non aver avuto altra scelta. E ancora, come aveva fatto nella casupola diroccata, lanciò un'occhiata a quel misterioso gioiello che lei indossava all'anulare sinistro...

Poi ripensò alla chiacchierata avuta con i consoli dello Stato d'Israele, della Palestina e dell'Italia: si era sfiorato lo scandalo internazionale, ma la storia non era tutta lì, per quanto gli riguarda. Quella ragazza era un personaggio scomodo, si rese conto, e ora comprendeva la durezza che aveva subito avvertito irradiare da lei al primo sguardo. Per di più le aveva taciuto una parte della verità e, se fossero usciti da quella disavventura, non avrebbe potuto omettere più nulla...

Eppure, al loro arrivo, era stato sollevato nello scoprire che fosse armata di tanto coraggio, tanto da aver impedito all'amico Stefano di disidratarsi completamente e l'essersi spinta a minacciare Dunab, l'inafferrabile e lesto come una serpe, con la sua stessa arma.

Al ricordo dell'espressione scioccata del vecchio amico d'infanzia, sotto la minaccia della lama da caccia di cui andava tanto fiero, Harun si lasciò quasi sfuggire una risatina: si sarebbe divertito un mondo a ricordarglielo nei giorni a venire.

Con un gesto misurato lui si spostò e raggiunse l'entrata della grotta, quella stessa insenatura che anni addietro era solito giocare con il fratello maggiore, la sorella minore e Dunab.

Sembrava essere accaduto in un'altra vita, pensò con struggente malinconia. E ora era tutto nelle mani di Allah...

Quel pensiero gli riportò alla mente la figura imponente di suo padre, scomparso non molto tempo fa: il forte e tenace Mahdi era sempre stato molto fedele, perfino quando aveva acconsentito al divorzio con la moglie, la madre di Harun, e aveva enunciato che si sarebbe affidato nelle mani divine chiedendo clemenza.

Se fosse stato ancora vivo, il genitore gli avrebbe detto di comportarsi allo stesso modo, di pregare e avere fede.

In un gesto rabbioso e rancoroso, Harun affondò le unghie nella roccia: nonostante l'aria gelida della sera che alleggiava sul deserto, percepì il sangue ribollire nelle vene, le recenti sparatorie e attentati avevano colpito negativamente il settore fiorente del turismo, rinomato per essere culla delle civiltà e luogo d'origine dell'ebraismo, dell'islamismo e del cristianesimo.

Per la cronaca, ora come ora, non poteva nemmeno comunicare ai suoi uomini che l'impresa folle e segreta che aveva ideato avesse avuto successo. Inoltre, sapeva che la mente dietro Shahiba si sarebbe resa conto che vi fosse il suo zampino dietro la scomparsa degli ostaggi...

Era solo una questione di tempo. Ma lui, come sempre, sarebbe stato più celere e più spietato.

Il fondatore Agib, l'autoproclamatosi sultano del gruppo terroristico Shahiba, si strinse nel mantello e ridusse appena la fessura all'altezza degli occhi.

Con uno schiocco di lingua contro il palato, incitò il cavallo a aumentare l'andatura e dirigersi al confine con la Turchia, il pagamento del riscatto allacciato ben saldo alla sella del suo stallone nero. I suoi combattenti erano subito dietro di lui, sentiva i loro incitamenti appena dietro le spalle.

Il vento della notte sferzava violento su di loro, colpendoli con la sabbia mentre lui si appiattiva il più possibile contro il dorso dell'animale: avevano torturato le guardie reali a più di due miglia di distanza, dopo essere stato preso di sorpresa e attaccato, venendo a conoscenza che fosse stato uno stratagemma per distrarlo e allontanarlo dalla zona in cui aveva nascosto gli ostaggi, per una questione ben precisa, ossia separarlo dalla ragazza.

Solo che quando giunse sulla duna più alta, non appena il suo sguardo si posò nel punto in cui la casupola si ergeva, vide la tempesta scatenata avanzare con un rumore sordo di fondo all'orizzonte e due figure, un uomo e una donna, muoversi in direzione delle grotte a ovest.

Consapevole di chi potesse essere mai l'uomo, schiacciò la lingua contro il palato, creando un suono di stizza, e gli lanciò una maledizione in silenzio: per il momento non poteva nemmeno avvicinarsi, anche se era consapevole che gli ostaggi erano stati spostati e ancora in vita.

A ogni modo, lui sarebbe tornato dopo la fine di quell'inferno, alla ricerca di ciò che più gli premeva possedere: il tesoro perduto della famiglia reale al-Rashid, l'anello del potere.

Con il cuore tronfio di avidità, lanciò un urlo e ordinò ai suoi uomini di seguirlo, prima che la furia del deserto raggiungesse anche loro.

La sua vendetta sarebbe stata terribile, giurò solenne, come la furia della tempesta.

* *

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora