Capitolo quindici (1 di 7)

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Trascorsero giorni e giorni dalla tragedia nel deserto e ad Harun sembrò la proverbiale calma prima della tempesta

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Trascorsero giorni e giorni dalla tragedia nel deserto e ad Harun sembrò la proverbiale calma prima della tempesta.

Frattanto Zara era dimagrita nell'ultimo periodo, glielo aveva fatto notare proprio un paio di mattine fa, sperando di spingerla a parlare e dirgli ciò che le gravava di più sul cuore.

Dalle domestiche aveva appreso che si lamentasse nel sonno, il corpo contratto in continui spasmi, spesso culminante con urla e pianti.

Quando era sovrappensiero, aveva lo sguardo lontano e triste e, dettaglio che gli aveva suscitato ulteriore preoccupazione, non aveva più postato le sue fiabe come Sherazade.

Tutto ciò lo faceva impazzire e lo opprimeva, perché era come se un muro si fosse ancora innalzato tra loro.

Gli incubi di Zara erano solo il percorso che la sua anima stava percorrendo per dimenticare i traumi subiti per mano di Shahiba e del recente attacco, almeno così gli avevano spiegato l'equipe di specialisti in ospedale, solo che ora la situazione era peggiorata, perché questa volta era lei a non volere contatti con il mondo.

Quel suo nuovo comportamento lo distruggeva.

Non avrebbe dovuto cedere e baciarla, si ripeteva. Non avrebbe dovuto, eppure non aveva pensato affatto in quell'istante e il suo unico pensiero era stato quello di cancellare quel dolore dal suo volto...

Quando fece per raggiungere la soglia del vecchio harem, Harun si fermò ed esitò ad entrare: ormai erano giorni che non vi riusciva e non si era mai sentito così insicuro in tutta la sua vita.

La voce di Farik lo strappò a quelle spiacevoli considerazioni.

Lui si volse e il vecchio consigliere lo fulminò con lo sguardo.

«Bando alle ciance, ragazzo!» esclamò. «Vedi di entrare, prima che ti dia uno di quei sonori scappellotti alla testa che non ho mai osato darti, nemmeno quando non eri attento alle mie lezioni!».

«Oseresti attingere alla violenza, tu che l'hai sempre aberrata?» sdrammatizzò.

Farik corrugò le labbra parzialmente celate dai baffi e della barba.

«Non stuzzicare il leone che sonnecchia all'ombra» lo avvisò con occhi scintillanti. «Potrei fare un'eccezione per uno sciocco senza cervello come te».

«Ti ringrazio per il complimento, vecchio» replicò Harun con sarcasmo, incrociando le braccia davanti al petto. «Comunque, non è come pensi, dato che ero diretto al mio studio».

Il consigliere inarcò una delle sopracciglia cespugliose.

«Peccato sia dalla parte opposta» gli fece notare con ironia. «O hai perso il senso dell'orientamento, tutto a un tratto, ragazzo mio?».

Gli occhi di Harun cominciarono a mandare lampi.

«Ero sovrappensiero» tagliò corto.

Poi girò su se stesso e riprese a camminare.

Nonostante si lamentasse dell'età e degli acciacchi che comportava, Farik lo tallonò e lo affiancò senza problemi.

«Oh spero che Allah mi accolga nella gloria più eccelsa, per tutti i capelli bianchi che mi stai facendo venire!».

Harun storse la bocca in una smorfia.

«Non mi pare che le cose si siano svolte così» gli rammentò. «Non poche volte mi pare che dovessi andare a cercarti nella serra per le nostre lezioni».

«Bada, sono stato un ottimo insegnante per te» precisò con piglio orgoglioso. «Tuttavia, avrei dovuto essere meno duro, ammetto ora».

Quell'affermazione lo sconcertò, proprio come aveva fatto in passato.

«Perché mai?» chiese stralunato.

Nello sguardo del vecchio Farik sfrecciò un guizzo.

«Perché sono stato troppo eccessivo a pretendere che crescessi con una spina dorsale d'acciaio e non ho insegnato al tuo cuore come dare una tregua ai tormenti della vita».

Harun si arrestò e si girò verso di lui.

«Ora vaneggi».

«Niente affatto». Un'espressione malinconica comparve su quel volto stanco e ingrigito. «Non desidero che tu ti macchi ancora le mani, ragazzo, non dopo quel che hai decretato per...».

«Basta» sibilò interrompendolo. «Ha avuto il destino che meritava per quello che mi ha fatto. Non provo alcun rimorso né pietà per la sua fine».

Dinanzi ai suoi toni, Farik scosse il capo.

Lieto di averlo ridotto finalmente al silenzio, Harun si volse per andarsene nel suo studio e immergersi nel lavoro. Ne aveva bisogno, un bisogno disperato, da come gli doleva il petto.

Tuttavia, nemmeno compì un altro passo, che udì la risata del vecchio consigliere rimbombare nel corridoio.

«Proprio per questo non riesci a parlare con quella ragazza e dirle cosa provi per lei» lo sentì dire poco dopo. «Perché sei ancora ancorato al passato e impossibilitato ad andare avanti».

Infuriato, lui strinse i pugni e si irrigidì. Infine percepì dal suono lontano delle fontane e del canto dei pappagalli del vecchio harem: Farik se n'era già andato.

Harun chiuse gli occhi.

Suo malgrado, si ritrovò ad ammettere che l'uomo avesse colto nel segno. Ancora una dannata volta. 

* * 

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora