Capitolo otto (2 di 4)

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Poi la principessa la afferrò per mano e la guidò attraverso quel labirinto di corridoi, su cui si affacciavano diverse camere da letto e sale da bagno, decorate con fiori freschi e aleggianti di incensi e di candele profumate all'arancia.

«I tuoi bagagli sono stati spostati in questa stanza» le riferì, facendole strada in una camera con grandi vetrate colorate che affacciavano direttamente sul giardino popolato dai pappagalli. «Credo che Harun voglia farsi perdonare, poiché si vocifera che questa sia stata della prima regina della Palestina Orientale» e le indicò l'invetriata centrale.

Zara vi si avvicinò e fissò la piccola figura sul vetro, di profilo, in uno scenario del tutto naturalistico e con il medesimo simbolo dell'anello posizionato al posto del sole.

A quella vista, deglutì forte e coprì il gioiello all'anulare sinistro con l'altra mano.

Ancora quel simbolo, pensò colpita. Harun aveva asserito la verità, allora? Quel tesoro era appartenuto davvero alla famiglia reale?

«Se lo desideri, ti farò assegnare una domestica personale» propose intanto Nuria. «Ad ogni modo, ti ho anche procurato dei vestiti più tradizionali, dato che resterai» aggiunse con un sorriso incoraggiante. «Ora te li mostro».

Dopo le mostrò un ampio guardaroba, in cui erano appesi diversi abiti, di colori e forme differenti e, nonostante avesse voglia di spaccare tutto attorno a sé, Zara cercò di ricambiare la gentilezza manifestatole da Nuria come poté e assecondarla in quel tour, comprendendo la volontà di quella donna a farla sentire meglio.

Quando finirono il giro, Zara seguì la principessa all'entrata ufficiale dell'harem.

Lì, piante lussureggianti e una grande fontana occupavano il centro della stanza, tra poltroncine rivestite di damasco e di seta blu.

«È tutto molto bello» commentò lei, ed era sincera.

«Tanto tempo fa io e Harun giocavamo qui da bambini» raccontò Nuria, gli occhi addolciti da quel lontano ricordo d'infanzia. «Lui si metteva su quelle poltrone laggiù e mi raccontava migliaia di storie. Aveva una fantasia che sfiderei chiunque a possedere...».

A quella notizia, lei sgranò gli occhi.

«Davvero?» fece stupefatta.

«Oh, sì» le confermò ridendo. «Solo che, come Sherazade, mio fratello tendeva a divertirsi e a rimandare il finale sempre al giorno dopo» e si schiarì la gola, per poi mostrarle un telefono vecchio stile appoggiato su un tavolino, nelle prossimità delle poltroncine.

«Se desideri qualcosa da mangiare, può contattare l'ala dei domestici tramite questo apparecchio» le spiegò, cambiando discorso. «Al momento, per pranzo, ho dato ordine che ti servano un po' di tutto. Spero ti vada bene».

«Grazie, sua Altezza» rispose grata, cercando di sorridere.

«Oh, chiamami Nuria!» e poi controllò l'orologio che indossava al polso. «Ora ti lascio, ho un impegno a cui non posso mancare» dichiarò. «Se dovessi avere bisogno di aiuto, chiedi pure di me alla domestica che ho richiesto per te».

Con un gesto del capo Zara annuì.

Con lo sguardo, poi, seguì la giovane donna sparire dietro a una porta secondaria, incassata nella parete a ovest della stanza, incerta o meno se seguirla per fuggire: non appena si decise, però fu troppo tardi, perché udì ancora lo scatto secco della serratura.

La principessa Nuria era stata gentile con lei, ma era ovvio che fosse dello stesso avviso del fratello di tenerla rinchiusa lì per il momento, e in parte le origini di Zara erano oggetto di dissidi e complicazioni.

Stanca e furiosa per quel circolo senza fine, tornò nella sua stanza e gettò la sua valigia, ancora piena dei suoi effetti personali, in un angolo.

Poco dopo se ne pentì, quindi raccolse tutto, perché quegli scatti d'ira non potevano di certo risolvere il problema in cui era finita.

Si rifiutava di accettare, tuttavia, che nessuno osasse andare contro il volere di Harun...

Con il lento scorrere del tempo, nelle vesti di una qualche lenta tortura del fato, giunse la sera. Prima che la luce del sole sparisse del tutto, Zara aveva spostato mobili, tolto libri dagli scaffali della sala lettura e spostato anche oggetti in quelle stanze, senza trovare altre uscite che le permettessero di scappare dall'harem. Inoltre, aveva tentato di sfilarsi persino l'anello, sino a farsi male alla mano, ad arrossare la pelle per gli sforzi. Aveva di nuovo ispezionato il piccolo giardino interno e in un angolo, celata in parte dalla vite e dal gelsomino, aveva trovato una porticina di legno: la sua gioia per la scoperta era durata poco, poiché anche quella era chiusa a chiave.

Amareggiata, dopo aver compiuto tutti quei tentativi, Zara fece ritorno alla sala centrale e puntò lo sguardo sulle antiche figure raffigurate in diversi arazzi, scene sensuali ma non volgari, immerse in una natura selvaggia, senza realmente vederle. Si sentiva come soffocare, come se fosse finita intrappolata nell'occhio di un ciclone, impossibilitata ad accennare un solo passo, sia in avanti sia indietro.

Poi lentamente condusse lo sguardo alle poltrone di damasco e il tavolino dall'aria massiccia e, ricostruendo il passato narratole da Nuria, si immaginò un piccolo Harun sedutovi sopra e intento a narrare le sue storie alla sorella.

Le era impossibile immaginare che si trattasse dello stesso uomo capace di rinchiuderla in quel luogo, cercando di imporre la propria volontà sulla sua e senza avere intenzione di ascoltare la sua voce.

Ciò nonostante Zara ricordava ancora bene le parole enunciate da Harun nel deserto, alla luce sfavillante delle stelle e della luna...

Cosa ne era stato di quell'uomo gentile che aveva incontrato allora? Era mai esistito o era stata una messinscena?

Furiosa con se stessa, prese a camminare avanti e indietro per la stanza come un leone in trappola: così percorse i corridoi, superò soglie ad arco e scostò tende composte di piccole e raffinate perline dorate nel mero tentativo di sbollire la frustrazione e non lasciarsi dominare dalla rabbia, dal rancore e dalla pazzia.  

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora