Capitolo diciassette (1 di 2)

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Harun non riusciva a credere a ciò che stava accadendo

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Harun non riusciva a credere a ciò che stava accadendo. Il fratello maggiore gli si gettò addosso con lo spadone sollevato, lui fece altrettanto e il rumore metallico stridette nel corridoio.

E così andò per un'altra manciata di minuti, lui che cercava di colpirlo e Harun che parava ogni colpo con precisione metrica. Una rabbia incontenibile accompagnava i gesti e gli attacchi del fratello mentre lui cercava di lasciare da parte le emozioni e di muoversi con grazia.

Doveva ucciderlo, prima che lo colpisse. Tuttavia, con la coda dell'occhio si accorse che Zara non si era mossa da dov'era: aveva un'espressione così dura da stravolgerle gli occhi e la bocca, talmente pallida da sembrare fatta di marmo come le colonne che sorreggevano il soffitto del corridoio.

Parò un altro colpo mentre quel pensiero si focalizzava nella sua mente, quello di doverla difendere e uccidere il fratello.

Per quanto fossero passati anni, considerò che Agib era molto più debole e meno veloce di un tempo: attese la sua occasione, poi con un colpo secco del polso Harun fece ruotare il suo spadone.

L'arma sfuggì alla mano ad Agib, che rotolò sul pavimento, sino a scivolare vicino alla balaustra della terrazza e poi cadere nel giardino sottostante.

Harun puntò la punta della sua contro la gola del fratello, ansimando.

«È finita» dichiarò con tono roco. «Basta così».

Un sorriso velenoso si sistemò sulle labbra di Agib.

«Il punto non è avermi strappato la mia arma, ma compiere l'errore di abbassare la guardia».

Lo guardò uno sguardo confuso e interrogativo. Dopo si accorse che gli occhi del fratello fossero più sfuggenti e si girò.

Il terrorista con la pistola si stava avvicinando a Zara, alle sue spalle, ma lei era troppo presa a tenerli d'occhio per accorgersene del tutto.

«No!» gridò con tutto il fiato in gola.

«Fermi dove siete!» tuonò qualcuno nel corridoio, nello stesso preciso istante.

Nel frattempo che Zara si mosse nella sua direzione, in men che non si dica un quintetto di guardie sbucarono da tutte le direzioni, costringendo lo sgherro di Agib a mollare la pistola e alzare le mani di scatto.

Nel vedersi le armi di Dunab e di due guardie reali puntate addosso, il fratello maggiore spalancò gli occhi, il quale gli rispose con uno sguardo brillante di puro disprezzo.

«Cosa facciamo, signore?» lo interpellò Dunab.

Harun esitò, di nuovo indeciso su cosa fare.

«Forza, che aspetti?» lo provocò Agib. «O sei rimasto il solito codardo?».

Farik giunse di corsa, l'abito sporco di sangue e i capelli arruffati, ma non ferito. Era tallonato da Nuria, anch'essa nelle medesime condizioni. Insieme si avvicinarono a Zara e si abbracciarono, piangendo lacrime di sollievo.

«La vendetta non ha alcun valore, ragazzo mio» esclamò il vecchio consigliere poi.

«Harun, ti prego, non farlo...» gli fece eco la sorella.

Zara si scostò dai due e li fissò. O meglio, non prestò un minimo cenno di attenzione ad Agib, ma a lui: fu così che avvertì una stretta al cuore, quasi in grado di rubargli l'aria dai polmoni...

«Harun, non devi farlo» lo pregò, la voce chiara e ferma. «Puoi scegliere».

«Come fai a dirlo?» rispose, il tono basso e roco, il cuore che batteva impazzito nel petto. «Come posso farlo?».

«Perché ti conosco» mormorò lei in replica. «Anche se ci saranno molteplici te, io ho visto la parte più bella e so che quell'Harun non vuole uccidere, ma perdonare e andare avanti». A passo deciso avanzò e allungò la mano, sfiorandogli la guancia ferita. «Ed è di quell'Harun, in fondo, che mi sono innamorata».

Per un attimo, a quella rivelazione, Harun rimase impietrito. Lo amava?

Poi chiuse gli occhi, sentendoli bruciare, e il tempo sembrò scorrere a rilento mentre la tensione divenne talmente potente da cristallizzare quell'attimo e rendere impossibile il respirare.

Quando risollevò le palpebre, Harun sollevò la spada, i lineamenti del volto induriti dalla rabbia.

Zara si morse le labbra, temendo il peggio... finché lui non rilassò la mano e lasciò cadere la spada che produsse un suono metallico a contatto con il pavimento.

Il rumore riecheggiò nel corridoio, quasi come il canto di una liberazione che aveva udito cantare a Agib nel deserto mentre inseguivano l'alba quando avevano imparato a cavalcare e lui rappresentava ancora un modello da seguire per Harun. Tuttavia quello davanti a lui non era più quel ragazzo. Non era più colui che lo aveva cullato nelle notti di estate, lo stesso che lo aveva spinto a cavalcare, imparare il cinese e lo aveva appoggiato quando aveva espresso la volontà di soccorrere i loro soldati sul fronte iracheno. Quello dinanzi a lui era un fantasma, un'ombra, di tutto ciò che era stato... e Harun comprese cosa fare dopo tanto tempo. Quindi si volse e guardò Zara negli occhi: a quel punto udì in risposta il grido furioso di Agib nelle orecchie, insultandolo.

Harun non colse quelle parole, quasi avessero perso ogni peso e significato. Si mosse verso donna che lo attendeva, al fianco della sorella e di Farik, per raggiungerla e poggiare le labbra sulle sue e sentire ancora quel briciolo di calore che solo lei riusciva a fargli percepire al centro del cuore e dell'anima.

Non appena spalancò le braccia, la vide correre verso di lui, chiamandolo a gran voce.

Poi un suono metallico riempì l'aria.

«Harun!» urlò Zara, guardando un punto dietro di lui.

Sconvolta, Harun si volse di scatto e vide prima le guardie a terra, poi il fratello impugnare una piccola pistola e puntarla verso di lui.

Non sarebbe riuscito a scostarsi in tempo, si disse Harun.

Era in trappola. 

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora