Il cielo diventò ceruleo quando Harun spronò il suo adorato cavallo Jibran in direzione del confine sud-est di Amonn, nelle prossimità del Mar Morto. Dunab lo affiancò, cercando di tenere quel passo infervorato dello stallone bianco, in groppa al suo destriero.
Il vento sferzò tagliente sulla loro carne e sulle loro vesti, violento e inarrestabile come la furia che gli tormentava l'anima.
Una volta oltrepassate la cinta delle mura diroccate, Harun strinse gli occhi, adornati dal cosmetico protettivo di colore nero, e condusse il suo sguardo lugubre molto, molto, molto lontano.
Lì, finalmente, con sommo sollievo, li scorse all'orizzonte: i leggendari Ata'ta, la più nobile e antica tribù del regno, il cui sangue scorreva in parte nelle sue vene, stavano attendendo il suo arrivo in groppa a cheti dromedari.
Non appena lui e Dunab li raggiunsero, il falco planò sul braccio del giovane cugino di secondo grado, Karim, di appena diciassette anni, simile a lui più di quanto non sembrasse a una prima occhiata.
Nessuno dei presenti enunciò una parola, ma gli uomini della tribù fecero cenno di seguirli con un ampio gesto delle mani.
Ad Harun bastò una sola occhiata, una soltanto, per intuire che fosse accaduto qualcosa di terribile e la tribù desiderava mostrargliela.
Il suo peggior incubo si era avverato? Il salvataggio dei due stranieri aveva provocato una qualche conseguenza?
Cupo, Harun lanciò uno sguardo fugace a Dunab, il quale gli rispose con un cenno secco del capo.
Dopo presero a seguire il gruppo a breve distanza.
Passarono diversi minuti prima che uno degli anziani scendesse dalla sua assonnata cavalcatura e gli indicasse con il dito adunco un punto ben preciso, una duna particolarmente alta e sfiorata da un debole alito di vento.
Con uno slancio Harun smontò da cavallo, evitando di volgersi e incrociare lo sguardo di disapprovazione di Dunab, e con un gesto rapido sfilò la sua borsa medica dalla sella di Jibran. Infine, si diresse fino al punto designatogli prima con circospezione.
Un forte odore di zolfo gli colpì le narici: oltre la duna, supini, c'erano resti di vite umane, tre corpi parzialmente coperti dalla sabbia.
Karim deglutì e l'attimo dopo il falco riprese il volo, tornando padrone del cielo e sfidando quell'alba nascente.
Osservandolo scendere dal dromedario, con tanto di smorfia di dolore sul volto scuro, Harun gli lanciò un'occhiataccia.
«Ti avevo detto di continuare a usare il tutore per la gamba, o mi sbaglio?» lo riprese severo.
«Mi porta prurito» protestò lui, fissandolo con quegli occhi tanto simili ai suoi, impregnati del medesimo cosmetico protettivo. Erano gli stessi occhi che Harun aveva incrociato quella notte di qualche mese fa, quando lo aveva tratto in salvo per pura fortuna nel corso di una vacanza con degli amici.
«Signore» lo chiamò Dunab, con il suo solito tono prudente.
«Non preoccuparti, grande D» s'intromise Karim ancora. «Non ci sono esplosivi né trappole in zona. Abbiamo controllato con il nonno e gli altri anziani della tribù».
Harun piegò le labbra in un sorriso amaro mentre recuperò i guanti bianchi dalla borsa. Senza esitare, ignorando il forte odore di morte che avrebbe colpito chiunque allo stomaco, sfiorò il volto del primo uomo, quello meno sfigurato degli altri due, e poco gli bastò per riconoscerlo subito: aveva visto la sua foto, quella dell'assalto di Karak, circa un mese prima, in cui aveva tolto la vita a un'agente di polizia.
Con un fremito di rabbia Harun gli scoprì il petto, dove c'era tatuato un passo del Corano e poté notare, dalle condizioni terrificanti che presentava il corpo, che fosse stato torturato prima di essere eliminato con un solo e unico colpo di pistola alla fronte.
«Quale disonore» udì bofonchiare a Karim, alla vista di quei segni scuri sul petto dell'ex terrorista.
Il cuore di Harun divenne ancora più pesante a quelle parole, ma si impose di mantenere un'espressione indecifrabile sul proprio volto.
«È ciò che penso?» lo interrogò Dunab.
«Sì, vecchio mio» asserì Harun. «Il sultano di Shahiba li ha puniti con la morte».
La sua dichiarazione fu accolta da un silenzio angosciante: erano le tremende parole che aveva trovato incise sulla medaglietta, stretta ancora nella mano, a instillargli un odio talmente potente da rendergli il cuore più duro della pietra.
«È il caso di prendere provvedimenti adeguati» stabilì infine.
Dunab annuì, per poi andare a recuperare i loro cavalli.
«Mi spiace per avervi coinvolto ancora in questo caos» disse Harun al cugino. «Dopo quello che è successo nel corso di quella tua vacanza con gli amici, non volevo che ti ritrovassi ad affrontare questo genere di faccende».
«Non preoccuparti, Harun, sto bene» lo rasserenò il giovane Ata'ta. «D'altronde, come dice il tuo amico Sochete: la malvagità corre molto più veloce della morte stessa».
«Si chiamava Socrate, a dire il vero, Karim», ridacchiò divertito.
«Quello che è, cugino!» e Karim roteò gli occhi. «Sei peggio dei miei insegnanti».
All'improvviso il telefono satellitare di Harun suonò: chiedendosi chi potesse mai essere, lui recuperò l'apparecchio dalla borsa e rispose.
«Zara Ascarelli sta per lasciare l'ospedale per andare al funerale, signore», fu la replica dall'altro capo del telefono.
«Molto bene» controbatté lui, prendendo a sorridere freddamente.
* *
STAI LEGGENDO
Alba di Perla [COMPLETA]
Romance✨VINCITORE THE WATTYS 2022 CATEGORIA STORIE D'AMORE✨ «La speranza è la sua armatura. La penna è la sua spada. Il perdono è la sua Alba di perla.» Regno della Palestina Orientale. Nel cuore di Petra, uno dei siti archeologici più antichi al mondo, Za...