Capitolo quattordici (2 di 4)

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Quando arrivarono gli appartamenti del re, notò la presenza del primo ministro e di altre guardie e lei sentì il proprio cuore stringersi in una morsa. Cosa stava accadendo?

Poi insieme a Nuria fu lasciata entrare in una stanza, la camera personale del re, dove trovò Farik in piedi in un angolo con le mani giunte dietro la schiena vicino a un medico, Dunab con gli abiti sporchi di rena e sangue e infine Harun sdraiato sul letto. Era pallido, respirava agitato e aveva gli occhi chiusi.

Nel momento in cui lo vide e si rese conto del suo stato, Zara si fece largo e lo raggiunse, chinandosi su di lui.

«Cosa è accaduto?» chiese angosciata.

Farik scambiò occhiate sfuggenti con Dunab.

Infine fu quest'ultimo a prendere parola.

«Abbiamo avuto delle complicazioni, signorina Ascarelli, ma ora siamo qui».

Intuendo che gli stesse omettendo qualcosa, lei indurì i lineamenti del volto.

«Quali complicazioni?» domandò a bruciapelo.

A quel punto Farik si fece avanti.

«Un brutto attentato» rivelò. «Grazie al cielo siete riusciti ad allontanarvi prima di essere colpiti» rimproverò a Dunab dopo.

L'uomo abbassò il capo e strinse le labbra, rimanendo in silenzio.

Stravolta da quella rivelazione Zara sentì gli occhi inumidirsi e senza pensarci afferrò la mano di Harun che poggiava inerte sulla coperta, bisognosa di quel contatto come l'aria. Allo stesso tempo Nuria le poggiò una mano sulla spalla per rincuorarla.

«Sta bene?» domandò poi al medico.

Lo specialista si avvicinò.

«Se la caverà» mormorò, sistemando il stetoscopio nella borsa. «Sua Maestà ha una tempra forte, ha solo bisogno di riposo e calma».

Zara abbassò lo sguardo su di lui, sentendosi impotente e colma di terrore.

Batté le palpebre, cercando di mantenersi lucida e tenere a fuoco il volto addormentato di Harun.

Il resto delle ore successive trascorsero senza che lei le avvertisse veramente: tanto era stordita e travolta dal dolore che per due volte Nuria le chiese se volesse mangiare qualcosa, ma rifiutò entrambe le proposte.

Aveva lo stomaco chiuso; non se la sentiva di allontanarsi.

Solo al tramonto la mano di Harun si mosse e lui aprì gli occhi.

«Guarda chi c'è...» mormorò roco, sollevando un angolo della bocca, non appena i loro sguardi s'incrociarono.

Lei cercò di trattenere le lacrime. Era così sollevata da sentirsi come sospesa nell'aria e, in quel preciso momento in cui vi rifletté sopra, si rese conto di una verità ormai imprescindibile e impossibile da ignorare: si era innamorata di lui, di quell'uomo che sembrava come la luna e il mare.

Traendo un respiro profondo, tentò di riscuotersi e ritrovare lucidità.

«Vado a chiamare il medico per dirgli che ti sei svegliato» disse.

Poi fece per lasciarlo, ma lui aumentò la stretta attorno alla sua.

«Non andare» la pregò con sguardo sperduto, smarrito. «Resta».

Zara deglutì.

A quella richiesta il dolore si mescolò con quella nuova consapevolezza dei suoi sentimenti per lui: una lacrima traditrice le sfuggì e si ritrovò a pensare che il terrore di perderlo era davvero impossibile da sopportare.

No, si diceva Zara, anche se il sentimento che aveva riconosciuto era meraviglioso era altrettanto terribile: erano così diversi sotto tanti punti di vista, troppo per essere compresi, appartenenti a due popoli che si odiavano e lottavano tra loro da tempo immemore ormai.

All'improvviso Harun allungò una mano verso di lei e le immerse le dita tra i capelli di seta e i suoi occhi nero ossidiana erano come impenetrabili.

Poi lui abbassò il braccio e cercò di mettersi seduto, strizzando le palpebre e storcendo la bocca per lo sforzo, e Zara si affrettò ad aiutarlo a poggiare la schiena contro i cuscini con una certa goffaggine a causa della ferita alla spalla.

«Devo chiamare il medico» disse dopo, nella speranza che la lasciasse andare, e fece l'errore di guardarlo dritto negli occhi.

In un attimo la pelle fu percorsa da un brivido, i polmoni sembravano sotto carenza d'ossigeno e il suo stomaco come se fosse zeppo di farfalle: Zara vide il proprio desiderio riflesso in lui, la stessa tensione e disperazione che la attanagliava nell'espressione del volto.

«Harun» lo pregò in tono di supplica. «Sei ferito...».

Lui non le diede ascolto e si fece vicino, la bocca a pochissimi millimetri di distanza dalla sua appena dischiusa. Sembrava in attesa mentre lei cercava di ricordarsi le sue condizioni.

«Non m'importa» sussurrò roco. «Pensavo che non ti avrei più rivisto».

Dopo posò le labbra sulle sue e il mondo svanì in una nuvola di sabbia. 

* * 

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora