Capitolo quattro (8 di 9)

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Lui si sfiorò il mento con due dita, stupefatto.

«A quanto pare, ti ho sottovalutato, signora Ascarelli» mormorò ammirato dopo un bel po'. «Per la cronaca, pensavo di avere a fare con una damigella svenuta tra le braccia: dovevo prepararmi al peggio, ecco».

La rabbia tornò a ruggire e infiammare lo spirito di Zara.

Nonostante le catene che le pesavano le braccia e la costringevano a incurvare le spalle e la schiena, sollevò il mento in un moto di indignazione e gli indirizzò un'occhiataccia.

«Devo ringraziarti» replicò con fare inflessibile. «Speriamo che tu non svenga tra le mie nell'attesa dei soccorsi, allora!».

Quella sua replica scatenò di nuovo prima la sorpresa e poi l'ilarità dell'uomo, il quale scosse la testa ridendo a crepapelle.

Malgrado ciò, anche lei si stupì che provasse la medesima sensazione nei confronti di quello sconosciuto, ma si ritrovò a mordersi le labbra per celare il sorriso. Era stato in grado di affrontare la furia della natura stessa per condurla in salvo... Cos'altro doveva aspettarsi da lui?

«Mi permetti di controllare le tue ferite, ora, signora Ascarelli?» lo udì chiederle dopo un bel lasso di tempo, tendendo una mano in avanti.

Lei alzò lo sguardo pensoso e si accorse che la stava ancora fissando con quegli occhi neri come le notti che aveva ammirato nei momenti di massima solitudine dalla finestra della sua camera, dove la luna e le stelle sembravano mostrare la via ai nottambuli della Città Eterna.

Dovette metterci tutta la forza volontà che possedeva per non abbassare il volto e celargli il rossore del suo volto.

«Sì...» acconsentì, forse in un tono un po' aspro di quanto volesse in realtà.

Non appena si sfiorarono, lei non mosse nemmeno un muscolo per la tensione.

«Le tue mani sono ridotte male, ma con un buon antibiotico andranno a posto» commentò lui, professionale. «Puoi mostrarmi le caviglie ora?».

«Certo» riuscì a rispondergli dopo un attimo. «E... chiamami pure Zara».

Lui annuì e sorrise, per poi prenderle un piede con una certa attenzione e pulirle piano la pelle dalla rena.

«Non male... Zara» appurò infine, chiamandola per nome. «Ben presto, dopo cure adeguate, andrà tutto a posto».

Questa volta fu il turno di lei di annuire con un cenno della testa, un po' lieta che Harun avesse terminato di accettarsi su quale condizioni versava. La sua vicinanza e il suo respiro le provocavano le farfalle nello stomaco e, in quel preciso momento, non poteva permettersi di distrarsi.

«Hai altre ferite?» chiese Harun, e lei parve percepire una certa ansia nel suo tono.

A quel punto lo guardò con attenzione e notò il modo in cui la stava fissando il volto ferito.

«Ho dei lividi, ma nulla di esagerato» minimizzò. «Con il tempo svaniranno».

In arabo classico udì Harun maledire la discendenza dei membri di Shahiba.

La sua espressione si fece così intensa da condurla a trasalire: ecco di nuovo quell'arroganza, mista a qualcos'altro, che le incuteva timore e la metteva sull'attenti.

Era come se lui si fosse tramutato in un altro uomo, uno sconosciuto molto pericoloso, dal volto duro come la pietra. Tuttavia, quando i loro sguardi si immersero l'uno nell'altro, quel viso tornò a rilassarsi.

«Perdona il mio comportamento irruente, Zara» mormorò sincero. «È vergognoso che quei folli ti abbiano trattata in un modo tanto barbaro. Per quel che può valere, ti porgo le mie più sentite e sincere scuse».

Stupefatta, lei batté le palpebre.

«No, Harun, mica è colpa tua» mormorò perplessa. «Non fartene un cruccio».

Lui parve non starla a sentire.

«Quando torneremo alla capitale, riceverai le migliori cure, puoi stare certa» le garantì deciso. «Nel frattempo, mi assicurerò di persona che quei criminali affrontino la giustizia: non potranno più evitare di essere presi... e la giusta punizione che gli spetta».

Il suo sguardo duro la fece rabbrividire.

«Saranno puniti con la morte?» gli chiese in un sussurro.

Harun strinse le labbra, riducendole a una linea sottile.

«Toccherà a chi di dovere decidere sul loro destino» mormorò roco. «A ogni modo, se hai bisogno di assistenza, potrebbero aiutarti a parlare... della tua... esperienza».

Da quella nota tormentata, Zara comprese l'origine di quella rabbia alla vista delle sue ferite. Dopo un primo imbarazzo, provò sollievo e si sentì in dovere di tranquillizzarlo.

«Non mi hanno violentata» chiarì. «Mi hanno colpita più volte solo perché mi sono rifiutata di consegnargli l'anello di mia madre e alle loro richieste di recitare versetti del Corano».

Lui parve sollevato, ma solo in parte.

«E hai scoperto la ragione per cui volessero un gioiello tanto importante per te?» domandò.

«No» e gli mostrò la mano, dove splendeva quel suo tesoro più prezioso. «Appena mi sono rifiutata, si sono infuriati dichiarando che mi avrebbero uccisa. E Stefano ha cercato di...» e il ricordo la privò della voce e della forza per continuare la frase.

«Zara» mormorò Harun, sfiorandole ancora la guancia con una lenta carezza. «Ne hai passate troppe negli ultimi giorni, ma non devi vergognarti di esternare le tue emozioni davanti a me».

Con un movimento brusco del capo lei iniziò a piangere e le braccia del suo salvatore la accolsero, prendendo a stringerla con forza.

Con dolcezza lui la cullò, mormorandole parole rassicuranti all'orecchio. Il calore di quell'abbraccio la riscaldò, mitigando in parte la paura che ancora le stava avvelenando il cuore e l'anima.

Zara si scoprì riluttante a muoversi e di volere godere di quel benevole e rassicurante tepore per quel momento e si rese conto di quanto le fosse mancato un contatto simile, fatto di gentilezza e di pace.

E così, tendendo le orecchie, che si accorse vi fosse qualcosa di diverso nell'aria...

«Lo senti?» chiese sorpresa, scostandosi.

Harun sollevò il capo e parve perdersi in un'istante nella contemplazione mistica di quel silenzio ritrovato.

Un sorriso piegò le sue labbra.

«Sì, il silenzio» rispose infine, gli occhi brillanti di meraviglia. «La tempesta è passata». 

* *

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora