Capitolo sedici (2 di 3)

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Nello scorgere quella tensione sul volto di Harun, Zara iniziò a sentirsi travolgere dalla confusione.

«Cosa c'è?» ripeté per la seconda volta, sperando che lui rispondesse.

«Zara» le sussurrò Harun con dolcezza. «Devi raggiungere le scale e scappare in fretta. Siamo in pericolo».

A quella notizia lei sbarrò gli occhi e fece per interrogarlo, ma lui le coprì la bocca con una mano e la sospinse in direzione della scalinata in pietra.

«Non parlare» bisbigliò. «Fa' come ti dico e vai, ti prego».

Da quell'espressione, Zara sentì il panico impadronirsi di lei: poteva significare solo una cosa, ossia che gli uomini violenti che l'avevano sequestrata erano lì.

Malgrado il terrore avesse iniziato a scorrere come un veleno nel suo sangue, divenne consapevole di cosa Harun stesse suggerendole di fare...

Decisa, gli afferrò la mano e la strinse nella sua con forza.

«Non ti lascio solo» decretò in un sussurro. «Non voglio».

Lui ridusse le labbra a una linea sottile, contrariato.

Dopo sospirò e recuperò il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

Nel frattempo un rumore sordo si udì alle loro spalle. Zara osservò Harun interagire con lo schermo, per poi gettare l'apparecchio dentro il vaso di una pianta.

«Dunab è dalla parte opposta del palazzo e sta arrivando ad aiutarci» le riferì rapido. «Intanto dobbiamo guadagnare tempo».

«Harun...» sussurrò all'improvviso terrorizzata dall'idea che non potessero sopravvivere, e di non avergli detto chiaro e tondo cosa provasse nei suoi confronti. «Volevo dirti... che io...».

S'interruppe quando un gruppo di uomini armati giunsero di corsa nell'atrio, confabulando in arabo levantino e Harun si parò di fronte a lei per proteggerla.

Zara li riconobbe subito, nonostante indossassero mantelli che gli coprivano il volto e lasciavano liberi solo gli occhi: c'era quello che si muoveva agitato, così come il gigante con il coltello in mano e, infine, l'uomo con gli occhi spenti e vuoti. Zara non lo avrebbe mai potuto dimenticare, dato che si era finto un autista e poi era stato responsabile delle condizioni precarie di Stefano nel corso della prigionia. Non importava se non poteva vedere i suoi baffi, era certa che fosse lui.

A quel punto Zara lo guardò fisso, colta da un attacco di nausea. D'istinto afferrò la mano di Harun, quasi volesse incorporare la sua forza in sé e, al contempo, donargli la sua e dargli conforto.

«Ci sei riuscito, infine» disse il re senza battere ciglio, rivolgendosi al fratello. «Hai deciso di affrontarmi faccia a faccia questa volta, Agib?».

Il sultano di Shahiba rimase immobile, poi avanzò e al contempo si sfilò il cappuccio nero, attorniato dai suoi scagnozzi: erano in pochi, ma abbastanza per sopraffare lei e Harun.

Agib parlò in arabo tanto velocemente da impedirle di comprendere la maggior parte delle parole che rivolse al fratello minore.

«Oh, certo» commentò il re, interrompendolo. «Vorresti sfidarmi per un'antica legge che non è stata più applicata da... quanto? Circa due secoli?».

Il sultano sorrise, con tutto il fascino di un tremendo lupo che scrutava la sua preda. Quella smorfia soddisfatta sul viso, reso scuro dal sole, le dava i brividi ed era minacciosa come i due uomini che si era portato dietro.

Zara si chiese se Dunab sarebbe arrivato con i rinforzi come le aveva garantito Harun qualche attimo prima: potevano esserci emissari di Shahiba sparsi ovunque per il palazzo, da quello che poteva pensare al principio. 

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora