(2.2)

98 21 16
                                    

Bicchan si era sempre sentito un mostro. A dire il vero, non aveva niente di veramente sbagliato, a parte un po' tutto: la timidezza, la debolezza, la bassa statura, il corpo cicciotto e strano, l'essere stato sradicato da casa e ripiantato dall'altra parte del mondo come una talea. Il suo amico Tenkun aveva presto percepito il suo dolore e se ne era fatto carico; perché un dolore diviso in due è meno della sua metà, e diventa anzi un'occasione per trasformare le ferite in dolcezza.

I suoi compagni, invece, non avevano mai percepito tutto questo; forse perché orribili ed egoisti, forse perché giovani e stupidi, avevano perso l'occasione di gemellarsi con l'anima di un altro ragazzo, rinunciandovi per il finto, effimero piacere di fare un sopruso a qualcuno.

Questo era in effetti avvenuto anche in quella circostanza; Hiroshi e i suoi amici non avevano perso l'occasione di ricordare a Bicchan di essere sgradito, non capendo che questo avrebbe sul momento creato sofferenza nel loro compagno, ma nel lungo termine avrebbe svuotato soprattutto loro.

Bicchan si sentì dunque un verme; non per calcolo razionale, ma per quel terribile errore emotivo per cui chi subisce una violenza se ne sente la causa e la ragione, come se la tortura fosse giustificata se chi la riceve non ha il coraggio di opporsi a essa.

Tenkun, invece, era un principe dal dovere scritto nelle stelle: non avrebbe mai, mai tollerato un comportamento del genere. Appena capì quello che era successo, reagì di getto proiettandosi sul compagno che aveva fatto soffrire il suo amico così crudelmente. Lo fece molto prima di accorgersi che oltretutto, col suo comportamento, il suo compagno aveva anche tradito la promessa fatta a un membro della casa imperiale.

Hiroshi e i suoi amici avevano evidentemente previsto quella reazione, perché prima ancora che Tenryu potesse muoversi due dei compagni si erano già messi a trattenerlo; e visto che due non bastavano a contenere la collera del giovane principe, subito furono in quattro.

Il resto della classe fu confuso e in parte indignato. Non tutti erano cattivi come il giovane feudatario, tanto che un paio di compagni cercarono di consolare Bicchan. Lui non stava piangendo, ma per un solo motivo: non voleva dare a Hiroshi Fushimitsu anche quella soddisfazione. Altri compagni invece risero dello scherzo; molti, infine, pensarono che quanto accaduto non fosse affatto bello, ma pensarono anche che tra un principe imperiale e un nobile rampollo di una potente famiglia feudale fosse meglio non mettere il dito, quindi fecero finta di niente e si dedicarono ai fatti propri.

Il trambusto richiamò immediatamente l'attenzione degli insegnanti, che posero subito fine al tramestio. Nel dubbio, e nella certezza di non volersi prender male né con la casa imperiale né col casato Fushimitsu, conclusero che la causa fosse semplicemente il compleanno dello studente straniero; a Bicchan sarebbe toccato giustificare anche questa.

Tenkun, comunque, non era intenzionato a lasciar passare un simile affronto. Nella stessa notte di un anno prima in cui i suoi capelli erano misteriosamente diventati chiari, i suoi occhi erano diventati arancioni; quando si arrabbiava, quegli occhi bruciavano ancora di più. Dunque il principe si trattenne, ma guardò Fushimitsu negli occhi con lo sguardo rosso di fuoco di un vero drago. Non lo incenerì, ma lo sfidò: "Hiroshi Fushimitsu, hai insultato il mio amico. Ti sfido qui e ora, come suo campione, a uno scontro con le spade di legno."

Le lezioni dovevano riprendere e non era certo possibile fare lì e allora, ma sarebbe bastato attendere un paio d'ore. Non era certo la prima sfida tra nobili che si scatenava in quella scuola; come era d'uso in Orientalia, le sfide tra nobili andavano risolte col kyosodo, lo sport di combattimento altrove ignoto e tipico solo di quella remota isola.

Tuttavia, non andavano risolte con la versione sportiva, quella con le deboli spade di bambù, le protezioni su tutto il corpo e gli arbitri a gestire l'incontro. Andavano invece risolte con le regole militari: una serie di scontri a bastonate con le spade di legno, la sola protezione del capo, e nessun sistema di punti. Uno scontro con quelle regole può terminare sostanzialmente in due soli modi: o uno dei due contendenti riesce a spedire l'altro per terra e a toccarlo sulla fronte o sulla nuca con la spada prima che lui possa rialzarsi, realizzando quella che viene chiamata sottomissione; oppure uno dei due contendenti subisce tanti e tali colpi da arrendersi implorando pietà, per evitare di essere definitivamente riempito di mazzate.

Aiuto! C'è un drago nel congelatore!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora