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Dopo qualche minuto, arrivarono finalmente all'ingresso dell'area della nuova discarica. Accanto alla strada si apriva uno slargo, da cui partiva un vialetto di terra battuta; più avanti videro iniziare un bosco. In mezzo però c'era una sbarra abbassata; il resto dell'area era già stato recintato, in modo da lasciare aperto soltanto quel passaggio. Accanto alla sbarra c'era un gabbiotto, e sopra il gabbiotto c'era un grosso cartello: Industria recupero energetico Tsuhashi.

Dal gabbiotto uscì un sorvegliante che li guardò fissi. Non sembrava molto amichevole.

"Aspetta qui seduto", disse Kenshin a Bicchan. Si riprese la spada, scese dall'auto e si diresse verso il sorvegliante. Gli arrivò davanti e lo approcciò in modo gentile.

"Scusi, noi vorremmo visitare l'area della futura discarica."

"Non si può", rispose il sorvegliante. "È un'area privata."

"Mi risulta che al momento sia ancora pubblica."

"È come se fosse già privata e io ho ordine di non far entrare nessuno."

Kenshin tirò fuori il tesserino. "Senta, io sono una guardia imperiale, vengo dal palazzo imperiale su ordine diretto del principe Tenryu Kaedeyama."

Il sorvegliante non fu impressionato. "Chi? A me non è stato detto niente."

"Le ripeto, io sono un pubblico ufficiale e questa è un'area pubblica. Lei non vuole fare resistenza a un pubblico ufficiale che rappresenta la casa imperiale, vero?"

Il sorvegliante cominciò ad apparire più incerto, ma non mollò. "Ma... mi dispiace, io lavoro per l'industria Tsuhashi e non posso farvi entrare."

Kenshin infine perse la calma, per quel poco di calma che poteva perdere uno tranquillo come lui; ma l'area era ancora pubblica, loro avevano diritto di entrare e impedirglielo era un abuso. Quindi fece semplicemente una piccola smorfia di disappunto, poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, afferrò la spada che aveva rimesso alla cintura, la sguainò e con un gesto rapido e preciso la piazzò perfettamente orizzontale, di lato, a pochi centimetri dagli occhi della guardia. Con aria scocciata, cercò di trasmettere un messaggio chiaro.

"Senti, amico, la vedi questa? È una spada dell'armeria imperiale. Se guardi bene all'inizio della lama, vedrai impresso il sigillo dell'imperatore. Ti basta vederla di lato o devo fartela vedere anche di taglio?"

Il sorvegliante aveva una pistola, ma ora aveva in qualche modo percepito che, chissà perché, quel ragazzo appena maggiorenne fosse un tipo con cui non scherzare troppo. In fondo, aveva la divisa, un tesserino e una spada dell'armeria imperiale; anche se non si sarebbe mai aspettato che un ragazzo come quello potesse davvero essere parte di quel corpo militare così selezionato, decise di cedere. Così, tornò nel gabbiotto e aprì la sbarra.

Kenshin rinfoderò la spada, risalì in macchina e superò la sbarra sgommando, non perché fosse arrabbiato ma perché non aveva ancora imparato a controllare bene la partenza.

Bicchan era di nuovo spaventato. "Cos'era quella scena? Perché l'hai minacciato con la spada?"

"Non l'ho minacciato, gliel'ho solo fatta vedere."

"Ma non hai detto che non la usi mai?"

Kenshin sorrise. "Quando ci vuole, ci vuole."


Parcheggiarono l'auto poco più avanti, dove finiva la strada e iniziava un sentiero nel bosco.

Era un bosco bellissimo, formato da centinaia di antichi alberi di faggio. Bastò addentrarsi tra le piante per pochi metri per essere proiettati in un mondo diverso, glorioso e pieno di vita. Non faceva più così caldo; le fronde verdi proteggevano la terra come un immenso ombrellone, permettendo agli arbusti, agli animali e a due ragazzi in gita di godersi il pomeriggio. Un piacevole venticello sosteneva il volo di decine di uccellini; saltavano da un ramo all'altro e riempivano l'aria del loro cinguettio. Ogni tanto la brezza si faceva più intensa, agitando i rami e le frasche in un saluto ai passanti, in un sospiro che cresceva e si spegneva seguendo il ritmo dell'atmosfera.

"Ti spiace?" Kenshin si tolse le scarpe e le calze e cominciò a camminare sul sentiero a piedi nudi. "Scusa, lo facevo spesso da bambino."

Bicchan pensò che Kenshin dovesse avere i piedi di pietra; per combinazione, era la stessa cosa che pensava Tenkun ogni volta che in allenamento si prendeva un calcio dal suo fratellone.

I ragazzi furono sommersi da una sensazione di pace. A Kenshin quell'ambiente doveva sembrare familiare, ma Bicchan era cresciuto in città e aveva frequentato al massimo gli ordinati parchi cittadini, pieni di persone e di attività umane a qualsiasi ora. Non era abituato a trovarsi così indifeso davanti alla natura, respirando resina e fogliame, assorbendo la corrente dell'aria e l'energia del sole, ascoltando silenzio o rumori sconosciuti. Scoprì che era una sensazione sorprendentemente piacevole, ma si sentì anche un po' a disagio; per questo, dopo qualche tempo, riprese a parlare.

"Sei cresciuto in un bosco?"

"Sì", rispose Kenshin. Quello era tutto ciò che aveva intenzione di dire, e il suono del vento riprese possesso della partitura.

Dopo un po', Bicchan provò a rilanciare ancora il discorso. "Non sembra una boscaglia degradata."

"No. Questi faggi devono avere centinaia di anni."

Entrambi conclusero silenziosamente che non ci fosse molto da dire. In fondo, ognuno di loro sapeva fare delle cose. Bicchan sapeva usare i computer e risolvere i problemi di matematica; sapeva come prendere la metropolitana e anche l'aereo; una volta, aveva persino imparato a costruire un centrotavola partendo dalle mollette di legno per stendere il bucato. Kenshin sapeva usare la spada, accendere il fuoco, cucinare alla griglia, dormire in un riparo di fortuna, trovare il nord guardando il muschio o le stelle; più o meno, sapeva persino guidare una macchina.

Nessuno dei due, però, avrebbe saputo come rifare quel bosco se fosse stato abbattuto.


Arrivarono comunque fino al fondo del sentiero, semplicemente per il piacere di farlo. Il bosco finiva contro un torrentello; a cavallo dell'acqua c'erano i resti di una grande ruota di legno, attaccata a una piccola costruzione che doveva contenere il resto del mulino.

Per secoli, gli antichi abitanti del villaggio erano venuti in quel luogo a macinare i cereali per avere farina; nei secoli in cui non c'era il supermercato e a ben vedere nemmeno molto da mangiare, quella ruota doveva avere sfamato migliaia di persone.

Kenshin si guardò attorno. "Sarei sorpreso se non ci fosse qualche spirito in giro. Più un luogo è stato importante per le persone, più conserva tracce delle vite passate."

Bicchan non credeva affatto agli spiriti, eppure non si sentì di protestare.

Tornarono indietro lentamente; il semplice fatto di essere stati insieme in mezzo alla natura li aveva resi più amici. Giunsero di nuovo all'inizio del bosco, là dove avevano lasciato l'auto. Lì a fianco c'era la recinzione, e oltre la recinzione iniziava la discarica esistente: un mare ordinato di immondizia, in parte già consumata, in parte interrata, in parte appena depositata da grossi camion che facevano un rumore infernale. Il contrasto parlava da solo; non c'era altro da aggiungere.

Prima di salire in auto, mentre Kenshin si rimetteva le scarpe, Bicchan gli fece una domanda.

"Senti, ma a te sembra normale tirare giù questo bosco meraviglioso per buttarci dei rifiuti?"

"No. A me sembrerebbe più normale togliere i rifiuti e farci crescere un altro bosco."

つづく (continua)

Aiuto! C'è un drago nel congelatore!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora