(7.2)

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Quando infine riapparve la mattina, Tenryu si svegliò. Fuori dalla sua stanza lo aspettava già il riso per la colazione. Di contorno al riso però c'era Mutsu.

"Signorino, fate colazione e poi vestitevi per bene. Vostro padre vuole vedervi."

Suo padre doveva dargli la cattiva notizia. In Orientalia gli uomini non hanno troppo diritto ai sentimenti, per cui gliela diede in modo asciutto.

"Come pensavamo, tua madre è morta stanotte."

Tenryu corse ad abbracciarlo, perché così aveva immaginato che si dovesse fare. Forse è più facile accettare una tragedia se è prevista e se si svolge lentamente, se il dolore viene spalmato giorno dopo giorno in piccole dosi, anche se alla fine la sommatoria di tanti piccoli dolori può essere una pena cronica e immensa. Forse, Tenryu aveva già sofferto talmente tanto che quell'ultima notizia era infine anche una liberazione, il permesso di smettere di soffrire. Sul momento, però, non gli sembrò così; si mise a piangere.

Il principe Tenma lo riprese subito. "Non piangere, Tenryu. Sei un principe imperiale. Se proprio devi piangere, fallo quando sei da solo."

Tenryu annuì e si mangiò le lacrime.

"Bene." Il principe Tenma passò alle questioni pratiche. "Abbiamo già tutto pronto e faremo il funerale domani, in forma strettamente privata. Ci sarà un annuncio pubblico soltanto dopo il funerale. Capito?"

Tenryu annuì di nuovo come un bravo bambino.

Suo padre proseguì con le istruzioni.

"Adesso torna da Mutsu, se hai bisogno di qualcosa chiedilo a lui. Se serve, lui chiamerà me."

A parte che di una famiglia, Tenryu non aveva bisogno di niente; quindi si congedò. Poi però, quando era già praticamente sulla soglia della stanza, il padre ebbe un'altra idea.

"Senti, stavo pensando... Con tua madre, il casato dei Kaedeyama si è ufficialmente estinto. Non ti piacerebbe continuare a portare il nome della sua famiglia? Sarebbe un modo per onorarla."

Tenryu non era sicuro di quale fosse il senso di quella proposta. Gli avevano insegnato che lui, come principe imperiale, aveva una prerogativa speciale: quella di non avere un cognome. Davvero ora ne avrebbe avuto uno? A lui, però, avrebbe fatto piacere. In fondo, lui si era sempre sentito più Kaedeyama che erede imperiale.

Quindi, Tenryu annuì ancora una volta.

Il padre sembrò compiaciuto. "Bene! Allora faremo anche questo."

Tenryu si congedò di nuovo.


Mutsu era rimasto ad aspettarlo nella sala del suo appartamento.

Tenryu gli chiese spiegazioni su quell'idea del cognome.

Mutsu era perplesso. "Ma no, non potete avere un cognome, siete un principe imperiale. Avrete capito male."

Tenryu insistette fino a quando Mutsu non andò a chiedere conferma a Tenma. Quell'idea del cognome poteva avere solo un significato: una forma di disconoscimento del ragazzo da parte della casa imperiale. Eppure, come Tenma ribadì a Mutsu, era proprio così; nessuno avrebbe tolto a Tenryu il suo rango di principe e la sua posizione di terzo in linea alla successione imperiale, ma sarebbe stato chiaro a tutti che la casa imperiale non lo considerava più alla pari degli altri suoi membri.

Mutsu sperò che ci fosse una ragione di stato molto valida per quella decisione; non ebbe cuore di spiegarne le implicazioni al giovane principe. Lui, peraltro, era perfettamente in grado di capirle da solo e non ne era stupito.

Tenryu chiese però una cosa. Se doveva essere un Kaedeyama, doveva avere almeno gli ultimi resti di quel casato: il libro degli antenati, un antico e grosso volume scritto a mano che conteneva tutta la storia della famiglia, e la spada ufficiale, Koyoken.

Mutsu fu di nuovo perplesso. "Va bene il libro, ma siete troppo giovane per avere una spada vera!"

Di nuovo, Tenryu insistette; di nuovo, Mutsu cedette. Di nuovo, andò nelle stanze del principe Tenma a negoziare per lui.

Nel pomeriggio, Mutsu tornò nell'appartamento del principe Tenryu ora Kaedeyama, seguito da due inservienti. Il libro non c'era; Mutsu gli disse che per ordine di suo padre il libro degli antenati del casato Kaedeyama era stato archiviato. Era chiuso nel deposito dei beni terreni di sua madre e non gli sarebbe stato dato. In compenso, gli sarebbe stata data la spada.

Infatti, i due inservienti trasportavano un sostegno su cui era appoggiata in orizzontale una grossa spada leggermente ricurva; lo misero su un tavolino in una nicchia, nella sala principale dell'appartamento del principe.

Quella era Koyoken, la spada dai colori dell'autunno; era molto antica ed era da sempre, di padre in figlio, la spada del feudatario Kaedeyama, il signore del monte degli aceri.

Tenryu sapeva già tenere una spada in mano senza problemi. Da anni gli insegnavano il kyosodo; in quegli ultimi mesi era diventata la sua unica passione e il suo unico sfogo. Però, non aveva mai preso in mano una spada vera, una spada d'acciaio; solo spade di legno o di bambù.

Aspettò che non ci fosse nessuno, poi si avvicinò e si presentò alla spada. Le fece un perfetto inchino e con grande serietà le disse: "Onorevole Koyoken, mi permetto di presentarmi. Sono il principe Tenryu Kaedeyama e da oggi sarò il suo compagno."

La spada non rispose, forse perché era rimasta inutilizzata per molti anni. Sua madre certamente non l'aveva mai usata; suo nonno non era un appassionato di spade, anzi era un pacifista, e si era limitato esclusivamente agli usi di rappresentanza strettamente necessari per il protocollo.

Tenryu non sapeva se avrebbe mai usato quella spada in alcun modo. Come armi vere e proprie, le spade erano ormai fuori moda da un secolo abbondante; era vero che la guardia imperiale insisteva per portarle alla cintura anche come arma, ma nelle situazioni di vero pericolo si aggiungeva la polizia con le pistole. Come strumento sportivo, un'antica katana d'acciaio era inutile; era troppo tagliente e pericolosa per poter essere usata senza troppi rischi per i contendenti. Già le spade di bambù erano rischiose, e le spade di legno del kyosodo militare lo erano ancora di più; una spada d'acciaio era fuori discussione. Quindi, Koyoken gli sarebbe servita essenzialmente per le cerimonie.

Eppure, qualcosa disse a Tenryu che non sarebbe stato tutto lì; che quella spada prima o poi sarebbe stata usata da spada, e che avrebbe salvato la vita a lui e alle persone a lui care.

Non ci fu alcuna spiegazione razionale per quest'idea. Semplicemente, Tenryu lo seppe; lo seppe quando si avvicinò e con tutta la cautela del mondo estrasse la spada dal fodero. La prese, la impugnò con entrambe le mani e la sollevò: era bellissima, e lui sentì una strana energia scorrere tra il suo corpo e l'acciaio.

In un giorno così triste, Tenryu sorrise; non dimenticò il suo dolore, ma sentì un brivido di vita futura farsi largo in qualche modo.


Infine, nel punto più caldo del tardo pomeriggio, vennero a prenderlo per la veglia.

Tenryu fu vestito con gli abiti nuovi che gli avevano preparato per il funerale. Erano completamente neri, neri come i suoi occhi, neri come i suoi capelli; nero l'haori con cinque stemmi imperiali, nero il kimono, nero l'hakama. Lo fecero sedere in prima fila ad ascoltare le preghiere, pensando all'immagine di sua madre col volto stranamente coperto da un velo, vestita di un kimono bianco, ma con la parte destra chiusa sopra quella sinistra.

Dopo alcune ore, quando si fece tardi, decisero di risparmiargli la lunga e impietosa attesa dell'alba; ebbero compassione e lo mandarono a dormire.

つづく (continua)

Aiuto! C'è un drago nel congelatore!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora