Episodio 8: Le foglie degli aceri

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All'inizio di un denso mese di ottobre, il principe Tenryu Kaedeyama decise infine di affacciarsi al mondo per raccontare le proprie avventure; e fu proprio allora, non prima e non dopo, che cominciò a rivedere in sogno la propria madre. Quelle visioni precedettero l'inizio stesso del racconto: fu come se la sola decisione fosse stata sufficiente a liberare i pensieri.

In quel sogno, il giovane Tenryu era sul palco di un teatro, chiuso in una gabbia; e in questa premessa non c'era alcunché di sorprendente, visto che il principe era stato messo su un piedistallo dorato e insieme chiuso nella grande gabbia del suo rango e del suo palazzo sin da quando era nato.

Da tempo lui voleva uscire dalla gabbia, ma non ne aveva mai trovato la chiave. Nel sogno c'era una chiave, una chiave blu, ma non c'era alcuna serratura in cui infilarla. Per questo, in quel sogno lui impiegava tutte le proprie energie per spezzare le sbarre di quella gabbia, come se fosse un illusionista che su quel palco doveva esibirsi in un gioco di prestigio per romperle o per aggirarle magicamente.

Nel sogno, Tenryu provava a tirare, a spingere, a piegare, a svitare; provava a infilarsi, ad appiattirsi, ad attorcigliarsi; provava a prendere la spada dei suoi antenati, Koyoken, e a usarla per tagliare il metallo della gabbia. Provava persino a trasformarsi in un drago vero e a sciogliere le sbarre con una grande fiammata. Eppure, qualsiasi cosa lui provasse a fare, le sbarre non cedevano minimamente. Restava prigioniero, senza alcuna altra speranza che trovare qualcuno fuori dalla gabbia che gli spiegasse come uscirne.

In quel sogno, però, nella platea e nel resto del teatro non c'era mai nessuno; Tenryu era sempre completamente solo.

Fu proprio la sera in cui infine si affacciò al mondo, usando la rete per lanciare un messaggio a chiunque l'avesse voluto raccogliere, che il sogno cambiò. Nel sogno di quella sera, alla fine di tutti quegli inutili ed estenuanti tentativi, fuori dalla gabbia, in piedi sotto il palco, apparve una persona.

Nella penombra della platea, la persona era poco visibile; era voltata di spalle. Era vestita con un kimono bianco, su cui spiccava una lunga e liscia chioma completamente nera. Lui non poté vederla in faccia, ma fu immediatamente certo che si trattasse di sua madre.

Lei si girò, e cercò di dirgli qualcosa. Mosse le labbra, ma da quelle labbra non uscì alcun suono. Anche Tenryu provò a gridarle qualcosa, ma scoprì con orrore che il suono non usciva più nemmeno dalle sue. Erano entrambi chiusi lì dentro, bloccati in una recita in un teatro fatto di silenzio.


Qualche giorno dopo, Tenryu incontrò Konan. Era lo scrittore; Mutsu lo aveva scelto a caso tra le dozzine o le migliaia di autori che inutilmente inviano la presentazione del proprio lavoro a chiunque potrebbe in qualche modo volerla leggere, senza che nessuno la legga mai. Fu però un caso fortunato, perché Konan non era soltanto uno scrittore. Era, per piacere, un esploratore dell'animo umano; quel genere di esploratore che ascolta i racconti delle persone, li scrive e li comprende, cercando di aiutarle a guarire dalle ferite più ingiuste della vita.

Dopo molti inchini, Konan fu fatto accomodare su una poltrona in stile occidentale, portata appositamente fin nella sala dell'appartamento del principe. Tenryu, invece, preferì stendersi in terra sui tatami di paglia e raccontargli le sue storie da lì, fissando ossessivamente le grandi travi di legno scuro del soffitto.

All'inizio, le storie del principe erano buffe e divertenti, talvolta misteriose, talvolta avventurose, talvolta dolci. Eppure, più di giorno Tenryu tirava fuori il proprio passato, più di notte continuava a sognare sua madre.

Generalmente, il sogno si ripeteva quasi uguale. Ogni tanto, però, ci fu qualche variazione. Per esempio, una sera finalmente a Tenryu uscirono di bocca delle parole.

"Mamma, come faccio a uscire di qui?"

Allora, anche sua mamma rispose; ma lui non riuscì a capire cosa stesse dicendo. Improvvisamente, infatti, aveva cominciato a piovere. Gli piovve in testa da una grande altezza, e la pioggia che cadeva sul palco fece un forte rumore che gli riempì la testa. Non si bagnò, perché era protetto dalla sua gabbia, ma lo scrosciare dell'acqua mandata giù dal cielo gli impedì di scoprire quale fosse il messaggio di sua madre.

Continuò a gridare con tutta la voce che aveva, chiedendole di ripetere; ma per quanto lei ripetesse, lui non riuscì mai a capire le sue parole.

Poi, la pioggia divenne talmente intensa che tutto attorno a lui il teatro si riempì d'acqua, e l'acqua salì e salì fino a travolgerlo.

Tenryu si svegliò di colpo nel proprio futon, mentre fuori dalla sua finestra, nel buio di una notte ostile, un grande temporale aveva avvolto l'intera città.


Presto quei sogni diventarono una tortura. Per due anni, Tenryu aveva cercato di chiudere ordinatamente il ricordo della perdita di sua madre dentro un cassetto; ma i cassetti dell'anima non chiudono bene, e in qualche modo la notte li riapriva e rimetteva tutto fuori alla rinfusa. Più lui faceva ordine la sera, e più disordine ritrovava dentro di sé il mattino dopo; cominciò a rinvenire altre memorie di cui non ricordava più l'esistenza.

Un giorno vinse il torneo di kyosodo tra gli eredi dei feudi di tutto l'impero; scoprì che se di notte la sua spada era troppo debole per tagliare quelle sbarre, di giorno invece era veramente forte. Questo gli parve dare più senso alla sua lotta per vivere e lo rese più tranquillo, così raccontò a Konan la prima storia legata a sua madre: quella di un modellino di aereo, e di come quel modellino gli avesse infine permesso di condividere il suo lutto con il suo migliore amico.

Questo gli fece ritornare alla mente altri sogni legati a sua madre, quelli che aveva fatto nei giorni dell'addio; e raccontare quei vecchi sogni a Konan cambiò infine il destino del sogno che continuava a fare in quel momento.

Finalmente, quindi, una notte Tenryu riuscì a sentire almeno le ultime due parole della frase di sua madre; e quelle ultime due parole erano una domanda.

La domanda era: ti ricordi?

つづく (continua)

Aiuto! C'è un drago nel congelatore!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora