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«Basta. Non me va più.» ripete Manuel mentre, intento a preparare una cartina, fissa gli amici. «Me so rotto.»

«Hai paura di perdere?» domanda Chiara squadrando l'amico per cercare una motivazione valida a questa decisione.

«Te sta dando filo da torcere il ragazzetto, eh.»

«Me avete scocciato co questo atteggiamento.» sbotta. «Non me sento apposto co me stesso a fare sto giochetto. Me sta davvero aiutando co le ripetizioni e, lasciatemelo dì, se sta comportando d'amico più lui che voi. -rivolge un fugace sguardo a Brando- Io ce metto un punto qua e per me manco è esistita sta scommessa.»

Si mette il borsone in spalla e, dopo un accenno di mano, si avvia verso la propria auto.

Quel pomeriggio si erano incontrati al Pincio, come sempre, per trovare una scusa con cui rimandare lo studio. L'argomento prediletto era stato Simone e il tempo che mancava per mettere una fine a quel sadico gioco: Manuel, allora, aveva preso la palla al balzo per ritirarsi, incontrando non poca ostilità nei presunti amici.

Ormai era più di un mese che vedeva costantemente il minore e, in varie forme, era riuscito ad entrare dentro al suo mondo che, diversamente da come pensavano tutti, era pieno di sorprese.

Era stato proprio quel dettaglio ad averlo colpito, facendolo ricredere sul conto altrui.

Le domande erano aumentate e, lentamente, lo stavano schiacciando sotto al loro peso.

Era un po' arrabbiato per averla lasciata vinta agli altri perché con i suoi amici non aveva mai perso però, adesso, questo fardello era diventato troppo e lui non resisteva più.

Doveva tranquillizzarsi e pensare di aver fatto la cosa giusta, quello che era meglio per lui, per la prima volta - senza pensare troppo agli altri mentre agiva.

Con la testa piena di idee, aggrovigliate le une alle altre, apre lo sportello e si trascina al posto del guidatore, mette in moto l'automobile e parte, diretto per il campo sportivo.

Questa è la partita più importante del campionato e lui sa che, per come si sente adesso, non riuscirà a dare il massimo.

Il piazzale è pieno di macchine, parcheggiate le une accanto alle altre in maniera ordinata, quindi lascia la sua un po' fuori, così da evitare di sprecare un'ora intera per uscire una volta che dovrà tornarsene a casa.

«Manuel!» si sente chiamare alle spalle. Oramai quella vocina la conosce a memoria quindi nemmeno necessita di voltarsi per capire chi sia. È Jacopo, lo sa.

«Ciao campione.» perché l'ha chiamato con lo stesso nome che utilizza Simone? Dannazione Manuel, concentrati - pensa. Scosta lo sguardo ed incontra quello dell'altro fratello Balestra, tiene gli occhi bassi e non sembra intenzionato ad alzarli.

Ha i capelli più ricciolini del solito, tenuti fermi dagli stessi occhiali da sole che, per la festa di Halloween, aveva posto sul capo di Manuel. I jeans sono chiari e la felpa bordeaux con i polsini - gli dona quel colore, per inciso.

«Hai visto? Alla fine sono venuto, eh.» fa notare il bambino per richiamare l'attenzione di Manuel che, per una manciata di secondi, aveva trovato un soggetto più interessante da studiare.

Aveva fatto bene a porre una fine alla scommessa, sì, adesso ne era certo.

«Allora un giorno verrò anche io a vedere una tua partita, ti piace l'idea?»

«Seh!!» esulta e, spontaneamente, lo abbraccia. «Ora devi andare, se fai arrabbiare Maurizio ...» aggiunge con voce saccente circa le conseguenze per un ritardo.

Manuel ride e si passa una mano tra i capelli. «Si, hai ragione, meglio che vada nello spogliatoio.» alza poi lo sguardo verso Simone e «dopo possiamo parlare di una cosa?» gli domanda, sperando di avere una risposta non negativa.

Lui annuisce e annette un piccolo sorriso. «In bocca al lupo.» sussurra quasi, poi allunga la mano verso il fratellino. Manuel ricambia e si avvia dentro alla struttura. Jacopo allora guarda Simone e lascia la presa per portarsi entrambe le mani sui fianchi, continua a squadrarlo e sulle sue labbra si forma un piccolo riso.

«Perché ridi?»

«Niente.»

«Jacopo, niente segreti.» pigola. «Lo sai.»

«Niente Simo.» incrocia le dita. «Te lo giuro.»

Al che il maggiore, per niente convinto, annuisce e si lascia trascinare dentro. Qua il piccolo trova dei compagni di squadra quindi non ci pensa due secondi nell'unirsi a loro, tanto a fare compagnia a Simone è arrivata Chicca.

«Quindi t'ha chiesto de parla dopo.» ripete la ragazza, quasi necessitasse una conferma ulteriore a ciò che l'amico gli finiva di raccontare. «Te vole parla dell'altra sera, nun ve siete più parlati, giusto?»

«Si. -sospira- Cosa dovrei fare secondo te?»

«In che frangente?»

«Lo sai.»

Chicca tossisce. «Te posso di che te stai a fa dei grossi film mentali?» lo guarda. «Nun accadrà mai che te da 'l bidone Simo.»

«Questo lo dici tu. -la guarda ancora- Allora?»

«Morto 'n prete se ne fa n'altro, no?» chiede tranquilla, quasi ride.

«Un papa, non un prete.» la corregge come se, quell'aspetto, fosse la cosa più importante de discorso.

«Vabbé. Il senso l'hai capito però.» gli carezza la guancia dolcemente: Simone sembra così piccolo davanti ai suoi immensi sentimenti - ha paura di rimanerci schiacciato sotto morendo soffocato. «Perché non provi a prendere le cose come vengono? Come hai fatto al Kursaal ... vedi come ti sentirai più leggero e le risposte arriveranno da sole.»

«Dico, dico.» lo abbraccia. «Se poi nun è destino co lui vorrà dire che ti meriti qualcuno che te faccia sta meglio. Arriverà anche il tuo momento e sarà bello.»

«E il tuo di momento?»

Chicca gli scompiglia i riccioli e lo guarda. «Lo so che usi me solo pe cambia discorso, nun funziona con me Balè.» gli tira una leggera gomitata. «Guarda 'a partita mo, vorrà sapere come ha giocato dopo.»

Simone allora soffoca una risata e, tra i giocatori con la divisa verde, cerca il soggetto di suo interesse.

Trovato! È proprio bello, sì. I capelli sono tenuti fermi da una fascetta nera, tanto sono folti i ricci scuri, mentre sulle braccia svettano i vari tatuaggi. Si muove veloce, agile e lascia intendere di saperci proprio fare in quello sport - si vede lontano un miglio quanto si senta a suo agio in quei metri quadri coperti dal manto erboso.

In novanta minuti e il match termina -zero a zero- con uno stress palpabile nella squadra che giocava in casa, soprattutto nel numero nove, ovvero Manuel.

«Mi accompagna Chicca a casa.» lo avvisa Jacopo. «Così parli con Manu, -sorride- lo inviti a cena da noi?»

«Jaco dai, -lo guarda- ha pure la sua vita lui, no?»

«Ma è mio amico e poi già siete insieme dopo, quindi ...» controbatte con fare naturale. Si avvicina poi a lui e gli fa cenno di abbassarsi. «Se lo fai ti dico il segreto di prima.»

Gioca sporco, lo sa, eppure ci cade sempre.

«Vai a casa va'.» gli posa un bacio sulla guancia. «Ci sentiamo dopo Chì.»

«Seh. Ricordati che t'ho detto.»

«Cosa?» chiede curioso il bambino

«Una cosa de scuola, -gli afferra la mano- andiamo dai.»

Così se ne vanno davvero e Simone rimane seduto solo sugli spalti. Ha un po' di ansia, forse.

Si rigira una sigaretta tra le mani, la serra tra le labbra e l'accende.

«Ei.» arriva alle sue spalle, ha fatto piuttosto veloce - pensa.

«Ei.»

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