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Il tennis è sempre stata la valvola di sfogo di Simone, per qualsiasi cosa, in ogni situazione. Gli basta una racchetta e la pallina gialla a strisce bianche: non necessita di un campo perfettamente delineato e diviso da una rete, è superfluo.

Manuel aveva annullato le ripetizioni perché, anche quel pomeriggio, la babysitter gli aveva dato buca quindi doveva prendere lui il suo posto. Avrebbe voluto domandargli di sua madre ma, forse, non erano affari che lo riguardavano.

Così Simone aveva deciso di andare al campo dove si allena sempre quando fa  l'autodidatta, quello vicino al parco sotto casa di Brando: aveva sentito Chicca per farla scendere, liberandola da quel carcere, ma era impegnata - stava a casa di Monica per organizzare il viaggio che tutti insieme avrebbero fatto ad anno nuovo.

Sì, partivano sempre molto anticipate loro tanto erano perfezioniste e minuziose in determinati argomenti, a Giulio e Simone non dispiaceva affatto poiché trovavano terribilmente noioso sistemare tutte quelle scartoffie e documenti.

Nonostante sia tardo pomeriggio di fine settembre fa decisamente troppo caldo quindi pensa di fare l'unica cosa che possa concedergli un po' di sollievo; si avvicina alla panchina dove ha riposto lo zainetto e raccatta la borraccia colma di acqua, solleva il beccuccio e se ne lascia cadere un po' addosso.

Sta decisamente meglio adesso.

«Te prendi 'n malanno se s'alza il vento.»

Sobbalza e quasi si strozza con le poche gocce che è riuscito ad ingurgitare. Che ci fa lì?

«È arrivata mia zia adesso così ho pensato de uscì a fa due passi. Me hanno rincretinito tutto 'l pomeriggio. -prova a giustificarsi Manuel- Comunque me dispiace che t'ho pisciato all'ultimo, se te l'avessi detto prima magari te organizzavi pe fa le tue cose.»

Continuava ad essere gentile. Cazzo.

Al che Simone scuote le spalle e «non ti preoccupare, non mi è cambiato nulla.» risponde con tranquillità.

Deve provare davvero a fare come Chicca gli ha detto -non lasciarsi abbindolare- perché lo sapevano entrambi che, se avesse abbassato la guardia, il suo cuore avrebbe intrapreso un viaggio di non ritorno.

E non poteva accadere, non con lui, per come gli aveva consigliato la sua amica; lui le credeva, aveva fiducia in lei, dunque sapeva che non avrebbe detto mezza parola per lederlo.

«Ti stavi allenando, disturbo?» il maggiore si poggia al muretto e incrocia le braccia al petto.

«Ho finito adesso. -sorride- Domani devi portarmi gli esercizi che t'ho dato, li hai fatti?»

«Seh. Certo che li ho fatti.» afferma.

E invece no, non li aveva fatti e si era anche scordato, tra l'altro, di averne alcuni da fare.

Sì, a lui le ripetizioni servivano davvero però dover perdere ulteriore tempo dietro a quei numeri gli suonava assurdo.

«Alla terza stiamo in auditorium noi quindi ci sta che arrivo più tardi in classe. -avvisa Simone- Lasciali sul banco se non ci sono.»

«E qual'è il banco tuo? -domanda- Ah, aspetta lo so.»
«So cosa stai pensando e già ti dico che sbagli.»

«Niente prima fila posto davanti alla cattedra?» ride prendendolo in giro.

«Negativo. Banco vicino alla finestra, secondo fila a sinistra.» spiga Simone.
«Inaspettato. Non ci avrei pensato.»

«Hai pensato a dove sta il banco mio a scuola? -ride- Potresti trovarti passatempi migliori, lasciatelo dire.»

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