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Quell'immenso paragrafo di filosofia sembra meno complicato del previsto grazie alla spiegazione del padre. Difatti quest'ultimo ha ottenuto più di un dottorato in materia e segue continui corsi sulle attuali correnti di pensiero che, con l'evolversi del mondo, nascono di punto in bianco ogni giorno.

«Domani andrò volontario, così me la levo e fino compito non la ristudio.» afferma senza pensarci troppo, solo dopo si rende conto dell'eresia detta alle povere orecchie di Dante.

«Facciamonche io non ho sentito niente.» alza le spalle. «Quando è che ti sei comprato un libro sull'epistemologia del secondo Circolo di Vienna? Non che ti reputi un cretino ma non è assolutamente roba facile quella.» chiede poi curioso.

«Non è mio ... l'ha, l'ha lasciato —Manuel.» mormora quasi stesse ammettendo un reato.

Sul volto dell'uomo appare un sorriso sornione, allarga le braccia e, compiaciuto, sfodera una risata. «E finalmente qualcuno che, come me, si interessa a questi geni.»

«Pure Cartesio e Einstein erano geni.» controbatte Simone a braccio strette.

«Infatti non ho detto che loro non lo siano.» poi alza lo sguardo e cerca gli occhi del figlio. «Potresti farti aiutare anche da lui con filosofia, no? Magari lo ascolti più volentieri che a questo vecchio professore. Anzi, un giorno mi ci dovresti far proprio parlar-»

«Così poi non la smettete più di passare da un filosofo all'altro e il mio cervello andrà in fumo, -ride- però se ti fa piacere posso dirglielo.»

«Certo che mi fa piacere Simone ... comunque, non mi sento particolarmente spigliato in questi discorsi però, volevo dirti che per me non ci sono assolutament-»

Adesso anche lui aveva iniziato ad interrompere gli altri mentre parlavano, proprio come faceva Manuel. Annuisce e «grazie papà.» dice, per poi passargli un braccio sulla schiena.

L'uomo ride. «Vedo che a livello de affettività non sei migliorato, se fai così anche con quel poverello lo fai scappare Simone. Almeno un baci-»

Simone scatta in piedi e inizia a smanettare a caso. «Papà! Non —non parlerò di queste cose con te. Non le voglio sentire queste cose —no, no.» quasi urla con il suo fare tragicomico.

«Bene, sono entrato in un campo minato.» alza le mani in segno di resa. «Ti lascio in pace allora, tanto tra poco dovrai andare che hai gli allenamenti, no?»

Lui annuisce e controlla l'ora: ha ancora una mezzora buona prima di doversi incamminare verso il campo ‐ la Vespa l'ha abbandonato definitivamente ma lui, affettivo in maniera morbosa, non ha di certo intenzione di comprarne un'altra.

Il padre lo lascia da solo nel piccolo studio e chiude anche la porta cois da lasciargli la propria privacy. Simone allora prende una piccola bustina bianca, contenente i due biglietti e la apre. Sfila il regalo e l'osserva minuziosamente: Wembley, 28 luglio alle ore venti e trenta nel settore riservato; moriva dalla voglia di cantare quelle canzoni accanto a Manuel, dedicandogliele tutte sperando che quell'atmosfera si possa protrarre avanti per sempre.

Tra un pensiero e l'altro si fa l'ora di indirizzarsi all'allenamento quindi si cambia, prepara lo zaino ed esce di casa. Impiega soltanto una ventina di minuti per giungere al luogo interessato e, fortunatamente, constata che non ci sia nessun altro a parte lui e l'allenatrice.

L'ora e mezzo è intensa, faticosa ma, tutto sommato, soddisfacente e costruttiva: Simone cerca sempre di trovare il positivo in ogni situazione, non va mai a scovare il marcio nella mela, preferisce vedere il restante frutto maturo.

D'un tratto, mentre è seduto a bere dalla borraccia, si sente tappare gli occhi da dietro e una sfilza di baci cade sulla sua guancia. È Manuel, non ha detto nulla ma, ormai, riconosce le sue labbra e anche il profumo che porta.

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