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Simone sta percorrendo ininterrottamente la porzione di stanza che collega il letto alla scrivania.

Contina a guardarsi intorno come se la sua camera fosse piena di difetti o cose da correggere. Eppure è tutto in perfetto ordine, come sempre d'altronde.

Manuel sarebbe dovuto arrivare a momenti; lo sapeva dove abitava quindi non avrebbe dovuto avere problemi.

«Se po?» arriva alle sue spalle e il corvino un po' sobbalza: sicuramente è stato Jacopo ad aprire la porta senza avvisare, lo fa sempre e nemmeno si stupisce più.

«Ciao. -sorride- C'era Jacopo giù?»
«No.» compie qualche passo per entrare. «Ce stava tua mamma, poi ho visto il piccoletto che mi ha accompagnato su.»

«Oh, io non sono piccoletto.» ribatte il bambino aprendo la porta, stava origliando ancora.

«Jacopo già te l'ho detto che non si sta dietro alle porte per sentire cosa dicono gli altri.» ride Simone passandogli una mano tra la chioma scura e ben pettinata.

«E allora fatemi stare qui con voi.» si mette a sedere sul letto del fratello. «Manu hai visto la partita ieri?»

Il ragazzo tirato in causa sgrana gli occhi e si porta una mano alla fronte. Cazzo, ecco cosa aveva dimenticato la sera prima.

In diciannove anni che seguiva il calcio, non aveva mai saltato l'appuntamento alla televisione, o allo stadio, nemmeno una volta.

Perché diamine non se n'era ricordato.

«Brutta partita, eh.» dissimula facendola bere a Jacopo tant'è che quest'ultimo «tre a zero col Sassuolo, avete avuto un c-» inizia a dire prima che Simone lo guardasse male.

«Una fortuna così.» si corregge allora facendo scaturire una risata generale.

Il bambino li osserva, attento e silenzioso, percependo che gatta ci cova quindi è meglio se me vada. «Io vado con la nonna a fare il giardino. Quando avete fatto i compiti venite giù.» la sua vocina risuona quasi come un ordine e poi si defila dietro la porta, chiudendola.

«Non avevi visto la partita, vero?»
«Come fai a sapello?»

«So' un cervellone io, no?» gli fa il verso. «Si vedeva lontano un miglio che stavi mendendo. Dovresti migliorare con la recitazione, sai?»

Una pugnalata tra capo e collo avrebbe fatto meno male probabilmente; quelle parole gli si attaccano sulla pelle e non vorrebbero più andarsene via.

Un discorso che calza a pennello, pure troppo forse, ma pronunciato e rivolto alla persona sbagliata.

Se solo Simone avesse saputo quanto era bravo a far finta ad interessarsi alle persone Manuel, allora sarebbe andato a conferirgli un premio subito.

Ma per sua fortuna non l'avrebbe saputo, non ancora almeno.

«Lascia pure lo zaino là.» indica il letto. «Vado a prendere una sedia per te.»

Manuel annuisce e, non appena Simone esce dalla propria camera, prende a girovagarvi guardando ogni angolo di essa. Qualsiasi cosa rispecchiava l'animo del proprietario, per quanto lo conosceva almeno: aveva dei modellini di astronave su una mensola, delle foto attaccate al muro, quaderni precisamente impilati l'uno sopra all'altro dentro uno scaffale, dei blocchi da disegno e un'analogica in un ulteriore ripiano e un quadretto con degli assi cartesiani allineati l'uno accanto all'altro sotto ad una foto di famiglia.

«Che vuol di?» domanda a Simone non appena entra in camera con uno sgabello metallizzato.

Lui lo ripone vicino alla sedia e vi si siede, poi alza il capo e guarda i quattro grafici indicati da Manuel.

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