Strinsi le labbra tra di loro, stizzita.
Dovetti reprimere la voglia di tirargli una testata giusto perché ero consapevole che mi sarei fatta più male io di lui.

Mi lasciai andare con la schiena sul tronco dell'albero, in silenzio.
Avrei tanto voluto pulire tutto quel sangue che mi si era ormai seccato sul viso.

«Andiamo»
Guardai il ragazzo biondo che aveva iniziato a raccogliere le sue cose.
Mi stavano davvero lasciando li? Ero forse uno spuntino per le bestie che abitavano quel posto?

Sospirai stressata.
Quasi tutti i ragazzi erano ormai fuori dal mio raggio visivo.
Provai a strofinare le corde che mi legavano i polsi sulla quercia dell'albero, sperando che in qualche modo sarei riuscita a tagliarla, o anche solo allentarla.
Ma il nodo era così stretto da bloccarmi la circolazione e il fatto che il mio busto fosse appiccicato al tronco non agevolava i miei movimenti.

Se mi avevano lasciata da sola un motivo ci doveva essere. Se non avessero avuto la sicurezza che non sarei fuggita, non l'avrebbero mai fatto.
Quindi potevo solo aspettarmi che da un momento all'altro arrivasse un lupo affamato pronto a sbranarmi.
Provai a far sgusciare le mani fuori dalle corde ma, come ho già detto, erano troppo strette.
L'alternativa migliore mi sembrava quella di liberarmi prima dalle corde che mi tenevano ancorata all'albero.
Presi un respiro profondo ed iniziai a muovermi, mettendomi in punta di piedi.

Fortunatamente, nonostante il nodo che mi legava al tronco fosse stretto, riuscii a schiacciarmi sulla parete e, muovendomi, far scendere la corda sotto il mio bacino.
La scavalcai con i piedi.

«Perché tanta fretta?»

Impallidii.
Alzai lentamente lo sguardo sulla figura che si prestava davanti a me, a qualche metro di distanza.

Un ragazzo, con la schiena poggiata su un albero, mi osservava con curiosità. Dalla distanza potei cogliere il colore dei capelli castani, gli abiti verde scuro con una cinta dove teneva un pugnale foderato e un altro oggetto che sembrava essere uno strumento.

Non dissi nulla.
Solo dalla sua postura potevo notare una certa sicurezza, quasi arroganza, di chi sa sempre quale passo compiere, giusto o sbagliato che sia.
Lo notavo dalla serenità nel suo sguardo ostile, mascherato da una leggera ilarità tipica di chi si sente superiore agli altri.

Solo quando iniziò a venire verso di me la mia mente ebbe la grandiosa idea di ricordare.
Indietreggiai di un passo.

Quella figura.
Quella era l'immagine che la notte mi teneva sveglia, ansiosa. L'ombra sui disegni di William.

Non si era inventato niente. Era tutto vero, chiaro e presente davanti a me.
Era tutto così reale che provai una forte repellenza verso quel ragazzo. Ogni passo verso di me era un battito che mancava al mio cuore, e un'incessante sensazione di disgusto mi si insinuava nello stomaco.

Era troppo da reggere. Troppo da sopportare.
Ero così stanca da tutte quelle ore di corsa, così inorridita da quella nuova realtà di cui non comprendevo assolutamente nulla.

Ogni suo passo, io indietreggiavo.
Lo volevo il più lontano possibile. Solo guardarlo mi riempiva il petto di angoscia.

«Posso sapere il tuo nome?» mi chiese addolcendo lo sguardo e tendendo una mano verso di me, come se si aspettasse che, per qualche ragione, l'avrei afferrata.
Mi chiesi per quale motivo avrei dovuto farlo.

Mi girai, pronta a correre nuovamente, nascondendomi ancora una volta dalle mie paure. Volevo solo un attimo di pace, pochi minuti di tranquillità.

Ma era come se una forza più grande di me mi spingesse indietro. Ogni volta che avanzavo per allontanarmi da lui venivo rispedita esattamente sullo stesso punto.

Mi guardai intorno. La confusione era così tanta che sentii la testa iniziare a girare.

Mi ritrovai a fronteggiarlo.

«Ti ho chiesto come ti chiami»

Strinsi le labbra e incastrai i miei occhi nei suoi.
Sapevo di non dovermi mostrare impaurita, ma mi sentivo così persa che non riuscivo neanche a ragionare lucidamente.
Il mio sguardo duro non sembrava scalfirlo.
Aspettava ancora una mia risposta.

Rimasi in silenzio.
Non ci mise molto a spazientirsi.

Sentii una presa ferrea sulla gola e dopo pochi attimi mi ritrovai nuovamente attaccata alla superficie dell'albero, con il suo viso a pochi centimetri dal mio.

Cercai in tutti i modi di liberarmi dalla sua presa, ma non si mosse di un millimetro.

Lo colpii sul naso con la testa ed emise quello che sembrava un ringhio frustrato. La sua distrazione mi permise di liberarmi, ma nel momento in cui provai ad allontanarmi mi trovai nuovamente bloccata dalla sua presa.

«Inizi già a fare i capricci?» mormorò, ormai arrabbiato.
Per quanto ci provassi, non riuscii a non far vacillare lo sguardo.
I suoi occhi verdi brillavano in un modo innaturale, quasi demoniaco.

«Sfortunatamente per te non sono una persona paziente, ma sono sicuro che ti abituerai presto»

Lasciò bruscamente la presa sul mio collo, permettendomi di prendere dei grandi respiri. Non mi aveva fatto male, eppure era riuscito comunque a terrorizzarmi.

Mi appiattii sulla quercia, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra noi due.

«Vediamo quanto sei veloce»

Cronache del buio - Peter PanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora