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Gli sperduti mi condussero verso la foresta.

Non si curavano del fatto che non riuscissi a stare al loro passo, e mi sballottavano da una parte all'altra quando inciampavo sui miei stessi piedi.

Forse tentavo veramente di rimandare l'inevitabile, o magari ero solo troppo esausta per riuscire a mettere un piede davanti all'altro.
Ma mi sentivo come se stessi per essere giustiziata e speravo solo che quella camminata verso l'ignoto potesse durare il più a lungo possibile.

Quando i loro passi si arrestarono mi mancò il fiato per un attimo.

Davanti a me vi erano una decina di gabbie con le sbarre in legno, messe in fila, tutte vuote, con delle lunghe corde che le legavano a degli alberi.

Mi dimenai quando mi spinsero in avanti mentre qualcuno ne stava aprendo una.
Un ragazzo forzò la mia testa verso il basso, cercando di buttarmici dentro, ricevendo un calcio maldestro da parte mia che sembrò solo infastidirlo.

Stavolta mi spinsero con forza senza troppe cerimonie, e prima che potessi anche solo voltarmi la porta era già stata chiusa e bloccata saldamente con un nodo.

La sbarre erano talmente fitte che quasi non riuscivo più a vederli.

«Sorvegliatela. Non perdetela di vista neanche per un minuto» ordinò lo
sperduto, chinandosi poi verso di me.

Strinsi i denti e tirai un calcio alla porta, più per frustrazione che per altro.

«E tu sta buona» mormorò con uno sguardo freddo, quasi di sfida.
Avrei tanto voluto colpirlo, anche solo per veder scomparire quel sorrisetto dalla sua faccia.
Ma, non potendo fare altro, mi limitai a guardarlo con odio, allontanandomi verso il fondo della gabbia.

...

Non sapevo con certezza da quanto tempo fossi chiusa lì, forse qualche ora.
Ero solo sicura che avrei dato qualunque cosa per un po' d'acqua.

Per lo più, non mangiavo da quasi due giorni ed ero ormai priva di forze. In quelle condizioni non avrei potuto fare nulla.

Pensai che sarei morta lì, in quella prigione, con solo qualche ricordo del mio mondo a riaccendere quel briciolo di speranza che stava ormai scomparendo.
Ogni minuto che passava mi sentivo torturata dall'attesa, sfinita dalle mille domande che mi ponevo sulle mie sorti.

Gli sperduti, come da richiesta, non mi avevano lasciata sola un attimo. Ad ogni rumore scattavano verso di me, controllando che fosse tutto a posto e che non stessi tentando di fuggire nuovamente.
Non sapevano che in qualunque caso sarei rimasta lì. Facevo fatica a respirare, figuriamoci a correre.

Dopo ore ed ore di silenzio assoluto, sentii dei passi venire verso me.
Sgusciai verso il fondo della gabbia e portai le ginocchia al petto in un gesto di insicurezza, di protezione.
Ero terrorizzata, ma troppo stanca per poter reagire.

Fissai con attenzione i movimenti della porticina che scricchiolava mentre scioglievano il nodo che la bloccava.

Quando venne spalancata, potei solo vedere due paia di gambe snelle, che non faticai a riconoscere.

Se possibile mi schiacciai ancora di più verso la parete, circondando le ginocchia con le braccia.
Per nessun motivo sarei uscita di li, ora che proprio lui era a pochi passi da me.

«Esci» pronunciò la sua voce calda e allo stesso tempo raggelante, calma, metodica.

Sarei voluta sprofondare.
Anche solo quella parola mi fece stringere lo stomaco, dandomi quasi la nausea.

Cronache del buio - Peter PanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora