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Zav mi portò dentro la prima tenda in vista e mi poggiò, non molto delicatamente, sul letto.
Ero sicura che se avessi avuto ancora il controllo del mio corpo mi sarei fatta molto male.

«Non ti muovere» mi ordinò frettoloso abbandonando la tenda.

"Come se avessi scelta"
Gli avrei volentieri tirato una testata.

Lo sentii parlare con qualcuno in modo molto animato, come se fosse talmente agitato da non riuscire a comporre una frase sensata.
Lo associai al malessere del suo amico, del quale sorprendentemente gioii.
Forse a causa di questo l'universo aveva deciso di punirmi e magari era stata proprio la mia cattiveria a ridurmi in questo stato.
Non conoscevo bene Felix, ma mi ritrovai egoisticamente a pensare che una cosa del genere se la meritasse più lui che io.

Quando le voci cessarono, nel giro di pochi attimi mi ritrovai Pan seduto sul letto e per poco non ebbi un attacco di cuore. Sussultai dentro di me e sgranai leggermente gli occhi.

Mi scrutava pensieroso, senza il solito accenno di malizia e arroganza che gli circondava il volto.
Dopo un movimento della sua mano sentii il corpo finalmente più leggero, ma ero comunque molto debole.
Riuscii a malapena a mettermi a sedere.

«Non sforzarti troppo» mi rimproverò.

Non lo ascoltai e mi sistemai meglio, poggiando la schiena sulla testiera del letto.
Sospirai esausta, sia mentalmente che fisicamente. Quei pochi giorni sull'isola erano riusciti a sfinirmi. Il correre senza una fine, lo stare sempre sull'attenti, il tormento e la pressione che Pan mi schiacciava contro erano diventati insopportabili. E la magia. Quella era una cosa che non ero sicura di voler accettare.

«Per tua fortuna non è niente di irrecuperabile. Molti non avrebbero neanche mostrato dei sintomi, ma a quanto pare tu sei debole»
Ed ecco che quel ghigno fastidioso tornava a torreggiare su di me. Però stavolta sembrava forzato, come se non fosse dell'umore per prendermi in giro ma si imponesse di farlo. Mi chiedevo solo il perché.

«Come sta Felix?» mormorai, non perché mi interessassi davvero della sua salute. Volevo solo accertarmi che, almeno, stesse soffrendo più di me.

Lui sembrò quasi sorpreso dalla mia domanda.
«Meglio. Chiunque l'abbia avvelenato è stato abbastanza stupido da non farlo durante la notte» subito dopo aver concluso la frase mi rivolse un'occhiata strana.

«Non l'ho avvelenato io» mi difesi immediatamente.

«Lo so. E poi, non ne saresti in grado»

Il modo in cui lo disse quasi mi offese. Insomma, non la consideravo una cosa brutta da dire, ma lui aveva questa capacità di rigirare le parole a suo piacimento per farmi pesare il fatto di essere "debole", come diceva lui.

«Neanche mi conosci» sospirai.

Sbuffò in una risata leggera.
«Tu credi?»

Si avvicinò maggiormente, sedendosi vicino alle mie gambe. Le sue dita si avvicinarono a me, stringendo poco dopo il merletto della mia camicia tra le dita. Mi osservò serio, spostando di tanto in tanto la mano verso le maniche.

«Ti conosco più di quanto immagini, Laila. A dire la verità, credo che l'unica cosa di cui non fossi a conoscenza fosse proprio il tuo nome»
Il suo sguardo seguiva il lento movimento delle sue dita ferme che attraversavano i miei vestiti sgualciti. Il mio invece era fisso sul suo volto. Troppo calmo e poco accusatorio.

«Che cosa vuoi da me?» chiesi finalmente.

Mi guardò. Nella penombra riuscivo comunque a scorgere la luminosità innaturale dei suoi occhi, verdi come l'intera atmosfera che padroneggiava sul luogo.
Un sorriso quasi impercettibile si soffermò sulle sue labbra.

«Cosa potrei mai volere da te?» mi derise, la voce dolce che non sembrava appartenergli.

«Se non volessi niente, mi avresti uccisa»
In effetti, date le mie proteste, sarebbe stato molto più semplice togliermi di mezzo piuttosto che insistere così tanto per farmi diventare una di loro.

«Non sono così crudele come credi»

«Gli sperduti ti sono tutti fedeli. E, date le circostanze, questo mi fa pensare che tu non sia così magnanimo come mi vuoi far credere. Ho ragione di presumere che tu abbia eliminato molte persone in passato solo perché non osavano piegarsi al tuo cospetto» mormorai sicura.

Al contrario di quanto mi sarei aspettata, il suo sguardo non vacillò affatto. Era quasi come se si sarebbe aspettato una risposta del genere da parte mia.

«Questo» sussurrò, le sua mano fredda posata sulla gamba nuda. «Questo è quello che ti rende chi sei. Tu non pensi come fanno gli altri, ma come faccio io» inaspettatamente, la sua mano si staccò dalla mia gamba e si sollevò a mezz'aria.
I miei vestiti erano spariti, e al loro posto era comparsa una semplice camicia da notte grigio perla.

Lo fissai scombussolata. Non riuscivo a trovare un senso alle sue parole.
Ti conosco più di quanto immagini.

Non parlai, perché ero sicura che se ci avessi provato le parole non sarebbero uscite fuori.
Tutto si stava ricostruendo nella mia testa, troppi pensieri veloci che quasi mi offuscarono la vista.

«Ci stai arrivando, vero?»

«Tu...» sussurrai, mille brividi di disgusto che mi attraversavano il corpo.
«Tu sapevi che mi sarei ritrovata qui» constatai cercando di controllare il tremore nella mia voce.

«Se lo sapevo?»
Il suo sorriso cattivo mi fece venir voglia di vomitare.
«Ti ci ho portata io qui»

Per la prima volta dopo tanto tempo, sentii gli occhi riempirsi di lacrime. La testa iniziò a girare a causa della sua vicinanza, era come se fossi allergica alla sua voce, ai suoi occhi, al suo respiro.
Come la prima volta in cui lo vidi.

Posai i piedi a terra con l'intento di uscire da lì e allontanarmi il più possibile da lui, ma sembrava che le mie gambe non volessero collaborare. Mi appoggiai alla testiera del letto con il disperato bisogno di alzarmi in piedi e correre il più lontano possibile, ma lui non sembrava d'accordo.

Senza alcuna fatica mi fece risedere sul letto e mi rivolse un'occhiata gelida.
«Lo sai anche tu che non importa quanto ti allontanerai. Io saprò sempre dove trovarti. Risparmiati la fatica» mi avvertì con tono duro.

«Preferisco morire che passare un altro secondo qui con te» affermai sincera, sentendo le lacrime bagnarmi le guance senza che potessi controllarlo.

«Non farei mai del male ad una ragazza» proferì divertito, lasciando spuntare nuovamente l'arroganza che tanto premeva per riemergere.

«Eppure lasci che gli altri lo facciano»
Ricordai le volte in cui gli sperduti mi avevano inseguita o i pugni di quel ragazzo.

«Quasi quasi ti preferivo quando stavi zitta. Veramente? Gliel'ho lasciato fare?» mi riprese ironico.
«È già tanto che abbia permesso agli sperduti di rivolgerti la parola, o addirittura toccarti»

Quando si avvicinò con il volto indietreggiai fino a sbattere violentemente contro la testiera del letto.

«Zav mi ha detto che non ti avrebbe dato nessuna punizione nonostante abbia vinto la scommessa. Secondo lui, lo stato in cui ti aveva ritrovata era una penitenza sufficiente. Ma in ogni caso, non avrei mai permesso che ti torcesse un capello» proferì nuovamente calmo, afferrando cautamente una ciocca dei miei capelli scuri e iniziando a rigirarsela tra le dita.

«Sentivo da mesi il richiamo di tutti quei bambini che alloggiavano nel posto dove lavoravi. Per loro venire qui sarebbe stato un onore, un sogno. Perché per te no?» domandò quasi a se stesso.

«È allora perché non hai preso loro al mio posto?» ribattei furiosa.

Dopo neanche un secondo la sua mano si strinse sul mio braccio e mi tirò prepotentemente verso di lui.

«Sapere che non ti farò niente non ti da il permesso di rivolgerti a me in questo modo. Non ho bisogno di farti del male per farti capire chi comanda» ringhiò velenoso, lasciandomi spiazzata per un attimo.
Si alzò e, senza aggiungere nulla, lasciò la tenda.

Cronache del buio - Peter PanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora