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Erano passati un paio di giorni da quando eravamo arrivati a Storybrooke e non avevamo fatto altro che mangiare dolci nella stanza di Turner e guardare serie televisive. Non dimenticherò mai la faccia scioccata di Zav appena ha scoperto dell'esistenza della Tv.
Fatto sta che stavo iniziando ad annoiarmi. Non potevo mentire, la loro compagnia non mi dispiaceva affatto, e fortunatamente avevano anche messo da parte i loro disguidi per poter vivere serenamente. Eppure c'era qualcosa che mi tormentava, un pensiero fisso che non riuscivo a levarmi dalla testa e che mi teneva sveglia la notte. Ovviamente, quel pensiero aveva un nome...

«Credete che Pan riuscirà a trovarci?»
Sbuffai mentalmente per il tempismo di Turner e scelsi di tenere la bocca chiusa. Non so perché, ma non mi sentivo di dirgli che in realtà ci aveva già trovati. Sapevo che avrebbe rovinato tutto.

«Mi sembra strano che non l'abbia già fatto. Forse Uncino aveva davvero ragione...ma cosa ci sarà mai di speciale in questo posto?» commentò Zav.

Prima che uno dei due potesse nuovamente aprire bocca Graham fece il suo ingresso dalla porta. Guardai Turner di traverso e lui alzò le spalle indifferente, come se fosse normale lasciare le chiavi attaccate alla serratura.

«Ragazzi, ho buone notizie»
Sembrava stranamente allegro. Il piede destro martellava sul pavimento in maniera insistente e sbatteva gli occhi ad una velocità superiore al normale.

«Dato che tra una settimana ricomincia la scuola, ho pensato bene di occuparmi della vostra iscrizione...non dovete fare nulla, sistemerò tutto io»

Tutti e tre ci guardammo, confusi.
«Ma Signore, ricorda? Noi staremo qui solo due settimane...» disse Turner.

«Ragazzo, sei in vena di scherzi oggi? A proposito, qualcuno vorrebbe parlare con voi...»

Se possibile i due ragazzi accanto a me assunsero un'espressione ancora più scioccata.
Apparentemente, oltre al portamento esageratamente agitato, Graham sembrava essere a posto. Sbatté la porta dietro di lui senza aggiungere una parola.

Gli sguardi dei ragazzi si posarono su di me.
«Che gli hai fatto?»

Aggrottai le sopracciglia.
«Perché guardate proprio me?»

«Non lo so, dimmelo tu...» disse Zav assottigliando gli occhi, come se stesse cercando di studiarmi.
Gli tirai uno schiaffetto in fronte al quale rispose con un lieve 'Aia'.

«Non è opera mia. Ma sono sicura che quelle pupille così dilatate non siano la conseguenza della stanchezza...»

«Secondo te c'entra la magia? Questa è una comune cittadina, non credo sia possibile» commentò Zav.

Alzai le spalle.
«Dimmelo tu. Siete voi quelli che hanno vissuto decenni su un'Isola magica» risposi alzandomi dal tappeto e dirigendomi verso la porta.

«Dove vai?» chiese Zav distrattamente.

«Ad accertarmi che non sia opera di Pan»

Venti minuti dopo potei confermare la mia teoria. La receptionist dell'Hotel mi confermò che le nostre stanze non erano state pagate per due settimane ma che sarebbero state pagate giornalmente tramite una carta di credito. Sfortunatamente non sono riuscita a farmi rivelare il nome del suo proprietario che, parole sue, aveva espressamente chiesto che noi non ne venissimo a conoscenza. E dal momento che Pan sicuramente non possedeva una carta di credito, doveva trattarsi di qualcuno che proveniva dal mio mondo.

Non riuscii a comunicare la notizia ai ragazzi dato che Graham ci costrinse a seguirlo per conoscere i nostri nuovi "Capi". Non mentiva quando aveva detto che in qualche modo ci avrebbe trovato un'occupazione. Turner era stato mandato in una biblioteca dall'aspetto alquanto noioso, mentre Zav doveva aiutare degli operai a trasportare mobili dalla fabbrica.
Io fui scortata davanti al negozio di un certo Signor Gold che, a quanto pare, aveva disperatamente bisogno di un'assistente.

«È un uomo un po' particolare. Ti do un consiglio: qualunque cosa ti chieda, non fare domande» mi raccomandò Graham con l'aria piuttosto annoiata.
Ero sicura che non sarebbe stato affatto un problema per me, dato che non me ne poteva fregare di meno.

Appena misi piede nel negozio un forte odore di muschio e menta mi invase le narici. Ogni oggetto presente era cosparso di quel profumo nauseante.
Ad aspettarmi dietro il bancone c'era un uomo ben vestito, con i capelli leggermente più lunghi del dovuto e un'aria seria e raggelante. Teneva in mano un elegante bastone da passeggio e mi scrutava curioso.

«Benvenuta» mi salutò con voce decisa.
«Il tuo compito è semplice. Stai qui dietro e vendi i miei oggetti. I prezzi sono scritti sotto» mi comunicò prima di sparire velocemente dietro una porta che portava, presumibilmente, al suo ufficio.

Rimasi sorpresa dal suo atteggiamento così scostante e frettoloso. Mi aspettavo che avrebbe cercato di conoscermi per capire se fossi adatta a quel lavoro, ma a quanto pare non aveva problemi a fidarsi di una perfetta sconosciuta. Pensai fosse meglio così, almeno mi sarei risparmiata i convenevoli.

(...)

Pan non si era più fatto vivo. Era passata quasi una settimana e il pensiero che potesse fare qualcosa di avventato mi perseguitava. Aspettavo tutte le notti di vederlo piombare dentro la mia camera con un coltello, pronto a sguainarmi viva.
Mi stava facendo impazzire.

Turner sospettava che qualcosa non andasse ma non si era preso la briga di chiedermi cosa fosse. Quel pomeriggio si era solo offerto di portarmi a fare una passeggiata perché, a detta sua, non potevo passare tutto il giorno in camera mia a fissare il soffitto come uno zombie.

«Non so perché non ci ho pensato prima, ma mi sono resa conto di non sapere il tuo nome» dissi mettendo in bocca una caramella alla fragola.

Lui sembrò sorpreso.
«Beh non te l'ho mai detto. A dir la verità, non me l'aveva mai chiesto nessuno»

Aggrottai le sopracciglia, pensierosa.
«In tutti questi anni nessuno si è mai chiesto quale fosse il tuo nome?»

«Immagino di no. Sono sempre stato Turner, solo Turner. In realtà tutti i membri della ciurma li chiamavamo per cognome...tranne Killian, ovviamente»

Annuii, cercando di non pensare nuovamente a tutti quei marinai.

«Comunque mi chiamo Will. William Turner Terzo, per la precisione» sorrise ironico.
Trattenni una risata, ricevendo una spintarella amichevole.

«Non azzardarti a ridere di me. Era una cosa normale ai miei tempi» disse fingendo un'aria saggia.

«Immagino di sì...» mormorai divertita.

Scoprii molte cose su Turner quel giorno. Era nato in Scozia e cresciuto in Inghilterra con sua madre e aveva conosciuto Killian per caso mentre cercava suo padre. A quanto pare possedeva un oggetto che il Capitano desiderava e, dopo essere stati nemici per qualche tempo, si era ritrovato a far parte della sua ciurma a causa di una ragazza della quale non ha voluto dirmi il nome. Doveva esserne molto innamorato dato che al solo pensiero gli si riempirono gli occhi di lacrime.

Lo trovai estremamente tenero e...comune. Due ragazzi giovani e innamorati. Chissà lei che fine aveva fatto...

«E tu invece? E Zav...» mi chiese dopo qualche minuto.

«Cosa dovrei dirti di Zav? È un rompi scatole» alzai le spalle.

«Non eravate amici?»

«Se calcoliamo che ha cercato di farmi fuori un paio di volte...non credo che amici sia la definizione esatta» sdrammatizzai. A dir la verità non ci avevo ancora pensato bene. Anzi, mi sembrava quasi strano che fosse così tranquillo nei miei confronti dopo che aveva reso chiaro il fatto che non mi sopportasse proprio.

«Sarà, ma non era a quello che mi riferivo»

«E a cosa ti-» «Ma guarda, siamo già arrivati!» mi interruppe con un sorriso furbo.

Scossi la testa e lo seguii nell'edificio.
Non volevo sapere cosa passasse per quella testolina bacata.

Cronache del buio - Peter PanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora