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Non ci volle molto prima che la mia testa iniziasse a girare più di prima.
Ero stufa di correre, di scappare. Era l'unica attività che mi era stata concessa nelle precedenti otto ore.
Ma quando una figura così sinistra ti consiglia di fuggire, non puoi fare a meno di ascoltarla.
Soprattutto il modo, l'atteggiamento e la voce velenosa di chi è pronto a sbranarti da un momento all'altro mi avevano convinta a spingermi il più lontano possibile.

Mi accovacciai dietro allo scoglio sporgente poco distante dalla riva di una spiaggia.
Questo non poteva essere lo stesso luogo nel quale mi ero addentrata solo poche ore prima.

Questo posto aveva tutte le sembianze di un'isola. Un'isola dai colori accecanti, che rimbalzavano sulle mie iridi già affaticate.
Colori troppo brillanti per appartenere ad un luogo vero.

E non riuscivo a non pensare ad un milione di domande. Domande per le quali potevo solo ipotizzare una risposta razionale, che veniva prontamente smontata dalla realtà che mi si presentava davanti.

Io non avevo idea di dove fossi. Ma di una cosa ero più che certa: non ero al sicuro. E non riuscivo a pensare ad alcun modo per andarmene. Non sapevo come avrei fatto a trovare una via di fuga, e questo pensiero mi struggeva.

Potei finalmente lavare via il sangue secco dal mio viso e dalla mia gamba.
Non appena l'acqua toccò le mie labbra, potei constatare che non si trattasse di un mare. O, semplicemente, non era l'immagine che nei miei sedici anni di vita mi ero costruita su di esso.
L'acqua non era salata.

Tracciai con il dito la linea di un taglio che partiva dalla caviglia. Sarebbe rimasta una bella cicatrice.

Voltai la testa quando udii un suono.
Sembravano voci, ma capii subito che non si trattasse dei ragazzi che mi davano la caccia.
Erano voci adulte, di uomini per la precisione, e provenivano da un'enorme nave dalla quale spiccava una bandiera nera con un simbolo che sembrava alludere alla morte.

Mi immersi subito in acqua, cercando di rendermi il meno visibile possibile.

Quando riuscii a distinguere bene le sagome di quegl'individui loro erano già abbastanza vicini alla riva.
Vestivano principalmente di nero, e la prima parola che mi venne in mente per descriverli fu 'pirati'.
La nave, quella bandiera così sinistra... mi sarei aspettata di tutto.

«Sirena!»

Ci misi poco a capire che uno di loro mi aveva vista. Tutte le teste si voltarono verso la mia figura, o meglio, verso la mia testa, l'unica parte del mio corpo che si poteva intravedere a causa dell'acqua.
La mia reazione immediata fu quella di immergere anche quella e iniziare a nuotare nuovamente verso gli scogli, sperando di riuscire a seminare i loro sguardi.

Ma il mio respiro si bloccò non appena sentii un dolore lancinante alla spalla.
Solo vedendo l'acqua mischiata al sangue riuscii a capire di essere stata colpita, più precisamente, da una freccia.
Tornai in superficie, riuscendo con non so quali forze a non urlare dal dolore.

«Ottimo lavoro, Turner»

Sfilai la freccia dal mio corpo, desiderando di non averlo fatto. Il sangue iniziò a fuoriuscire sempre più velocemente, fino a farmi quasi perdere i sensi.

Mi sentii trascinare completamente fuori dall'acqua da quella che scoprii essere nient'altro che una gigante rete per pesci che mi sollevò fino all'orlo della nave.
Non trovavo le forze di combattere. Ogni mio movimento era seguito da una scossa di dolore insopportabile, che mi rendeva difficile dimenarmi.

Non appena fui scaraventata al suolo e scoperta dalla rete, una sfilza di circa venti uomini mi si parò davanti.
Tutti sembravano inorriditi dalla mia presenza.

«È umana» sentii mormorare uno di loro.

Mi rannicchiai su me stessa, sforzandomi di trattenere le lacrime di dolore. Osservai ognuno di loro, con il corpo tremante a causa del freddo improvviso, cercando di nascondere il più possibile il mio viso.

«Asciugatela. E curatele le ferite» pronunciò un uomo dalla voce sicura, di cui non riuscii ad identificare il viso.

Non appena uno di loro provò ad avvicinarsi strusciai all'indietro. Sentivo le vene esplodere dentro di me, ed ero sicura che se qualcuno mi avesse toccata non avrei esitato ad urlare.
Non mi consideravo una persona così codarda, nonostante la situazione.
Non era di fatto la paura a farmi reagire in quel modo, ma il bisogno di un momento di pace, qualche minuto da sola. Un po' di silenzio, e non il costante timore di essere inseguita, o ferita, o catturata.

Mi sembrava di vivere un incubo.

«Lasciati aiutare» continuò lo stesso uomo, adesso accovacciato davanti a me.
Potei finalmente distinguere i suoi lineamenti delicati ma pronunciati grazie ad una leggera barba scura che faceva in modo che i suoi occhi color ghiaccio spiccassero sul viso.

Sembrava giovane.

«Non abbiamo alcuna intenzione di farti del male» continuò, avvicinando una mano verso di me. A tale gesto, reagii come in precedenza.
Mi scostai bruscamente, riservandogli uno sguardo carico d'odio.
Sperai che avesse captato il mio avvertimento, e che non avrebbe più provato ad avvicinarsi.

«Turner, va a prendere delle coperte» ordinò ad un ragazzo sulla sua sinistra.
Turner.
Era stato lui a colpirmi.
Aveva anche osato lanciarmi uno sguardo carico di compassione, come se avesse voluto scusarsi.

«Qui sei al sicuro»

...

Non so con quale forza siano riusciti a trascinarmi all'interno di una cabina.
I miei occhi saettavano su ognuna di quelle figure, consapevole che il mio sguardo fosse ricoperto di fiamme.

Ora mi trovavo nuovamente rannicchiata al suolo, cercando di resistere all'insistenza dell'uomo che cercava in tutti i modi di posare una garza sulla mia spalla.
Non mi interessava dell'abbondante quantità di sangue che stavo perdendo. Volevo che se ne andassero tutti, che mi lasciassero in pace.

«Sto solo cercando di aiutarti, sta ferma» continuava a ripetermi l'uomo che si opponeva con forza alle mie proteste.

Alla fine, Turner dovette tenermi ferma per permettergli di coprirmi la ferita, nonostante le mie occhiate raggelanti.

Una volta finito il lavoro, mi invitò a sedermi sull'orlo di un materasso che sembrava avere minimo cinquant'anni. La polvere mi inondava le narici, portandomi ad arricciare il naso in continuazione.

Rimasi ferma dov'ero.

«Mi chiamo Killian» iniziò.
«Non avrei mai voluto che venissi ferita. Se avessi saputo che eri umana non l'avrei mai permesso»

Neanche mi degnavo di dar conto alle sue parole.
Non doveva avvicinarsi, ero sul punto di una crisi di nervi.
Volevo solo essere lasciata in pace.

Non ottenne alcuna risposta, eppure questo non lo scoraggiò.

«So che sei spaventata, ma qui sei al sicuro. Ricordi come sei arrivata qui?»

Lo fissai con uno sguardo vuoto. Non ero riuscita a chiarire le idee a me stessa; cercare di spiegare qualcosa a qualcun altro mi pareva un'impresa impossibile.
La mia mente iniziò a viaggiare per conto suo, rivivendo ogni istante di quelle terribili ore passate a combattere contro un destino ignoto.
Il mio sguardo dovette vacillare per un attimo, dato che ero quasi certa che l'uomo avesse compreso a pieno il mio stato d'animo.

Si alzò, per niente turbato dal mio silenzio.
«Ti lascio qualche momento per pensare e stare da sola. Se hai fame o sete c'è un vassoio sul comodino» concluse invitando il ragazzo a seguirlo fuori la cabina.
Quest'ultimo abbassò la testa e lo seguì senza proferire parola.

Cronache del buio - Peter PanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora