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Non credevo che uno sbaglio così insignificante mi avrebbe riempito la testa di voci ovattate e insicure.
Mi ero risvegliata nella tenda.
Volevo credere di star immaginando tutto e ci provavo con tutte le mie forze, ma forse era solo perché non potevo accettare che tutto mi fosse sfuggito di mano. Non avevo più il controllo della mia vita. Mi sentivo una marionetta che veniva sballottata da una parte e dall'altra senza che potessi fare nulla, senza potermi ribellare.

E in quel momento, mentre Pan mi lanciava addosso i suoi occhi angelici e innocenti, capii di non provare più nulla se non un profondo senso di disperazione. Ero disperata perché guardandolo non potevo fare a meno di vederlo come l'unica persona che potesse capirmi. Ero sola, completamente, e sentivo il forte impulso di aggrapparmi a lui e aspettare che mi riportasse in superficie o che venisse giù con me.

«Perché mi fai questo?» gli chiesi flebilmente mentre mi stringevo nelle sue braccia come se avessi voluto sprofondarci dentro e lui poggiava le labbra sulla mia testa. Mi lasciai cullare dal suono del suo cuore freddo e sentii rimbombare le mie parole nella stanza come un lungo eco che non ricevette risposta.
Volevo solo riavere la mia vita. Non volevo essere forte e sopportare, non volevo che nessuno cercasse di rendermi felice o di consolarmi. Volevo riavere la mia vita o lasciarmi cadere sempre più in basso fino a dimenticare ogni cosa perché il ricordo della felicità faceva troppo male.

«Lo so che fa male» sussurrò sulle mie labbra prima di posarci un casto bacio sopra come se fosse la cosa più naturale del mondo.
E io non reagii in nessun modo se non iniziando a piangere ancora più forte.
Perché sentivo di averne bisogno? Di aver bisogno di lui?
Aveva strappato la mia vita e l'aveva resa uno straccio, eppure pregai che lo rifacesse ancora e ancora, fino a farmi dimenticare chi fossi.

Mi accarezzò i capelli come un padre amorevole e io per un momento mi sentii di nuovo a casa.
Detestavo quella sensazione. Detestavo il fatto che non fossi riuscita a resistere alla sua trappola, e detestavo ancora di più non riuscire a provare ribrezzo nei suoi confronti.
Ma provavo rabbia. Tanta.
Lo odiavo con tutto il mio cuore, ma lo stringevo comunque a me sperando che un po' del mio dolore potesse passare a lui.

«Portami al Lago Bianco» lo implorai.

«No» soffiò nel mio orecchio con un tono che non ammetteva repliche, e così fu.
Non risposi. Non cercai di combattere.

Quella sera mi lasciai baciare per tanto tempo, ovunque volesse. Si stava approfittando delle mie debolezze e mi andava bene così, perché ne ero consapevole anche io.
Quella sera lo usai per mettere a tacere quelle voci ronzanti che mi accusavano di aver fatto un casino, di essere inutile e debole.

Ma la mattina dopo, quando mi svegliai con le sue mani che mi stringevano per i fianchi e il suo naso nell'incavo del mio collo, capii che non era servito a niente. Mi sentivo ancora vuota, forse anche più di prima.
Non riuscii a pentirmi di nulla perché niente aveva più un senso. Avrei potuto fare qualunque cosa e non sarei comunque riuscita a cercare un'emozione adatta da provare.
Ero diventata come il buio, spenta e persa nella mia mente.

Alla fine trovai le forze di alzarmi e lo scansai senza svegliarlo. Neanche mi stupii di trovare il Signor Gold seduto su un tronco mozzato fuori dalla mia tenda, intento ad ammirare la fitta strada di alberi alti e splendenti.

«Posto magico, non trovi?» mi chiese senza guardarmi. Indossava gli stessi abiti che gli avevo sempre visto, composti ed eleganti accompagnati dal suo bastone luccicante.

Lo fissai mentre il leggero vento muoveva il suo foulard e mi chiesi se non avesse caldo.

«A volte non compiamo sempre le scelte giuste. L'importante è saper riconoscere di aver sbagliato» affermò, posando finalmente gli occhi su di me. Tuttavia, non sembrava che mi stesse giudicando. Pareva piuttosto che stesse cercando di darmi un consiglio.

«Magari dovresti domandarti se le scelte sbagliate esistano davvero» risposi avvicinandomi a lui.

Si alzò, sistemandosi il cappotto scuro.

«Sei tanto saggia per essere una così giovane donna, l'ho sempre riconosciuto»

«Ci siamo parlati solo una volta» gli ricordai.

«Ti poni anche troppe domande, ma questa non la considererei come una cattiva qualità. Forse scomoda, piuttosto»

Sorrisi lievemente.
«Forse è meglio riflettere e aspettare che gli altri sbaglino al posto tuo, non trova?»

I suoi occhi luccicarono per un secondo.
«Non ho mai conosciuto una persona più perspicace di te, ma non sono sicuro che sia una buona cosa. Il sapere troppo spesso porta ad essere infelici»

Non avrei potuto essere più d'accordo. Mi sarebbe piaciuto tanto vivere una vita da ingenua e ignorare tutta quella logica e quegli schemi che sin da piccola avevo sempre seguito. Una vita da ignorante. Una vita felice.

Io e il Signor Gold camminammo per tanto tempo, senza proferire parola.
Avevo la sensazione che volesse dirmi qualcosa ma non mi incaponii. Immaginavo che al momento giusto avrebbe saputo cosa dire, era un uomo perspicace anche lui.

Un piccolo spiraglio di luce illuminò la strada, conducendoci in un piccolo slargo che stonava con il resto dell'isola. Il suolo era coperto di piccoli sassolini scuri che contrastavano con l'acqua del piccolo laghetto posto al centro.

«L'acqua bianca è simbolo di luminosità e vita. Figura il desiderio, la speranza, la purezza. Non lo trovi ironico anche tu?» mormorò con lo sguardo fisso su di me.

Il Lago Bianco.
Me lo aspettavo più cupo, più inquietante. Invece era la cosa più bella che avessi mai visto, così lucente e sereno che non avrei mai pensato che potesse essere così crudele.

"È un posto dove solo l'anima vive. Sei sott'acqua e non anneghi, ma neanche respiri. Sei cosciente ma non puoi muoverti...e non muori"

«Come può una cosa così bella essere così...cattiva?» sussurrai.

Lui sorrise appena.
«Questa è una domanda che ti poni spesso, vero?» mi chiese, e io mi imposi di non arrossire.
È possibile che si notasse così tanto? In fondo, non potevo essere l'unica ad averci pensato. Pan era bellissimo, il ragazzo più bello che avessi mai visto...eppure era l'insieme di tutto ciò che c'è di più malvagio al mondo.

«Non potrei trovare una corrispondenza più adatta» commentai.
Proprio come il Lago, Pan ti ammaliava e ti trascinava sul fondo, privandoti di qualunque cosa.

«Per quanto possa valere la mia compassione per te, mi dispiace che tutto questo ti sia accaduto» ammise.

«C'è qualcosa che deve dirmi?» gli chiesi. Dal preambolo, non doveva essere qualcosa di piacevole.

Il suo sguardo si accese di ironia.
«Ma esiste qualcosa che non riesci a leggere negli altri? Comunque si, ma è una cosa che non ti piacerà. Per questo ti sto dando una scelta»

Continuai a fissare le acque limpide e mi incupii. Avevo già capito cosa stesse per chiedermi.

«Non c'è niente che tu possa fare per rimediare, e so che sicuramente non starai meglio dopo averlo saputo; qualunque cosa accada la tua situazione rimarrà la stessa. Ricorda però: non esistono scelte sbagliate»

Non aveva neanche finito la frase che io già avevo preso la mia decisione.
Non volevo pensare più. Non volevo più provare nulla.
Gold capì le mie intenzioni.

«Fai in fretta però, qualcuno ti sta cercando» sussurrò prima di girarsi e sparire dalla mia vista, lasciandomi sola con il mio purgatorio.

Avvicinai il dito all'acqua calma e ci infilai la punta. All'improvviso la sensazione che cercavo si impossessò del mio corpo, riempiendomi di serenità. Non sentivo nulla. Guardavo ma non vedevo veramente, sentivo ma nessun suono mi arrivava chiaro alle orecchie.
Respiravo ma non mi sentivo viva.

Ritirai il dito quasi istintivamente e di nuovo la vita mi cadde addosso come un macigno.

Non ho memoria di quanto io abbia vissuto congelata sotto quelle acque, ma l'unica cosa di cui sono certa è che nella mia vita non mi ero mai sentita così tanto nel posto giusto.

Cronache del buio - Peter PanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora