Pov Sammy
Chiudendo l’ultima valigia fissai le lancette dell’orologio, erano appena scoccate le 16:00 e mi restava ancora qualche ora disponibile prima di andare a prendere l’aereo. Quello che più mi stressava dell’aeroporto erano le ore al check-in, perché quel controllo bagagli doveva essere così lungo e soprattutto così lento? Esausta posizionai la borsa in salotto e decisi di farmi una doccia rilassante prima di decidere cosa indossare durante il viaggio, nonostante ci fossi più che abituata non credevo che vestitino e tacchi fosse l’abbigliamento più indicato per un volo di nove ore.
Mi sfilai il vestito lilla di Prada che indossavo e lo riposi con cura su una stampella, in quella casa desolata camminare in intimo per tutte le stanze non era assolutamente un problema. Avevo salutato i miei genitori qualche giorno prima visto che per i loro improrogabili impegni lavorativi erano dovuti partire lasciandoci nuovamente da sole, Sara invece odiava le partenze, soprattutto se toccava a me allontanarmi, quindi mi aveva salutato quella stessa mattina per evitare di vedermi prendere la macchina e lasciare quella casa senza sapere se e quando ci sarei rientrata.
Senza la mia presenza si sarebbe sentita ancora più sola e abbandonata, d’altronde anche io mi sarei sentita come lei, in quella città fredda e per me desolata. Mi sarebbe mancata come l’aria ma nonostante tutto non potevo rinunciare a una simile offerta di lavoro, l’unica cosa che mi faceva andare avanti era che dovevamo solo tenere duro fino alla fine del suo anno scolastico, poi si sarebbe trasferita a New York da me.
Spogliata degli ultimi indumenti mi gettai sotto il getto d’acqua della doccia, lo sgorgare dell’acqua sulla pelle aveva un che di rilassante, mi sentivo completamente a pezzi, erano due giorni che non chiudevo occhio e dopo la rottura con Dan avevo perso completamente l’appetito, da quando l’avevo perso mi sentivo come una di quelle bottiglie di vetro che venivano sballottate dal mare da una parte all’altra senza avere alcuna possibilità di reagire… ecco in quel preciso momento il mio mare era in tempesta.
Uscita dalla doccia infilai il mio morbido e caldo accappatoio, asciugai con cura ogni centimetro del mio corpo, alcune volte non riuscivo a capire perché tutti mi ritenessero una ragazza piuttosto attraente, avevo un seno del tutto inesistente, ero bianca come il latte e infine non ero così magra come dicevano. Avendo una madre stilista ero stata abituata a competere con standard di bellezza molto alti e soprattutto molto magri.
Da piccola le avevo provate tutte per ricevere attenzioni da mia madre, avevo provato a dimagrire per entrare in quei vestiti microscopici che sfornavano gli stilisti, avevo provato a essere la migliore in tutto quello che facevo, dalla danza ai voti scolastici ma sembrava che niente potesse scalfire la sua corazza. Tutti quei ricordi mi provocavano sempre una sorta di malinconia, nonostante mio padre aveva sempre cercato di darci tutte le attenzioni e l’amore possibile sembrava sempre che non fosse mai abbastanza, scossi la testa cercando di mandare via tutti quei pensieri.
Cercando di distrarmi posai la mia attenzione sui capi rimasti nel mio armadio per cercare di trovare quello più comodo per il viaggio, dopo un’attenta valutazione puntai su un paio di leggings bianchi e una maglia lunga color grigio scuro con delle piccole perline nere incastonate sulla spalla destra. Dopo aver indossato stivaletti dello stesso colore della maglia e tutti gli accessori giusti ero pronta a mettermi in viaggio per l’aeroporto, feci un paio di volte su e giù con l’ascensore per trasportare tutte le valigie, non avevo ancora idea di come avrei fatto a trasportare tutta quella roba.
Appena salita in macchina sentii il cellulare squillare, sul display visualizzai il numero di Monica, senza esitare mi affrettai a rispondere.
<Hey baby > risposi con un sorriso.
<Hola bionda, sei già arrivata in aeroporto? >mi chiese con un tono un po’ malinconico, la prima volta che ero partita lei mi aveva seguito ma adesso non poteva, anche lei come me aveva i suoi sogni e i suoi progetti.
<No, ho ancora un po’ di tempo ora sono in macchina > risposi dando un occhiata all’ora.
<Mica starai guidando stando a telefono con me? > mi domandò con tono autoritario, Monica era fissata con la sicurezza e si indispettiva parecchio se qualcuno faceva qualche cosa di irresponsabile come guidare senza auricolare o nel caso di Mark guidare senza casco.
<No tranquilla sono ancora ferma sotto il mio palazzo > dissi cercando di rassicurarla.
<Ok comunque ho qualche cosa da dirti, anche se non so quanto ti possa fare piacere… > disse con un tono esitante.
<Cioè? > domandai stendendomi comodamente sul sediolino, quando Monica chiamava usando quella frase era meglio mettersi comodi.
<Ho saputo che Dan è andato a parlare con Paola chiedendole di tornare con lui… >
<Questo lo so… continua arrivando alla parte essenziale > la interruppi, in effetti era scontato che lui fosse andato da lei, d’altronde non doveva più dar conto a nessuno.
<Il problema è che lei non è convita se tornarci… >continuò con filo di voce.
<Cosa? Quella ragazzina insulsa e grassa intende anche rifiutarlo dopo che è stata LEI a rovinare tutto? > sbottai, come poteva rinunciare a lui? Come poteva non accorgersi di quanto lui fosse perfetto? Di quanto lui fosse speciale? Mi sa che toccava a me spronare un po’ la ragazzina, se non potevo averlo io tanto valeva che lui stesse con qualcuno che amava e non con la ragazza di turno.
<Dai Sammy calmati > mi pregò Monica.
<Certo che mi calmo ma a modo mio… > esclamai e senza darle il tempo di controbattere riagganciai e per essere sicura di non essere disturbata durante la mia operazione spensi il telefono e lo gettai sul sedile del passeggero.
Misi in moto e partii, non sapevo con esattezza dove abitasse, ma in quartiere del genere ero convinta che mi sarebbe bastato chiedere al primo passante per scoprirlo, d’altronde in un vicinato ci si conosceva a vicenda soprattutto se non era molto aristocratico. Ci misi una ventina di minuti per trovare il suo palazzo, se avrei perso l’aero per colpa sua giuro che l’avrei strangolata con le mie mani.
Parcheggiai la macchina ed entrai in quello che doveva essere il suo palazzo, il posto era più malandato e lugubre di quanto avrei potuto immaginare, ogni angolo era tempestato di polvere e i muri sembravano voler sgretolarsi solo guardandoli. Armata di pazienza salii quelle scale, visto che non sapevo il piano dovevo controllare tutte le targhette dei cognomi che erano fissate su ogni porta. Non sapevo ancora cosa avrei detto di preciso ma non sarebbe stato un grande problema, mi sarebbe bastato guardarla per demolirla fino a spingerla di nuovo fra le braccia della persona che amavo… Dovevo ammettere che Paola mi ispirava quando si trattava di screditare, adoravo quando la gente si lasciava influenzare dalle mie parole dandogli tanta importanza, era una sorta di potere. All’inizio dell’adolescenza mi dispiaceva dare opinioni negative sulle persone e sul loro modo di vestire o di porsi, ma quando le gente pendeva dalle tue labbra il dispiacere si dissolveva facendo spazio a una sorta d’appagamento.
Arrivata al secondo piano notai l’incisione con la scritta Grimaldi… doveva essere questa l’abitazione. Bussai il campanello e aspettai con pazienza che qualcuno venisse ad aprire. Pochi secondi dopo fu proprio lei ad aprire la porta, la sua espressione non appena mi vide sembrava sorpresa e anche leggermente preoccupata… di tutta risposta le lanciai un sorriso compiaciuto e carico di sicurezza anche se l’unica cosa che volevo fare in quel momento era strozzarla con le mie mani.
<Posso entrare? > domandai con naturalezza visto che lei non si decideva a scostarsi dalla porta.
<Certo > rispose scostandosi. Non appena entrai mi trovai di fronte il tavolo da pranzo con la cucina tutto rigorosamente in legno chiaro e marmo, sembrava più tosto piccola, a occhio e croce tutta la sua cucina corrispondeva alla mia camera da letto.
<Carina la casa > commentai non tanto convinta.
<Sammy che ci fai qui? > mi chiese incrociando le braccia, sembrava al quanto sfacciata ma quell’aria da saputella gli sarebbe passata presto.
<Dritta al punto! > commentai con un sorriso < Bene sono qui perché ho saputo che non hai intenzione di tornare con Dan > continuai.
<Scusa la franchezza Sammy ma non credo che questi siano affari suoi > commentò scuotendo la testa.
<In effetti dovevo aspettarmelo… e ora che vedo con i miei occhi dove abiti sono sicura che fai più che bene a liquidarlo, d’altronde che speranze puoi avere tu ragazzina scialba e insignificante con un ragazzo a cui il futuro ha sempre spalancato le porte… > iniziai, era vero che ero lì per indurla ad andare da lui ma l’occasione di stuzzicarla un po’ era talmente esaltante che non potevo rinunciarci.
<Cosa vuoi da me? > mi chiese con occhi bassi e tristi, non credevo che bastasse così poco per metterla K.O, mi sentivo anche un po’ in colpa ma non potevo addolcirmi, in fin dei conti l’unico modo per spingerla a darsi una mossa era farle credere di poterlo perdere per sempre.
<Volevo solo ringraziarti > annunciai.
<Ringraziarmi? > mi chiese confusa.
<Si sai, visto che tu non hai intenzione di tornare con lui io posso usare tutte le mie armi per riconquistarlo e ti assicuro che come l’ho riavuto una volta lo riavrò ancora… >spiegai < L’unico problema è che io ora mi trasferisco a New York è ti assicuro che ci metto due minuti a convincerlo a venire con me e a non fartelo più vedere > continuai, il tono di voce era fermo e deciso, speravo solo di non tradire la mia bugia con lo sguardo.
<Ok > si limitò a dire con un filo di voce, a quanto pare il mio piano era più che riuscito ora dovevamo solo aspettare. In silenzio aprii la porta per andarmene.
<A Paola… quasi dimenticavo io parto domani mattina quindi se lo rivuoi ti conviene muoverti… >mentii, altro che domani mattina, il mio aereo partiva fra poche ore e dovevo anche darmi una mossa < Stammi bene > la salutai chiudendo la porta. Dopo aver tirato un sospiro di sollievo mi allontanai da quel palazzo e da quella vita, ora dovevo solo pensare a me e al mio futuro tutto il resto dovevo lasciarmelo alle spalle.
Pov Dan
Lavoro, casa, studio, letto, lavoro, casa, studio, letto… era solo una settimana che facevo quella vita e già non ne potevo più. Lo studio era stressante mentre il lavoro era stancante, nonostante essere il figlio del capo mi portava ad avere delle piccole agevolazioni, quando tornavo a casa mi sentivo comunque a pezzi e con scarsa voglia di mettermi sui libri ma non potevo trascurare i miei progetti per un lavoro temporaneo che mi avrebbe fruttato qualche soldo. Diedi una rapida occhiata all’ora osservando il display del mio cellulare, erano appena le dieci del mattino di una normale domenica, erano già due ore che mi dedicavo allo studio dei monumenti antichi.
Preso dalla noia decisi di chiudere i libri e prendermi qualche ora di svago, presi il cellulare tra le mani e composi meccanicamente il numero di Mark, sapevo che molto probabilmente l’avrei svegliato ma poco importava. Avevo assolutamente bisogno di prendere una boccata d’aria.
<Pronto? > rispose dopo qualche squillo con voce assonnata.
<Mark, su sveglia usciamo! > dissi con un tono carico d’enfasi.
<Dan? Hai l’orribile vizio di svegliarmi > mi fece notare, in effetti era un difetto che avevo sempre avuto, anche da piccoli ero sempre io il primo a svegliarmi e a rompergli le scatole.
<Lo so! > ammisi entusiasta < Comunque tra quanto tempo sei pronto? > continuai.
<Dammi trenta minuti > disse riagganciando, strano che non avesse fatto polemiche e che avesse accettato di uscire a quest’ora del mattino, mi sa che non ero l’unico che aveva bisogno di distrarsi. Passai i trenta minuti, prima dell’arrivo di Mark, intento a dare una forma decente ai miei capelli, mi sa che dovevo ritagliarmi del tempo per andare dal barbiere, dovevo accorciarli di qualche centimetro se volevo continuare ad avere un aspetto accurato. Dopo trenta minuti esatti sentii suonare il citofono, Mark era come al solito puntuale.
<In perfetto orario > commentai uscendo dal palazzo.
<Come al solito > disse lanciandomi il casco < Allora dove andiamo? > continuò una volta che fui salito sulla moto.
<Andiamo a fare colazione? > proposi, in realtà avevo già fatto colazione ma farla di nuovo non mi dispiaceva affatto.
<Ok > concordò mettendo in moto e sgommando lungo la strada. Ci fermammo a un bar nei pressi di Mergellina, a quell’ora del mattino era tutto molto silenzioso e tranquillo, non c’erano urla di ragazzini fastidiosi e non c’era neanche il fastidioso rombo di macchine e motorini che sfrecciavano come matti lungo la strada. Tutt’intorno c’era solo il delicato suono del mare e del vento leggero che accarezzava gli alberi.
<Allora come stai? > mi chiese Mark una volta che ci fummo seduti a tavolino e il cameriere si era allontanato con le nostre ordinazioni.
<Sinceramente? Uno schifo, quest’attesa mi snerva! > ammisi, odiavo restare in bilico senza sapere che passi potevo fare, essendo una persona abbastanza pratica non capivo perché la gente aspettasse tanto prima di agire, ok si poteva sbagliare e allora? Non è umano sbagliare?
<Lo so che la questione ti esaurisce ma mettiti nei suoi panni, ha bisogno di un po’ di tempo > commentò Mark.
<Il mio tempo non è infinito, già è tanto averglielo concesso e non aver preteso una risposta immediata, visto che fino a prova contraria è stata lei a sbagliare > spiegai.
<Quanto tempo le dai? > mi domandò Mark accendendosi una sigaretta e spostandosi leggermente dal tavolo per permettere al cameriere di servire le ordinazioni.
<Al massimo altri cinque giorni, poi ricomincio a farmi di nuovo una vita > risposi zuccherando il caffè < Anche se la mia non è più vita senza di lei > continuai dando un’occhiata al cornetto, mi era totalmente passato l’appetito.
<La nostra cara Paola dovrà darsi una mossa > disse ironicamente sfoderando un sorriso.
<A te invece come va? > chiesi cauto, avevo il netto sospetto che ci fosse qualche cosa sotto quel suo atteggiamento fin troppo gentile e privo di battute.
<Tutto bene nulla di rilevante > rispose, giocherellando con la sua brioche che aveva ordinato ma non ancora mangiato.
<Il “niente di rilevante” non sta a significare che non ci sia niente che ti turba > commentai.
<C’è un tizio che ronza attorno a tua sorella e questa cosa mi letteralmente girare le palle> sbottò tutto d’un fiato. Quindi tutto quel silenzio assenso era dovuto alla gelosia, non ricordavo molti episodi in cui Mark era stato invaso dalla gelosia…un attimo… gelosia… tizio… mia sorella? Chi cavolo era questo ragazzo senza istinto di sopravvivenza?
<Scusa questo ragazzo gira intorno alla tua ragazza e tu non gli hai ancora fatto nulla?> chiesi sbigottito.
<Se la tua ragazza gli da corda non è che puoi fare molto > rispose spegnendo la sigaretta nel posacenere che aveva di fianco.
<Capisco, prova a rispiegarlo a lei > suggerii. Ero sicuro che magari già avesse provato a parlare con lei, visto la reazione che aveva avuto, ma ero anche sicuro che non avesse parlato con lei come aveva fatto con me.
<Dimentichi sempre che è tua sorella > precisò.
<E questo che vuol dire?> domandai confuso.
<Significa che è ottusa > sbottò. Era veramente esaurito, in questi casi era meglio evitare di controbattere e lasciarlo sfogare altrimenti saremmo finiti alle tragedie greche in meno di cinque minuti. Restammo a chiacchierare per una buona mezz’oretta prima di decidere di andare a casa mia e provare a metterci sui libri, io su quelli di architettura e lui su quelli di economia. Dopo essere passati da Mark, per prendere i suoi libri, ci dirigemmo verso la mia abitazione.
<Ma Monica e Jeremy dove sono finiti? > chiesi non avendoli visti girovagare in casa.
<Sono andati a versare la caparra per l’appartamento di Jeremy > spiegò.
<Bene, quindi alla fine l’ha trovato, ma Monica resta a vivere con te o se ne va da lui? > chiesi curioso.
<Non ne ho idea > bofonchiò. Certo che i guai non venivano mai da soli, tra la gelosia verso Camilla, il matrimonio del padre che si sarebbe svolto tra poche settimane e l’incerto trasferimento di Monica, come poteva il mio fratellino non essere esaurito? Arrivati a casa notammo Camilla armeggiare con un pacco regalo.
<Che stai facendo? > domandai incuriosito, dopo che i due piccioncini si furono salutati con un bacio a stampo.
<Oggi è il compleanno di papà > rispose facendo un fiocco, con del nastro blu, intorno alla confezione.
<Cavolo me ne sono completamente dimenticato! > esclamai portandomi una mano alla fronte.
<Come al solito > ribatté Camilla con una smorfia < Comunque tranquillo ho messo anche il tuo nome sul bigliettino > continuò. Povero papino, non sapeva perché ma il suo compleanno lo dimenticavo sempre, forse perché non era il tipo che cercava di ricordartelo, come faceva mia madre, per fortuna che c’era la mia dolce sorellina a provvedere ai regali.
<Ok, quanto ti devo? > chiesi, con l’intento di dividere a metà il prezzo del regalo.
<Tranquillo fratellino, ho preso i soldi dal tuo portafogli non mi devi nulla > rispose andando a posare il regalo in camera sua.
<Hai messo le mani nel mio portafogli? > domandai seguendola.
<Si, così magari impari e il prossimo anno ci pensi tu al regalo > si giustificò.
<Che cavolo c’entra, tu non devi mettere le mani nella mia roba, come io non metto le mani nella tua > ribattei sconcertato.
<Si ok, ho sbagliato, non lo faccio più… ora posso andare a salutare per bene il mio ragazzo? > mi domandò con fare ironico per poi avvicinarsi a Mark, che le stava sorridendo senza dire una parola, mi allontanai per lasciare a quei due un po’ d’intimità. Nonostante mi era difficile ammetterlo quei due formavano una splendida coppia, in un certo senso si completavano a vicenda, lei con la sua sicurezza e lui con la sua impulsività erano un mix perfetto.
<Allora diamoci da fare!> disse Mark interrompendo i miei pensieri e lanciando i suoi libri sulla mia scrivania.
<Ok > asserì con poco entusiasmo. Restammo sui libri tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, mi sentivo il cervello in fiamme, stracolmo di notizie e informazioni delle quali non me ne importava nulla ma che il mio adorato professore adorava.
<Ora basta! > commentò Mark esausto < Sono più di cinque ore che sono sui libri… vedo tutto bianco > continuò strofinandosi gli occhi.
<Concordo anche io non c’è la faccio più > affermai. Dopo aver chiuso i libri ci dirigemmo in cucina, dove notammo mia madre che armeggiava con i fornelli, non l’avevo neanche sentita rientrare.
<Mamma, che ci fai qui? > le domandai, di solito rincasava sempre più tardi.
<Tesoro mio ci vivo > rispose con nonchalance continuando a dedicarsi alla cucina.
<Intendevo che non ti ho sentita rientrare > specificai, dando un’occhiata agli ingredienti, c’erano panna, salmone, funghi, pesce, carne e varie verdure sistemate su tutto il ripiano dalla cucina… c’era talmente tanto di quel cibo in giro che ci si poteva sfamare un esercito.
<Era venuta a salutarvi ma vi ho visti così concentrati sui libri che non ho voluto disturbarvi> spiegò< Vuoi chiedere a Mark se si ferma con noi? > continuò.
<E qui perché non… >stavo per dire ma mi bloccai quando voltandomi non vidi più Mark al mio fianco. Di sicuro era andato da Camy, non potevo distrarmi un attimo che quei due si incollavano peggio di due calamite.
<Ora chiedo > continuai uscendo dalla cucina, mi diressi verso camera di mia sorella, arrivato vicino alla porta socchiusa, decisi di non entrare per paura di vedere qualche cosa di sconveniente.
<Mark ti fermi con noi a cena vero? > urlai attraverso la porta.
<Se non disturbo si >rispose col mio stesso tono di voce. Evitai di commentare il suo “se non disturbo” tanto era tutto inutile.
<Mamma resta > urlai, entrando in camera mia.
<Ok > sentii dire mia madre. Non appena mi stesi sul letto sentii il campanello suonare.
<Dan la porta… >sentii gridare mia madre.
<Maggiordomo Daniele Di Mauro al suo servizio signora > commentai balzando giù dal letto, mi chiedevo chi potesse essere, di sicuro non era mio padre visto che lui aveva sempre le chiavi con se. Non appena aprii la porta restai basito, vidi lei completamente sconvolta e con gli occhi colmi di lacrime.
<Paola! > esclamai preoccupato, non l’avevo mai vista in quelle condizioni, mi sentivo pietrificato e impotente davanti a tutta quell’aria di sconforto e d’angoscia. Senza dire una parola si fiondò tra le mie braccia iniziando un pianto a dir poco esasperato, non sapevo cosa le fosse successo e anche se fremevo dal pensiero incandescente di capire, chi o cosa, l’avesse ridotta in quello stato, decisi che per il momento era meglio lasciarla sfogare.
Riuscii a stento a chiudere la porta di casa con lei tra le braccia, mentre cercavo di calmarla accarezzandola leggermente i capelli, notai sott’occhio lo sguardo attonito di mia madre che sbucava con la testa fuori dalla cucina ancora col mestolo tra le mani e le occhiate perplesse che si lanciavano Mark e Camilla che erano usciti dalla stanza, forse per verificare se a bussare alla porta fosse stato mio padre.
<Tu… tu… resti qui…vero?> mi domandò Paola tra un singhiozzo e l’altro. Non capivo il senso di quella domanda ne cosa l’avesse scaturita ma decisi di rispondere senza ulteriori indugi.
<Certo che resto qui dove vuoi che vada > risposi, erano mesi che non la stringevo tra le mie braccia a parte quella sera a casa sua… sul suo tavolo.
<Tu non vai con lei? > balbettò alzando lo sguardo.
<Paola con tutto il cuore non capisco di cosa tu stia parlando, perché non andiamo a parlare in camera mia? > proposi, sentendomi un po’ osservato. In quel momento anche lei guardò attorno e notando tutti quei sguardi addosso divenne rossa come un peperone… Dio quanto mi era mancato il suo sentirsi in imbarazzo e quel suo abbassare lo sguardo mentre le sue gote diventavano sempre più rosse.
<Ok > sussurrò continuando a tenere lo sguardo basso. La presi per mano e la portai in camera mia chiudendo la porta alle mie spalle. Speravo solo che la mia adorata sorellina non si mettesse ad origliare da dietro la porta, per fortuna c’era Mark, che di sicuro, non mi interessava come, l’avrebbe distratta.
<Allora mi spieghi cosa stai blaterando? > domandai una volta che ci fummo seduti sul letto.
<Sammy è venuta da me è mi ha fatto un certo discorso… > iniziò, ascoltai con attenzione tutto quello che Sammy aveva cercato di fare, aveva messo da parte i suoi sentimenti, che a mio parere erano solo di pura amicizia, spingendo una ragazza tra le braccia di una persona che lei credeva di amare… Sammy era una ragazza davvero unica e speciale.
<Penso che Sammy ti abbia teso un piccolo tranello > commentai una volta che Paola ebbe finito il suo discorso.
<Cioè? > mi domandò confusa.
<Sammy a quest’ora dovrebbe essere arrivata a New York da un bel po’… > risposi dando una rapida occhiata all’orologio < Ti ha detto tutte quelle cose solo per spingerti a venire da me > continuai.
<Che stronza! > esclamò asciugandosi gli occhi, non potei far a meno di sorridere a quella sua reazione.
<Quindi? > domandai, anche se conoscevo già la risposta visto la reazione di pochi istanti prima.
<Si > rispose semplicemente.
<Si, cosa? > domandai, non poteva cavarsela con così poco.
<Si vorrei tornare ad essere la tua ragazza > rispose.
<Quindi niente più bugie, omissioni e complessi idioti? > domandai avvicinandomi leggermente al suo viso.
<Su bugie e omissioni concordo… ma sui complessi non ti prometto niente > bisbigliò.
<Potresti iniziare a dirmeli, così magari li risolviamo insieme > suggerii.
<Ok > sussurrò, dopo di che le nostre labbra s’incontrarono con una dolcezza tale che quasi mi bloccava il respiro, il cuore mi martellava nel petto come un tamburo che echeggiava in una parata. Istintivamente la feci stendere sotto di me iniziando ad accarezzarle la schiena. Quell’attimo di passione misto a dolcezza fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta.
<Che c’è? > chiesi staccandomi leggermente dalla mia ritrovata metà.
<Dan tuo padre è tornato… Paola si ferma a cena con noi vero? Mi piacerebbe che restasse per il compleanno di tuo padre > disse mia madre facendo attenzione a non aprire la porta.
<Si resta > risposi senza neanche chiedere a Paola il suo consenso.
<È il compleanno di tuo padre? > mi chiese Paola.
<No… di mio fratello > risposi ridendo.
<Sei tornato te stesso vero? > mi chiese imbronciata.
<Logico, altrimenti smetteresti di amarmi > controbattei.
<Forse hai ragione > ammise sorridendo.
<Io ho sempre ragione > la corressi.
<Comunque… ho capito bene tua madre mi ha invitata? > mi chiese dubbiosa.
<Si hai capito bene > confermai <Diciamo che non sei mancata solo a me > continuai per poi tornare a baciarla.
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Non ho mai amato così
RomanceUn nuovo amore, una nuova emozione, una relazione tutta da scoprire dove il cuore inizia ad avere un nuovo battito. Lui è Daniele un ragazzo proveniente da una famiglia benestante, che ha appena conseguito la maturità e sta iniziando a decidere cosa...