Tra Ricordi E Realtà

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<Ho baciato Monica > mi rivelò Mark, mentre eravamo seduti in camera mia.
<Ma Monica…Monica? > domandai stupito.
<Si Dan… Monica > confermò.
<Ma è la ragazza di Max > puntualizzai.
<Lo so! > esclamò portandosi la testa fra le mani.
<Ma è un amico, come puoi baciare la ragazza di un tuo amico> esclamai stupefatto.
<Lo so, lo so > continuava a ripetere.
<Se lo sai perché l’hai baciata? > domandai esasperato. Mark e Max erano entrambi miei amici ed anche se Mark era come un fratello questa volta non potevo spalleggiarlo o difenderlo.
<Ti giuro che non so cosa mi sia preso, lei era lì, così bella! Così maledettamente vicina! E non so cosa mi sia preso > spiegò tornando a guardarmi.
<Ed ora cosa intendi fare? > domandai con un tono più pacato, del resto non era giusto prendermela solo con lui, anche Monica doveva avere la sua parte di colpe.
<Non lo so! > disse perplesso.
<Fammi solo capire una cosa… è stato un bacio “capitato” nel senso che non capiterà più o è stato un bacio scaturito da qualche sentimento di base che volete approfondire? > chiesi.
<Credo sia la seconda ipotesi, almeno per quello che mi riguarda, visto che ci siamo fermati al bacio solo perché l’ha telefonata Sammy > spiegò.
<E logicamente non sarebbe stato solo sesso perché non tratteresti mai Monica come quella di una sera > precisai.
<Giusto > si limitò a commentare. Non sapevo cosa pensare, Mark e Monica… insieme… anche se dovevo ammettere che la loro complicità e i loro continui scambi di sguardi e di sorrisi avrebbero dovuto crearmi qualche sospetto.
<Lo direte a Max? > domandai dopo qualche secondo di silenzio.
<Dipende da lei… solo da lei… >
*** *** ***  *** *** *** *** *** *** *** ***
<Ma perché non puoi usare il computer come ogni singola persona normale! > borbottai seguendo Sammy nel salone, la quale si era ostinata ad usare l’enciclopedia per svolgere una ricerca di storia che ci era stata assegnata. La nostra professoressa di storia era fissata con progetti e ricerche, inoltre era anche ossessionata dal fatto che tutti questi progetti venissero svolti a coppie, diceva che questo era un buon metodo per familiarizzare con tutti i compagni di classe e per esercitarci nei discorsi orali, visto che il compagno di “progetto” veniva sorteggiato e il voto finale era una media dei voti che avrebbero preso i due candidati nell’esposizione del loro discorso.
<Perché io non sono una persona normale! > si limitò a rispondere mentre cercava nella sua libreria il manuale più adatto da adottare. La casa di Sammy era tutta ornata con mobili classici, sembravano quasi da collezione, la libreria dove Sammy stava posando le sue dita sembrava di fine ottocento.
<Sai non so se te l’hanno mai detto ma esiste una cosa chiamata internet, sai tu digiti una parola e lui ti da molteplici risultati> dissi  avvicinandomi anche io alla libreria.
<Sai esiste la media del nove… un traguardo che tu non vedrai mai, visto che ti limiti a fare copia e incolla su internet> ribatté estraendo un enorme libro per poi darmi le spalle e poggiarsi su di un tavolino li vicino.
<Preferisco occupare il mio tempo facendo qualche cosa di più costruttivo > dissi avvicinandomi a lei, potevo sentire chiaramente l’odore del suo shampoo, anche se preferivo quello del suo bagnoschiuma all’aroma di cioccolato.
<Lo sai che hai un buon odore > commentai avvicinando il mio viso alle sua spalla, alle volte mi sembrava di piacergli ma altre volte invece sembrava che mi detestasse.
<Ah si… > esclamò con un filo di voce.
<Si! > risposi iniziando a baciarle il collo, sentivo il suo respiro cambiare e il suo controllo cedere sotto le mie mani. Le cinsi i fianchi e la portai a girarsi, i nostri occhi si incontrarono, non avevo mai provato un simile desiderio per una ragazza, avvicinai le mie labbra alle sue, non era la prima volta che assaporavo il suo sapore, ma questa volta era diverso, questa volta non era una semplice bacio dato per gioco, questa volta c’era un desiderio tale che un semplice bacio non sarebbe bastato a placare la voglia che avevamo l’uno dell’altra.
All’improvviso udii il mio cellulare suonare, ero deciso a non rispondere, a ignorare quel suono e chiunque avesse avuto la brillante idea di chiamarmi proprio in quel momento.
<Forse dovresti rispondere > sussurrò Sammy staccandosi leggermente dalla mia presa. A quel punto mi rassegnai ed estrassi il cellulare dalla tasca dei pantaloni, speravo solo che fosse davvero qualche cosa di importante altrimenti avrei dovuto commettere un omicidio. Sul display del telefonino compariva un numero sconosciuto.
<Pronto! > risposi perplesso.
<Dan… protesti venire con Sammy a casa di Monica? > mi chiese Mark con un tono a dir poco sconvolto.
<Ma è successo qualche cosa? > domandai preoccupato. A quel punto anche Sammy prestò maggiore attenzione alla telefonata.
<Non riesco a dirlo per telefono, anzi in realtà non riesco a dirlo proprio, non riesco neanche a crederci…  scusa sono un po’ confuso > rispose Mark dall’altro capo del telefono.
<Ok, tu calmati noi arriviamo subito > riferii.< Dobbiamo andare! > dissi a Sammy una volta riagganciato.
Arrivammo a casa di Monica in una quindicina di minuti, salimmo le scale di corsa, arrivati vicino alla porta ci guardammo per qualche secondo, indecisi su chi dei due dovesse suonare il campanello, Sammy fece un profondo respiro e poi posò il suo dito sul campanello, quel rintocco e l’attesa di quei pochi secondi dall’apertura della porta mi provocò una strana sensazione d’ansia, tutte le domande, tutte le ipotesi che mi erano sfociate nella mente  da quando avevo ricevuto quella telefonata iniziavano a rimbombare con molta più insistenza.
< Ciao > disse Mark una volta aperto la porta, la sua espressione era un misto di rabbia, delusione e tristezza. Entrammo nell’enorme salone, dove tutto era inquietantemente silenzioso.
<Che cosa è successo? > chiese Sammy preoccupata.
<Ti conviene andare da Monica, è in camera sua > rispose Mark come se fosse stato un automa. Sammy senza aggiungere altro si diresse da Monica. Io e Mark ci sedemmo sul divano in silenzio, sapevo che fare qualsiasi domanda sarebbe stato inutile, avrebbe parlato lui quando sarebbe stato pronto.
<È mia sorella > disse improvvisamente.
<Chi? > domandai.
<Monica è mia sorella > ripeté. Quella notizia mi colse di sorpresa, non sapevo che dire, come riprenderlo da quella sconvolgente notizia, la cosa migliore da fare era restare in silenzio ed ascoltare il suo sfogo.
<Quell’infame ha tradito mia madre mentre lei aspettava me, non gli è mai importato nulla di me, di lei, della sua malattia, di Monica e ora se ne viene dicendo che vuole rifarsi una famiglia e che ha trovato l’amore > continuò.
<Forse sta cercando davvero di cambiare > provai a dire.
<Stronzate! Lui non cambierà mai, è un film già visto, farà il buon padre, il buon “marito” per qualche mese e poi tornerà ad occuparsi esclusivamente del suo lavoro non preoccupandosi minimamente di che gli sta intorno > sbottò.
<Ora cosa intendi fare? > domandai dopo qualche secondo di silenzio.
<Nulla, non posso fare assolutamente nulla, credevo di essermi innamorato, di aver trovato quello che tutti voi chiamate amore, invece alla fine ho trovato una sorella che tra parentesi stavo quasi per portarmi a letto > rispose con un ironico sorriso. Sapevo che quell’esperienza era stata un altro colpo duro che la vita gli aveva riservato, che sarebbe servita solo a farlo chiudere ancora di più in se stesso.

*** *** *** *** *** *** *** *** ***
Aprii lentamente gli occhi, una accecante luce bianca mi fece tenere gli occhi socchiusi per qualche secondo, cercai di guardarmi attorno per cercare di capire dove mi trovavo, l’ultima cosa che ricordavo era di essere salito sulla moto di Mark. Dopo aver osservato un po’ l’ambiente compresi di trovarmi in una sala d’ospedale, ad un tratto rammentai tutto, il camion… la luce accecante… il botto e poi… il buio. Dovevo alzarmi e cercare Mark, doveva essersi svegliato prima di me e ora stava sicuramente bighellonando per tutto l’ospedale. Appena provai ad alzarmi sentii una tremenda fitta al braccio destro, notai che era ingessato quindi decisi di riprovarci con più calma. Mi alzai, questa volta, più lentamente, stando attento a non fare movimenti bruschi. Uscii fuori dalla stanza, non sapevo in che direzione andare, il corridoio era talmente lungo che non se ne vedeva la fine, sia che io guardassi alla mia destra, sia che guardassi a sinistra, alla fine decisi di seguire la direzione dove il numero delle stanze decresceva. Mentre percorrevo il corridoio sentii le urla distorte e incompressibili di Paola e Camilla, accelerai leggermente il passo, appena voltai l’angolo le vidi, erano intente a parlare o meglio a discutere con un’infermiera.
<Mi dispiace ma come vi ho già detto se non siete parenti non posso darvi alcuna informazione > stava dicendo l’infermiera con tono seccato, conoscendo quelle due non doveva essere la prima volta che quella povera donna ripeteva quella frase, decisi che era meglio intervenire e salvare quella donna.
<Camy, Paola! > le chiamai con voce leggermente strozzata, sentendo la mia voce si bloccarono e di scatto si voltarono nella mia direzione.
<Dan! > urlò Paola saltandomi addosso.
<Piano, piano > dissi con voce leggermente acuta cercando di staccarmi da sua energica presa.
<Scusa > rispose staccandosi, poi fu il turno di Camy che mi salutò più delicatamente.
<Come ti senti? > mi chiese.
<Un po’ ammaccato ma sto bene > risposi < Dov’è Mark? > domandai guardandomi attorno.
<Non lo sappiamo, hanno detto che non possono dirci niente > rispose Camilla visibilmente preoccupata. Non mi piaceva la sua espressione, di sicuro c’era qualche cosa che non mi avevano detto ed anche se ero impaziente di sapere dove fosse il mio amico decisi che per il momento era meglio non indagare su cosa mi stessero nascondendo, di solito entrambe avevano il vizio di ingigantire gli avvenimenti trasformando ogni più piccola cosa in tragedia. Anche se sapevo che il mio tentativo sarebbe stato vano mi riavvicinai alla reception per cercare di convincere l’infermiera a darmi almeno qualche piccola informazione.
<Come ho già detto alle ragazze prima posso dare informazioni solo ai parenti > mi spiegò.
<Lo so, ma il ragazzo non ha la madre, il padre è sperduto in chissà quale continente del mondo e non c’è nessun parente che possa fare le veci del padre, siamo noi la sua famiglia > tentai di replicare.
<Mi dispiace ma non posso > rispose irremovibile. L’unica cosa che potevamo fare era sederci in sala d’attesa ed aspettare l’arrivo dei miei genitori. Li aveva avvisati Camilla dell’accaduto, quando ero ancora privo di conoscenza. Ad un tratto vidi apparire Monica dall’entrata.
<Che ci fai qui? > le domandai, a quest’ora doveva essere già sull’aereo diretto a New York.
<Mi ha chiamato tua madre e mi ha detto dell’incidente… come state? > mi chiese ancora col fiatone, aveva di sicuro fatto le scale del reparto di corsa.
<Io sto bene anche se un po’ frastornato, ma di Mark non ho notizie non ci dicono nulla > spiegai. Tutta quell’attesa mi aveva messo una certa ansia.
<Bè io dopotutto sono la sorella, dovranno pur dirmi qualche cosa > commentò Monica avvicinandosi alla reception.
<Salve io sono la sorella di Mark D’Arienzo, mi hanno riferito che è stato trasportato qui, potrei sapere come sta? >domandò.
<Solo un attimo > disse l’infermiera per poi sparire in una delle stanza.
<Non è un buon segno quando fanno così > commentò Monica. Dopo pochi secondi ritornò affiancata da un uomo, doveva essere il primario del reparto lo si poteva capire dal suo passo deciso e dalla serietà dei suoi profondi occhi grigi.
<Salve è lei la sorella? > chiese a Monica.
<Si, come sta mio fratello > tagliò corto Monica.
<Ha avuto un forte trauma cranico, inoltre il forte impatto gli ha provocato un ematoma sottodurale che abbiamo rimosso chirurgicamente un mezz’oretta fa e poi ci sono escoriazioni di lieve gravità, se supera la notte non ci dovrebbero essere gravi complicazioni> ci riferì il medico.
<Se supera la notte? > chiese Monica.
<Ci potrebbe essere la possibilità che non la superi, noi dobbiamo informare i parenti di ogni eventualità> spiegò.
<Quante possibilità ci sono che non superi la notte? > chiese Camilla.
<In questi casi la possibilità è al 50% dipende dalla capacità di reagire del paziente > concluse. Quelle notizie furono come una coltellata in pieno petto, sentivo un misto di emozioni, rabbia, paura, ansia, tristezza, sentivo due chiodi che mi perforavano le tempie, la mia mente era così annebbiata che quasi non mi accorsi di Paola che mi stava accarezzando il braccio sano con l’intento di darmi una forza che neanche lei aveva.
<Possiamo vederlo? > domandò Monica mentre una lacrima le rigava il viso.
<Si ma non entrate tutti insieme, la stanza è la terza porta sulla sinistra > disse indicandoci la direzione. Nel silenzio più tombale ci dirigemmo verso la porta, Monica allungò la mano verso la maniglia e dopo aver esitato qualche secondo fece un grande sospiro e l’aprì.
Lui era steso li su quel letto, con buona parte della testa fasciata e la gamba destra ingessata, era attaccato a un paio di macchinari che monitoravano le sue reazioni. Mi voltai verso Monica, aveva gli occhi colmi di lacrime, avrei dovuto consolarla, dirle qualche cosa ma non sapevo che dire, non trovavo le parole giuste per rincuorarla, anche perché ero io che in quel momento avevo bisogno di sentirmi dire che tutto sarebbe andato per il verso giusto. In un lampo, come in un vecchio film, rividi tutti i momenti passati insieme, di come all’inizio non lo sopportavo ed ero stato costretto a frequentarlo solo perché le nostre madri erano grandi amiche. Quando era piccolo Mark era un ragazzino timido e introverso, era sempre così taciturno, all’epoca era una vera palla al piede, poi col tempo, abbiamo imparato a conoscerci meglio ed aiutarci l’un l’altro. Ricordavo ancora la nostra prima rissa, non ne ricordavo il motivo, ma nonostante qualche labbro rotto e qualche zigomo arrossato, quella zuffa aiutò la nostra amicizia a decollare. Con gli occhi pieni di lacrime tornai alla realtà, notai che ero rimasto solo nella stanza, uscii fuori volgendo un ultimo sguardo a quel maledetto letto, vidi che erano arrivati anche i miei genitori e Sammy. Ero sorpreso di vederla, pensavo che avesse preso l’aereo.
<Dan, figlio mio come stai? > mi domandò mia madre abbracciandomi, con il viso irrigato di lacrime.
<Sto bene > risposi meccanicamente. Mi guardai attorno distrattamente, poi come un automa mi sedetti su di una sedia accanto a Monica. Cosa avrei fatto se Mark  non avesse superato la notte, come avrei fatto senza il mio compagno di avventure, con chi avrei condiviso gioie, dolori, sorrisi e lacrime, come avrei fatto senza i suoi consigli, come avrei fatto senza quel suo modo di starmi vicino sempre, nonostante tutti gli errori e le difficoltà, senza però rivelare mai i suoi sentimenti, come avrei fatto a vivere senza di lui… come avrei fatto a vivere senza mio fratello.

Non ho mai amato così Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora