Io Vivo Di Te

32 3 0
                                    

Ormai erano passati un paio di mesi dall’incidente, il mio braccio era tornato come nuovo. Mark invece stava continuando a fare le sedute di fisioterapia, ne aveva ancora per qualche settimana e sinceramente non vedevo l’ora che le finisse, non faceva altro che ripetermi quanto fossero noiose, non tanto per dover andare tre volte a settimana a fare le sedute ma perché il fisioterapista era un uomo di mezza età con leggeri problemi di sudorazione. Si era messo in testa che appena sarebbe tornato in forma sarebbe andato a trovare Sammy e Monica, che oramai erano partite per la fantomatica New York.
Sammy era partita qualche giorno dopo il risveglio di Mark a causa dei corsi che doveva affrontare prima degli esami, diceva che non poteva permettersi di saltarli visto il gran numero di partecipanti e di gatte morte presenti, Monica invece l’aveva seguita dopo circa un mesetto dalla sua partenza ma solo perché Mark l’aveva letteralmente cacciata… “Ma tu non dovevi partire? Perché non te ne vai? Non sono un bambino che ha bisogno di una baby sitter, mi fai sentire un menomato” le ripeteva in continuazione, così dopo essersi accertata che il fratellino stesse davvero bene sia emotivamente che fisicamente aveva preso il volo.
Nonostante tutto questi ultimi mesi erano passati velocemente, tra una visita medica e un esame di architettura non mi restava più molto tempo libero. Anche oggi come tutti i pomeriggi mi ritrovavo seduto alla mia scrivania a studiare, questa volta per l’esame di “fondamenti di tecnologia” ma a differenza degli altri giorni ero fermo sulla stessa pagina da più di un’ ora, avevo litigato con Paola la sera prima e l’unica che riuscivo a fare era fissare il display del cellulare ogni dieci minuti in attesa di una sua chiamata o di un messaggio.
Non ricordavo neanche più come era iniziata la discussione, sapevo solo che non avevamo mai litigato in quel modo, avevamo iniziato a rinfacciarsi di tutto, dall’amicizia che io avevo con Sammy e lei con Luca, dal mio non essere più così presente, ai suoi complessi che col passare del tempo diventavano sempre più assurdi.
<Hey fratellone ho fatto un po’ di thè, ne vuoi un po’? >  mi chiese mia sorella sbucando in camera mia e interrompendo i miei pensieri.  Mi girai verso di lei e come sempre, da un po’ di mesi a questa parte, notai che indossava una tuta e aveva i capelli raccolti, il suo sguardo era vuoto ma allo stesso tempo malinconico. Povera Camy anche lei era giù di morale, solo che il suo sconforto durava da più di ventiquattro ore, era ancora triste per la fine della storia con Mark, erano mesi da quella fatidica notte e ancora non si parlavano. Lui era troppo orgoglioso per riavvicinarsi a lei e dall’altra parte lei aveva troppa paura per andare a chiedergli scusa.
<Certo > risposi andando con lei in cucina, ci sedemmo a tavola con le tazze fumanti in mano, restammo in assoluto silenzio, l’unico suono che si udiva era il ticchettio del cucchiaino mentre giravamo il thè, certo non era tanto normale bere del thè caldo nel ben mezzo di giugno, ma poco importava.
<Come stai? > le chiesi con l’intento di rompere quel silenzio snervante.
<Insomma ne meglio ne peggio di qualche mese fa > rispose continuando a guardare la tazza.
<Perché non fai qualche cosa? Perché non vai a parlargli invece di stare qui a deprimerti? > domandai anche se la risposta mi sembrava abbastanza ovvia.
<Perché ho paura, paura del suo orgoglio, paura che le mie scuse non bastino a risanare il rapporto > ammise con le lacrime agli occhi.
<Almeno potrai dire di averci provato, di non aver rinunciato a qualche cosa di importante per paura di combattere> le consigliai, non sapevo se fosse il consiglio giusto ma tanto valeva provarci, non aveva più niente da perdere.
<Non lo so! > ribatté con un filo di voce.
<L’unica cosa che posso suggerirti se vuoi riprendertelo è di muoverti, hai perso già troppo tempo > dissi per poi alzarmi e tornare in camera mia, nonostante Mark fosse mio amico non sopportavo di vedere mia sorella in quelle condizioni, se non sapessi che anche lui, era ancora innamorato di lei, la soddisfazione di sferrargli un bel pugno me la sarei tolta.
Tornai alla mia scrivania e per l’ennesima volta controllai il display del cellulare ma come tutte le altre volte l’unica cosa che vidi era la nostra foto come sfondo, senza neanche pensarci mi ritrovai a scrivergli un messaggio ricco di scuse e di tenere frasi, non sapevo se un semplice sms per farsi perdonare. Dopo l’invio appoggiai il cellulare sul letto e mi stesi su di un lato intento a fissarlo in attesa di una sua risposta, che arrivò dopo qualche minuto.
“Perdonami anche tu amore mio! Ti ho pensato, ogni ora, ogni minuto e ogni secondo in queste maledette ventiquattr’ore so di aver sbagliato anche io... scusa se alcune volte mi comporto come una bambina di 2 anni… P.S. Ti amo anche io…”
Dopo averlo letto non potei far a meno di sorridere, le risposi con un altro sms dove le comunicavo che sarei andata a prenderla l’indomani verso le sette del pomeriggio, dovevo organizzare bene la serata e vedere se mio padre sarebbe riuscito a convincere mia madre a lasciarmi casa libera, d’altronde se dovevamo fare pace tanto valeva farla per bene.

Pov Camilla
Finalmente dopo alcuni giorni di insistenza da parte di Paola e del mio caro fratellone, avevo trovato il coraggio per andare da Mark, non sapevo di preciso cosa gli avrei detto o cosa avrei fatto, speravo solo che una volta incrociato i suoi profondi occhi blu, il mio amore avrebbe parlato per me. Avevo chiesto a Dan di accompagnarmi, anche se poi sarei dovuta salire da sola il breve sostegno di mio fratello mi dava maggiore forza, averlo accanto mi faceva sentire protetta come se niente e nessuno poteva ferirmi.
<Sei pronta? > mi chiese una volta arrivati sotto il palazzo di Mark.
<Non tanto… ma devo farlo… l’hai detto tu, ho già perso troppo tempo > risposi fissando l’entrata del palazzo.
<Andrà bene, ne sono sicuro! > disse mio fratello accarezzandomi il braccio.
<Grazie fratellone > dissi abbracciandolo a mia volta < Ora devo andare > continuai, dopo averlo salutato scesi dalla macchina e mi avviai all’entrata, salii le scale con estrema lentezza, il cuore iniziava a battermi all’impazzata e le gambe stavano per cedermi. Bussai alla sua porta facendo un lungo e profondo respiro, il rintocco del campanello mi provocò un intenso brivido lungo tutta la spina dorsale. Quando aprì la porta i nostri occhi si incontrarono per un breve ma intenso istante. Il suo sguardo sembrava sorpreso ma notai una strana luce nei suoi occhi.
<Che ci fai qui? > mi domandò perplesso.
<Sono venuta per parlarti… posso entrare? > risposi di getto. Il cuore mi martellava così forte che quasi non riuscivo a sentire la mia voce, avevo quasi paura che quel battito sfrenato si potesse intravedere dalla sottile maglia bianca che indossavo. Senza neanche dire una parola Mark si scostò dalla porta per farmi entrare, varcai la soglia il più in fretta possibile forse per paura che lui cambiasse idea. Mi guardai distrattamente attorno, la casa era rigorosamente in ordine, non sapevo se sedermi o restare in piedi, mi ritrovai al centro del salotto indecisa su cosa fare.
<Siediti > mi propose Mark sedendosi sul divano. Mi sedetti accanto a lui, le mani iniziarono a sudarmi e non solo per il caldo incessante di giugno.
<Allora cosa vuoi da me? > mi domandò senza neanche guardarmi.
<Volevo dirti che mi dispiace, per tutto, per essere stata una ragazzina gelosa e immatura, per aver pensato anche solo per un istante che noi non condividessimo niente e per essere stata sorda e cieca quando mi dicevi che tra te e Monica non c’era niente > dissi cercando di incrociare il suo sguardo ma con scarsi risultati.
<Bene! Ora che ti sei pulita la coscienza puoi andare > ribatté per poi guardarmi per la prima volta da quando avevo messo piede in quella casa. Ma aveva fatto male i suoi calcoli se pensava di mandarmi via così facilmente, ero andata lì per riprendermelo o per dirgli addio per sempre ma per quest’ultima ipotesi avevo bisogno di sentirmi dire che non provava più niente per me, che ormai era andato avanti chiudendo quel capitolo della sua vita. Solo il pensiero di quell’orribile ipotesi mi provocava una morsa allo stomaco e un dolore lacerante al centro del petto.
<Non sono qui per pulirmi la coscienza ma per cercare di capire se quello che c’è stato tra di noi è ancora recuperabile, so di aver sbagliato e non commetterò due volte lo stesso errore > ribattei a mia volta.
<Credo che tu abbia fatto un viaggio a vuoto, non intendo tornare con te> rispose distogliendo, di nuovo, lo sguardo, fingendo di cercare qualche cosa si alzò creando un enorme distanza tra di noi.
<Perché? > domandai restando seduta, anche se avrei voluto alzarmi ero convinta che le gambe non mi avrebbero sorretto.
<Come perché? > domandò sbigottito.
<Perché non vuoi darci un’altra occasione? > domandai.
<Perché non voglio più stare con una ragazzina> rispose appoggiandosi al muro di fronte a me e accendendosi una sigaretta, si era messo sulla difensiva e questo mi faceva credere che quelle parole servivano per convincere se stesso.
<Non mi basta come risposta > commentai balzando in piedi, nonostante le gambe mi tremassero e sentivo che stavano per cedere, mi feci forza e mi avvicinai un po’ di più a lui, non potevo mollare adesso.
<C’è un solo modo per mettere un punto definitivo a tutta questa storia > suggerii.
<E sarebbe? > mi chiese dando un’altra boccata a quella sigaretta che si era insinuata tra di noi.
<Dimmi che non provi più niente, che quello che c’è stato tra di noi è solo un vecchio ricordo > azzardai, in effetti Mark non mi aveva mai detto, almeno espressamente, cosa provava per me, la rivelazione di qualche mese fa non contava, certo aveva detto che era innamorato di me, ma l’aveva detto con rabbia e preferivo rimuovere quella terribile giornata. Ero sempre stata io a parlare, lui aveva il compito di ascoltare, non sapevo se magari un giorno mi avrebbe detto, di nuovo quelle parole, magari in un’occasione più consona, ma la speranza era l’ultima a morire e io di speranza ne avevo tanta.
<Questo è ridicolo! > borbottò.
<Non è ridicolo, dimmi che per me non provi più niente e io mi metterò l’anima in pace e giuro che non ti infastidirò più> ribattei.
<Io non… non posso > farfugliò.
<Allora vuol dire che provi ancora qualche cosa per me? > domandai cercando di contenere il mio entusiasmo.
<Probabile > rispose rivolgendo lo sguardo altrove.
<Allora perché non riprovarci? In fondo tutti meritano una seconda possibilità> controbattei. Il suo sguardo sembrava indeciso e mai come in quel momento il suo sguardo mi riempì il cuore < Ti prego Mark non mandarmi via per uno stupido errore, non voltarmi le spalle se ho capito troppo tardi quanto ti amo > continuai.
<Non puoi parlare così > rispose Mark con uno strano sorriso.
<Se tu non parli non vuol dire che non debba farlo io! A me non può venire un ulcera perché devo stare in silenzio come te! > risposi con un mezzo sorriso. Sembrava tanto di aver ripreso i nostri battibecchi quando lui mi rimproverava di parlare troppo.
<Che fai ti fermi a cena? > mi domandò spegnendo la sigaretta in un posacenere lì vicino e avvicinandosi lentamente a me, sapevo cosa voleva e quasi sentii il cuore esplodermi dalla gioia.
<Devo proprio? > domandai con tono di scherno.
<E si dobbiamo recuperare tutto il tempo perso > mi rispose per poi perderci l’uno nelle braccia dell’altra.

Non ho mai amato così Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora