Uscito dall’università mi diressi verso la moto di Mark, un altro esame era passato e con mia grande gioia era andato abbastanza bene.
<Allora com’è andata? > mi domandò Mark una volta che l’ebbi raggiunto.
<28 e te? > domandai ricordando che anche lui qualche ora prima aveva sostenuto un esame.
<Il solito 30 > rispose con naturalezza.
<Sei diventato un po’ secchione da quando stai all’università > osservai indossando il casco.
<Diciamo che mi metto d’impegno! > mi corresse.
<Ok, andiamo a festeggiare? > proposi salendo sulla sua moto.
<Certo… dove andiamo? > mi chiese. Proprio in quel momento il suono del cellulare interruppe la nostra conversazione, osservai lo schermo e notai il nome Matteo lampeggiare insistentemente.
<Hey Matteo > risposi infilando il cellulare sotto il casco.
<Hey Dan com’è andato l’esame> mi domandò.
<Come al solito! > risposi < A te come vanno le cose?> domandai.
<Bene! > rispose non tanto convinto.
<Non mi sembri molto convinto > osservai.
<Non è niente di grave… > rispose.
<Senti facciamo una cosa, ora io e Mark stavamo andando a festeggiare gli esami riusciti, perché più tardi non ci raggiungi a casa mia e parliamo? > proposi.
<Ok a dopo allora! > mi salutò per poi mettere giù.
<Che voleva? > mi chiese Mark.
<Sapere com’era andato l’esame, poi l’ho sentito strano e l’ho invitato nel pomeriggio a casa ti dispiace? > chiesi, sentendo che il suo tono era un po’ contrariato.
<No perché dovrebbe darmi fastidio > rispose per poi sgommare lungo la strada. Festeggiammo all’insegna di brioche, patatine, kebab e ogni cosa che riuscivamo a ingurgitare, Paola mi definiva un pozzo senza fondo e notando cosa avevo trangugiando nelle ultime ora mi sa che aveva ragione. Tornammo a casa giusto in tempo per l’appuntamento con Matteo.
<Ciao ragazzi > ci salutò, osservandolo bene aveva un’aria un po’ sconfortata, chissà cosa gli era successo.
<Ciao > lo salutammo in coro. Ci dirigemmo in camera mia, in modo da ottenere, o almeno speravo, un po’ di privacy.
<Allora si può sapere che ti è successo? > domandai incuriosito.
<Dritto al punto! > commentò con un sorriso.
<Siamo qui per questo > intervenne Mark.
<Non è successo nulla di così preoccupante… > iniziò, restammo in silenzio ad osservarlo con aria interrogativa, in attesa che continuasse la frase.
<Ieri ho lasciato Federica! > continuò, restai a bocca aperta senza sapere cosa dire, era davvero un fulmine al ciel sereno.
<Perché? > chiese Mark.
<Perché non c’era più alcun sentimento o almeno non c’era più “amore” > spiegò.
<Sei sicuro? Cioè come può svanire tutto da un momento all’altro? > domandai confuso.
<Non è successo da un momento all’altro, è stato un processo abbastanza graduale, ultimamente era solo del sesso fatto bene > rispose facendo spallucce. Possibile che fossi stato così preso da risanare il mio rapporto con Paola che non mi ero accorto di quello che mi stava accadendo intorno?
<Lei come l’ha presa? > domandò Mark.
<Insomma… > si limitò a dire < Sarà difficile non averla più nella mia vita… >
Pov. Monica
Sotto lo scroscio dell’acqua mi lavavo degli ultimi residui di un focoso pomeriggio passato con la mia dolce metà, era sempre così tenero ma allo stesso tempo passionale quando mi stringeva a se per diventare una cosa sola. Anche se ultimamente ci vedevamo di meno, visto che lui si era trasferito in uno stupendo appartamento in centro mentre io ero rimasta a casa del mio fratellino, il nostro legame non era mai stato più solido.
<Momo dove hai messo la cartellina verde? > mi domandò Jemy, che poverino era costretto a mettersi a lavorare, la cosa positiva di quel lavoro era che lo poteva svolgere in qualsiasi posto...
<Deve essere in libreria, accanto ai libri che ti ho portato > risposi chiudendo il rubinetto.
<E che non leggerò mai! > obbiettò. Il mio ragazzo non aveva alcun gusto nella letteratura, adorava quei tipici classici noiosi che ti facevano studiare a scuola, mentre a me piacevano romanzi e thriller.
<L’hai trovata? > domandai avvolgendomi in un asciugamano, stranamente non mi arrivò alcuna risposta, forse non mi aveva sentito.
<Jemy l’hai trovata? > ripetei con un tono di voce più alto ma ancora una volta non mi arrivò risposta. Rassegnata decisi di non dargli importanza, forse era applicato su qualche documento. Dopo essermi vestita, uscii dal bagno e mi diressi in salotto dove di solito il mio tesoro lavorava. Appena misi piedi in salotto, lo trovai accanto alla libreria con un foglio tra le mani, la sua espressione era sconcertata e quasi arrabbiata.
<Che succede? > domandai leggermente preoccupata.
<Che succede? Dovresti dirmelo tu che cavolo succede! > rispose leggermente alterato, scostando gli occhi dal quel pezzo di carta. Lo osservai sconcertata, non capivo che cosa volesse e perché fosse arrabbiato con me, mi avvicinai un po’ di più a lui e quando fui più vicina, capii subito, con mio grande orrore, cosa Jeremy avesse tra le mani. Il libro in cui avevo nascosto i miei pensieri rivolti a Mark era a terra, quel gufo raffigurato sulla copertina mi scrutava con quei suoi occhi misteriosi e penetranti. Impulsivamente sgranai gli occhi dalla sorpresa, come avevo potuto essere così stupida da dimenticare quella specie di lettera?
<Non è come pensi > tentai di giustificarmi.
<A no? E com’è? > sbottò incrociando le braccia.
<Ero giù di morale, mi mancava la mia casa, la mia famiglia, i miei amici… quelle parole non significano niente > risposi.
<Monica queste non sono parole senza significato! > urlò stringendo nel pugno quel maledetto pezzo di carta.
<Sei troppo arrabbiato, qualunque cosa io dica ora finiresti solo per aggredirmi > commentai, conoscevo Jeremy e quando era arrabbiato, era meglio lasciarlo sbollire un po’, tanto quando era in quello stato non ascoltava nessuno.
<Vattene!> ordinò con uno sguardo che mi mise i brividi.
<Cosa? > domandai sconcertata.
<Sono irascibile, potrei aggredirti quindi meglio che te ne vai! > rispose.
<Io non intendevo >
<Non m'importa cosa intendevi, ora devi andartene non voglio ascoltare nulla che provenga dalla tua bocca > mi interruppe.
<Io volevo solo spiegarti com'erano andate le cose > dissi abbassando lo sguardo.
<Dovevi pensarci prima! > ribatté aprendo la porta d’ingresso per invitarmi a uscire. Senza commentare quella frase uscii senza dire nulla, avevo paura di parlare, avevo paura che le mie parole potessero allontanarlo ancora di più da me. Quando sentii la porta sbattere alle mie spalle crollai sul pavimento del palazzo, avevo il cuore a tremila e le lacrime iniziarono a scendere delicatamente sul mio viso. Non l’avevo mai visto in quello stato, non l’avevo mai visto così arrabbiato, ma nonostante lui si aspettasse che io me ne sarei stata buona in disparte in attesa della sua decisone su cosa fare di noi, dici di lottare di farmi di nuovo avanti, non potevo permettermi di perderlo senza combattere…
Intanto a New York
Pov Sammy
“Yes I saw you were blinded and I knew I had won. So I took what's mine by eternal right. Took your soul out into the night. It may be over but it won't stop there, I am here for you if you'd only care. You touched my heart you touched my soul. You changed my life and all my goals. And love is blind and that I knew when, my heart was blinded by you. I've kissed your lips and held your head. Shared your dreams and shared your bed. I know you well, I know your smell. I've been addicted to you”
(si, ho visto che tu eri cieca ed io sapevo di aver vinto, quindi ho preso quel che era mio per diritto divino. Ho preso la tua anima durante la notte potrebbe essere finita ma non finirà lì, sono qui per te se solo te ne importasse hai toccato il mio cuore, hai toccato la mia anima hai cambiato la mia vita e tutti i miei obiettivi
e l'amore è cieco e l'ho saputo quando il mio cuore era accecato da te ho baciato le tue labbra e stretto a me la tua testa ho diviso con te i tuoi sogni e il tuo letto ti conosco bene, conosco il tuo odore sono diventato dipendente da te). James Blunt echeggiava nella mia stanza attraverso lo stereo che era appoggiato alla scrivania. Più lui cantava più io stesa sul mio letto vagavo con la testa verso di lui, e verso tutti quei ricordi nitidi che mi passavano per la mente. Oramai era più di un mese che me n’ero andata, avevo staccato la spina e nonostante i miei segnali fossero più che chiari lui continuava a chiamare, visto che secondo il suo parere eravamo “amici”. Avevo deciso di non rispondere alle sue chiamate, era troppo presto per sentirlo felice con un'altra e essere contenta per lui.
“And I will bare my soul in time, when I'm kneeling at your feet. Goodbye my lover. I'm so, I'm so, I'm so hollow. I'm so hollow, baby, I'm so hollow.
I'm so, I'm so, I'm so hollow” (E sopporterò la mia anima nel tempo mentre mi inginocchierò ai tuoi piedi. Addio amore mio, addio amica mia sei stata l'unica, l'unica per me sono così vuoto, tesoro, così vuoto, sono così, così, così vuoto). Caro James, anche io mio sentivo vuota… tanto vuota. Mi alzai dal letto decisa ad uscire da quella stanza fredda e triste, avevo bisogno di prendere aria di vedere gente altrimenti sarei stata travolta dalla malinconia. Indossai un paio di stivali e un trench, presi un foulard dal cassetto rigorosamente abbinato alla maglia color lilla che indossavo. Dopo aver chiuso la porta della stanza mi diressi verso la sala da pranzo, nonostante non avessi tanta fame si era fatta ora di cena e volente o nolente avrei dovuto mettere qualche cosa nello stomaco. La sala era in perfetto stile vintage color nero e bianco, i tavoli erano sparsi in semicerchio per tutta la sala, mentre sulla destra dell’entrata c’era un grande tavolo dove era servito il buffet, mi avvicinai al tavolo riluttante, tutto quell’ammasso di cibo sparso per tutta la lunghezza del bancone mi faceva sentire la nausea. C’erano pietanza di ogni genere, solo che ogni cosa su cui posavo gli occhi mi sembrava supercalorica.
<Ciao > mi sentii salutare in un inglese perfetto, voltai lentamente per vedere chi fosse, dopo un’attenta analisi capii che quel ragazzo non tanto alto dai capelli biondi e occhi verdi non l’avevo mai visto prima.
<Ciao > ricambiai dandogli poca importanza.
<Mangi da sola? > mi chiese.
<Si > risposi, mettendo qualche cosa che mi sembrava appetibile nel piatto, anche non sapevo di preciso cosa stavo per introdurre nel mio povero stomaco.
<Anche io sono da solo perché non ci facciamo compagnia? > mi chiese, con un tono che sembrava voler fare tutto tranne che mangiare.
<No grazie, preferisco stare da sola > risposi, ci mancavo solo l’idiota di turno in questa magica serata, l’unica cosa positiva era che stavo esercitando il mio inglese.
<Non fare la preziosa, che gusto c’è a stare da soli?> continuò afferrandomi per un braccio.
<Provo più gusto a stare da sola che a fare qualsiasi cosa con te!> ribattei cercando di scandire bene le parole in modo che le sentisse meglio, cercai di liberarmi da quella sua presa ma non ci riuscii.
<Invece che io credo che a stare insieme ci sia più gusto > affermò.
<Hey la ragazza ti ha appena detto di NO! > disse un altro ragazzo.
<Tu perché non ti fai i cavoli tuoi? > domandò il biondino.
<Perché se una ragazza ti dice di no… tu da perfetto gentiluomo devi andartene a quel paese > rispose con un tono irritato. Bene signore e signori dopo il biondino dalla serata focosa ecco a voi Dartagnan, povera me perché non sono restata in camera…
<Vacci tu a quel paese > obbiettò il ragazzo che aveva ancora le mani sul mio povero braccino.
<Allora non hai capito > affermò Dartagnan. Senza dire altro l’afferrò per un braccio e lo sollevò come una piuma portandolo fuori dalla sala, ora che lo guardavo meglio Dartagnan aveva un bel po’ di fisico, era più alto di me con due spalle enormi.
<Tutto bene? > mi domandò l’intrepido cavaliere.
<Si grazie > risposi con un sorriso.
<Bene ti lascio mangiare in pace… > commentò per poi andarsene. Dopo essere riuscita a prendere qualche cosa da mangiare mi sedetti a un tavolo con l’intenzione di mangiare tutto quello che avevo messo nel piatto. Certo che il biondino di poco prima aveva ragione, mangiare da soli era davvero deprimente, riuscii a ingurgitare qualche bocconcino di pollo e un paio di asparagi prima che il mio stomaco si ribellasse, gettai il resto del cibo nella pattumiera e mi diressi in camera. Mentre percorrevo il lungo corridoi sentii il cellulare squillare, lo estrassi dalla tasca e posai lo sguardo sul display, era ancora lui che provava a chiamarmi, ma perche Dan non si decideva a lasciarmi in pace, avevo bisogno del mio tempo e dei miei spazzi. Improvvisamente andai a sbattere contro qualche cosa di grosso e duro, e vero che non stavo guardando avanti ma non mi ricordavo che in mezzo al corridoio ci fosse un muro, alzai lo sguardo e di fronte a me non c’era un mura ma Dartagnan che mi guardava perplesso con due profondi occhi azzurro cielo che prima non avevo notato.
<Scusa > bofonchiai, massaggiandomi la fronte.
<Oggi ci incontriamo spesso > commentò divertito.
<Già > affermai.
<Non vorrei essere invadente ma se ti rincontro di nuovo per caso, per salvarti da un altro depravato o nel caso tu mi venga di nuovo addosso, mi sarebbe utile sapere come ti chiami > disse con un sorriso
<Samantha> dissi ricambiando il sorriso.
<Molto lieto… Io sono Benjamin>
STAI LEGGENDO
Non ho mai amato così
RomanceUn nuovo amore, una nuova emozione, una relazione tutta da scoprire dove il cuore inizia ad avere un nuovo battito. Lui è Daniele un ragazzo proveniente da una famiglia benestante, che ha appena conseguito la maturità e sta iniziando a decidere cosa...