Ritrovarsi

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Dei borbottii rumorosi mi destarono dal sonno, aprii gli occhi con fatica e mi guardai attorno, mi trovavo nella stanza di Sammy ma lei non era distesa al mio fianco, porsi lo sguardo all’orologio sulla parete per controllare l’ora, erano appena scoccate le sette del mattino, segno che avevamo dormito più o meno un paio d’ore, perché si era già alzata? E soprattutto con chi stava borbottando a quell’ora del mattino? Mi alzai lentamente e mi diressi verso la porta, stavo per uscire quando mi accorsi, di essere completamente nudo, feci qualche passo indietro per prendere i vestiti che erano sparsi sul pavimento. Una volta vestito decisi di aprire leggermente la porta per vedere chi c’era dall’altro lato, non volevo che i genitori di Sammy, nel caso fossero rincasati prima del previsto, mi trovassero nel letto della figlia. Aprii una piccola fessura e notai che a parlottare con Sammy c’era Sara, la quale non mi sembrava molto contenta di quello che le stava dicendo la sorella, uscii scostando leggermente la porta, appena sentirono il rumore cigolante si voltarono in contemporanea.
<Ecco la risposta alle mie domande > commentò Sara con un sorriso ironico.
<Stavamo parlando di te e del tuo comportamento irresponsabile, non di me e Dan > ribatté Sammy contrariata.
<No tu stavi parlando di me ma io non ti ascoltavo > precisò Sara sfilandosi il giubbino di pelle bordeaux e gettandolo sul divano, sotto portava un corpetto nero abbastanza semplice, con jeans attillati e scarpe con un talco altissimo.
<Sara! > la rimproverò Sammy mentre la sorella si era allontanata per dirigersi in camera sua. Mi sentivo leggermente in più in quella scenetta familiare, ero uscito semplicemente per bere un sorso d’acqua e ora mi ritrovavo al centro del salotto fermo come uno stoccafisso indeciso su cosa fare.
<Che vuoi? > tuonò Sara fermandosi sulla soglia della tua stanza.
<Tu non puoi parlarmi come una qualsiasi delle tue amiche io sono tua sorella porca miseria ed esigo un briciolo di rispetto > strepitò Sammy avvicinandosi a lei.
<Certo quando ti fa comodo ti ricordi di essere mia sorella > controbatté Sara con lo stesso tono di voce. L’impulso di scappare via da quella casa, prima che iniziassero a lanciarsi qualche cosa addosso, era impellente ma non potevo sgattaiolare via come un topo inseguito da un gatto.
<Che vuoi dire? > domandò Sammy sbigottita.
<Niente > sussurrò Sara distogliendo lo sguardo.
<Sara, per favore… > tentò Sammy cercando di usare un tono più dolce.
<Senti lascia perdere, perché non te ne torni da dove sei venuta? Perché continui ad assillarmi fingendo che ti preoccupi per me? > domandò Sara.
<A me importa di te > disse Sammy cercando di accarezzarle il viso ma non ci riuscì perché Sara si scostò prima che la mano della sorella potesse toccare la sua guancia.
<Certo per il momento, poi tra qualche mese tornerai a New York dimenticandoti di tutto e tutti persino di me, ma tranquilla ci sono abituata, tanto lo fai sempre… >concluse Sara sbattendo la porta, da quella distanza avevo visto chiaramente che la piccola Sara aveva le lacrime agli occhi e avvicinandomi a Sammy notai che i suoi occhi non erano da meno.
<Forse è meglio che vado > suggerii, ero sicuro che Sammy sarebbe voluta entrare per chiarire quella situazione e di sicuro io gli sarei stato solo d’intralcio.
<Si forse è meglio > disse semplicemente, la salutai con un delicato bacio sulla guancia e sgusciai fuori da quella casa.

Pov Sammy
Mi sentivo tremendamente in colpa, sentivo le lacrime che mi pulsavano impetuose negli occhi ma quello non era il momento giusto per dare sfogo a tutto il dolore che provavo in quel momento. Dovevo parlare con Sara, chiarire quell’orribile malinteso che si era creato tra di noi, lei era una parte di me a cui non potevo rinunciare, quando ero lontana da lei mi mancava terribilmente e quando mi parlava in quel modo sentivo il cuore lacerarsi in mille pezzi. Aprii la porta e notai che a posto di quel corpetto striminzito aveva indossato una maglia banca che le arrivava al fondoschiena, lasciando scoperte le gambe.
<Che vuoi? > mi chiesi mentre ripiegava con cura i vestiti che si era appena tolta.
<Chiarire con te > dissi sedendomi sul suo letto. Non potei far a meno di notare che la sua camera non era cambiata per niente durante gli anni, era una camera moderna con le classiche mura bianche ma con mobili tinteggiati di bianco e rosso, la scrivania a destra del letto era rigorosamente in ordine con il pc portatile inserito nella propria custodia e un libro di cui non riuscivo a leggere il titolo al suo fianco. Sulla parete al di sopra del letto c’erano numerose foto alcune che ci ritraevano insieme, molte delle quali aveva fatto lei personalmente. Sara adorava la fotografia, nelle sue foto c’era tutta la passione che aveva per quest’arte, sembravano quasi scattate da un professionista.
<Ok, parla pure > disse senza prestarmi grande attenzione aprì l’armadio e ci infilò dentro i vestiti piegati.
<Puoi sederti per favore? > le chiesi con dolcezza, con uno sbuffo richiuse l’armadio e si sedette accanto a me.
<Bene, volevo chiederti scusa se magari in questi ultimi tempi ti ho un po’ trascurata non ci sono giustificazioni per il mio comportamento > continuai.
<Sembri sincera > replicò Sara distogliendo lo sguardo.
<Lo sono > dissi portandole un dito al mento e con una leggera pressione la costrinsi a guardarmi < So come ti senti in questo momento, ti senti sola e abbandonata, credi che nessuna possa capire il malessere che provi poiché ti vedono sempre con un sorriso smagliante dipinto sul volto. Hai voglia di scappare perché non c’è niente che ti tiene legata a questo posto… ci sono passata anch'io > continuai ammettendo quelle cose sia a lei che a me stessa, non avevo mai avuto il coraggio di rivelare quei pensieri ad alta voce. Fin da bambina ero sempre stata circondata da amici ma nonostante ricevessi mille attenzioni dalle amiche e dai ragazzi, non riuscivo a sentirmi completa, sentivo che mi mancava qualche cosa, sentivo sempre come uno strano senso di vuoto invadermi corpo e anima, solo quando stavo con Dan riuscivo a colmare quella strana sensazione.
<E per questo che sei andata a New York? Perché qui non c’è niente che ti trattiene? > mi chiese con un filo di voce.
<No, sono andata lì semplicemente per studiare, dopo il ballo sai che il giornalismo è una delle mie più grandi passioni e poi ci sei tu qui, tu sei la mia forza, la mia stabilità, il mio porto sicuro, la mia piccolina > risposi accarezzandole il viso. Dai suoi occhi iniziarono a sgorgare lacrime silenziose, non emetteva alcun rumore ma quelle piccole gocce le rigavano il viso.
<Mi sono sentita abbandonata anche da te > ammise con una voce carica di tristezza.
<Lo so mi dispiace >dissi stringendola forte a me < Ti prometto che appena finisci questo stupido liceo ti porto a New York con me > continuai accarezzandole i biondi capelli. Restammo in quella posizione per dei minuti che mi erano sembrati eterni e senza neanche accorgermene anche dai miei iniziarono a scendere delle lacrime.

Pov Dan
Appena tornai a casa mi infilai sotto la doccia per togliere dal mio corpo tutti i residui di quel brusco risveglio, mentre l’acqua sgorgava impetuosa sul mio corpo non potei far a meno di ripensare agli occhi di Sara, quei due meravigliosi occhi azzurri nascondevano una solitudine e una malinconia che io potevo solo immaginare. La mia vita era sempre stata serena e ricca di gioia, avevo una famiglia perfetta che sapeva ascoltarmi senza invadere i miei spazi e la mia privacy, degli amici sempre presenti pronti ad aiutarmi nei momenti di difficoltà ed infine una ragazza meravigliosa che mi amava in modo incondizionato o almeno così credeva lei. Dopo essermi rilassato sotto il getto dell’acqua tornai in camera mia per vestirmi, sentivo uno strano chiacchiericcio provenire dalla cucina, incuriosito indossai velocemente i pantaloni e andai a controllare cosa stava accadendo… avevo la sensazione che questa giornata sarebbe stata molto lunga e impetuosa.
Appena uscii dalla stanza notai mia sorella accucciata dietro la porta della cucina intenta ad origliare la conversazione dei nostri genitori.
<Che succede? > domandai con un filo di voce con l’intento di non catturare l’attenzione di mia madre su di me. Avevo dimenticato di avvertirla del mio non rientro a casa, e anche se ero convinto che mio padre avesse coperto la mia dimenticanza,era meglio non rischiare.
<Mamma è furibonda a causa dell’invito al matrimonio > spiegò brevemente mia sorella. Un matrimonio? Chi cavolo si sposava? E poi perché mia madre doveva arrabbiarsi tanto per un evento simile?
<Scusa perché chi si sposa? > chiesi confuso.
<Il padre di Mark… Mark non ti ha chiamato? > mi chiese. Ero sconcertato e confuso, come poteva quell’uomo anche solo aver pensato di invitare la migliore amica della sua defunta moglie al suo nuovo matrimonio? Soprattutto visto il rapporto burrascoso che avevano.
<Non saprei ho il telefono spento > risposi dando un'occhiata alla cucina, mia madre era seduta su una sedia con la testa appoggiata al tavolo mentre mio padre cercava di rassicurarla accarezzandole i capelli e sussurrandole chissà cosa all’orecchio.
<Chiamalo > mi suggerì mia sorella. Senza risponderle mi diressi in camera mia e dopo aver acceso il cellulare composi automaticamente il numero di Mark.
<Pronto! > rispose dopo un paio di squilli.
<Hey, ho avuto la notizia > dissi sedendomi sul letto.
<Non credo che tu sappia tutto > borbottò.
<Cioè? > domandai, dal suo tono capii che la notizia del matrimonio era solo l’antipasto di una cena che sarebbe stata sullo stomaco a tutti.
<Se vieni qui te lo spiego >disse, sembrava molto arrabbiato e decisi che non avrei perso un secondo in più.
<Ok sto arrivando > conclusi alzandomi dal letto. Indossai una maglia caso e corsi fuori di casa, di sfuggita notai che i miei genitori erano usciti dalla cucina e vedendomi correre in quel modo mi rivolsero uno sguardo attonito ma non ci badai, tanto ci avrebbe pensato Poppy a spiegare tutto. Fui a casa di Mark in una decina di minuti, appena entrai in casa capii subito che c’era qualche cosa che non andava, il viso di Mark era completamente sconvolto e per tutto il salotto c’erano resti di lattine di birra e dei portacenere stracolmi di cicche di sigarette.
<Cosa diavolo è successo? > domandai sedendomi sul divano o con quello che ne era rimasto.
<Quella sottospecie di feccia umana mi ha chiesto di fargli da testimone al suo cavolo di matrimonio > rivelò tutto d’un fiato. A quella rivelazione non potei far a meno di sgranare gli occhi, allora quel tizio era veramente un emerito cretino.
<Tu il testimone > ripetei, non potei far a meno di ripetere quella frase tanto assurda e sconcertante.
<Si! E Monica dovrebbe fare la testimone della madre > continuò Mark accendendosi una sigaretta.
<Questa non ti aiuta > lo rimproverai strappandogli quella cosa puzzolente dalle labbra, di solito non mi infastidiva se fumava ma quando esagerava tentavo sempre di frenarlo < Comunque tu cosa gli hai risposto? > continuai ignorando la sue espressione di dissenso.
<Che se ne poteva anche andare a fare in culo > rispose senza un minimo di tatto, quando parlava del padre usava sempre quel tono e soprattutto espressioni molto colorite.
<A parte questo? > chiesi ignorando quella risposta.
<Gli ho risposto che non andando neanche al suo matrimonio sarà un’impresa molto difficile… e non osare tirare in ballo mia madre dicendo che lei non sarebbe d’accordo perché giuro che ti spedisco da lei> rispose irritato.
<Non so che dirti, forse è davvero intenzionato a cambiare > affermai anche se con scarsa convinzione.
<Andiamo Dan piantala, quel tizio non cambierà mai, è solo interessato ai suoi interessi senza fregarsene minimamente dei sentimenti degli altri > sbottò Mark con un tono che metteva i brividi. In quello stesso momento il suono assordante e insistente del campanello mi fece sobbalzare, chi poteva essere a bussare con una tale insistenza?
<Deve essere Monica! > suggerì Mark con un tono più lieve, vedendo che restava seduto al suo posto mi alzai per andare ad aprire prima che Monica spalancasse la porta a suon di pugni.
<La situazione è fuori controllo > sbottò Monica entrando in casa, notai che anche lei era furibonda. Chiusi lentamente la porta, con quei due in quelle condizioni era meglio muoversi nella maniere più cauta possibile, appena posai lo sguardo nel salotto notai che Mark si era acceso una nuova sigaretta ma questa volta decisi di lasciarlo fare, tanto le mie proteste sarebbero servite solo a farlo infuriare di più. Monica intanto camminava come un automa avanti e dietro per tutto il salone cercando di distendere i nervi.
<A te cosa è successo? > domandai, ero sicuro che non era la questione matrimonio a farla infuriare in quel modo, doveva esserci qualche cosa di più visto che la storia tra sua madre e il padre di Mark gli era sempre stata indifferente.
<Sono settimane che suo padre si è trasferito a casa mia > iniziò continuando a girare per il salotto.
<Monica mi stai facendo venire il mal di mare > intervenne Mark.
<Scusa! > disse Monica mettendosi seduta.
<Bene allora analizziamo il tuo problema, dov’è il problema sul fatto che lui si sia trasferito a casa tua? > domandai sedendomi a mia volta.
<Che pretende di comandare, di impormi orari e modi di vestire > spiegò Monica < Cerca di fare quello che non è stato mai capace di fare… ma non ha capito che io un padre già ce l’ho, anche se non vive in questa città non è detto che lui debba piazzarsi al suo posto > sbottò Monica. Il dibattito prosegui per tutta la mattinata e alla fine si era conclusa con Monica che avrebbe fatto da testimone a sua madre a patto che il signor D’Arienzo non si sarebbe più permesso di fargli da padre, mentre Mark era irremovibile sulla questione matrimonio ed essendo dalla sua parte non mi sforzai molto per fargli cambiare idea.
<Ok allora io vado > ci salutò Monica rassegnata.
<Monica aspetta… > la fermò Mark < So quanto può essere orribile la convivenza con quel tizio… quindi se ti esaspera tanto puoi trasferirti qui, ovviamente anche con Jeremy > propose. Non riuscivo a credere alle mie orecchie, odiava così tanto suo padre che avrebbe permesso a sua sorella di vivere col suo ragazzo!
<Come mai anche con Jemy? > chiese stupita Monica. Jeremy attualmente abita in un monolocale alquanto lugubre che era intenzionato a lasciare appena avrebbe trovato qualche cosa di meglio.
<Perché non mi va che mio cognato abiti in quella fogna, avevo già pensato di chiederglielo e ora mi sembra il momento propizio per avanzare la mia proposta > spiegò cercando di essere il più naturale possibile. Cercai di non fargli capire che era inutile e che l’emozione di condividere quella casa e un pezzo di vita con la sua amata sorellina si percepiva chiaramente nelle sue parole.
<Grazie > disse Monica semplicemente sfoderando il più dolce dei sorrisi.
<Hai idea di cosa hai fatto? > chiesi con un velo di ironia non appena Monica se ne fu andata, nonostante tutto Monica e Jeremy erano una coppia e quello che avrebbero fatto in quella casa e in quei letti era abbastanza ovvio.
<Ti prego… non mi ci far pensare > commentò stendendosi sul divano. Dopo pranzo decisi di chiamare Sammy per sapere se gli fosse arrivata la notizia, pensandoci bene era dalla sera precedente che non la sentivo, di solito mi chiamava lei quando si svegliava, ma quella mattina non l’aveva fatto.
<Pronto! > rispose dopo qualche squillo.
<Hey hai ricevuto la notizia? > le domandai.
<Quale notizia? > mi chiese preoccupata, aveva un tono di voce abbastanza strano, possibile che fosse successo qualche cosa anche a lei? Quella giornata sembrava davvero senza fine.
<Quella del matrimonio > spiegai. Mark mi guardavo con sguardo perplesso cercando di capire cosa stava dicendo Sammy all’altro capo del telefono.
<Oh quella notizia… certo ho appena finito di parlare con Monica > disse.
<È successo qualche cosa? > le domandai confuso.
<No… cioè si… più o meno> rispose, mi sembrava alquanto confusa.
<Questo sarebbe un si o un no? > domandai perplesso.
<Si! > ammise con un sospiro.
<Cosa? > chiesi, perché le donne non potevano semplicemente dire cosa c’era che non andava invece di fare tutti quei giri di parole?
<Non mi va di parlarne per telefono > rispose.
<Vuoi che venga da te? > domandai confuso.
<No, qui c’è mia madre ci vediamo da un’altra parte > rispose con una sorta di bisbiglio.
<Facciamo una cosa, ora ti passo a prendere e ne parliamo > dissi con un tono con ammetteva più repliche.
<Ok > disse riattaccando.
<Anche a Sammy è successo qualche cosa? > mi chiese Mark.
<E che ci vuoi fare, voi vi mettete tutti d’accordo quando vi succede qualche cosa > risposi con ironia per poi uscire di casa. Dopo una ventina di minuti eravamo già seduti in macchina a parlare.
<Allora cosa è successo? > le domandai.
<Nulla di speciale, ho ricevuto una proposta per uno stage nella sede di un giornale > spiegò abbassando lo sguardo. Non capivo il perché prendesse una notizia così bella in quel modo.
<Dov’è il problema? > chiesi confuso.
<Lo stage è a New York >rispose tornando a guardarmi, ora comprendevo quella reazione, era la stessa situazione di qualche anno prima solo che stavolta c’era in ballo qualche cosa di più importante che un corso di studi.
<Non devi preoccuparti, questa è un’opportunità incredibile e sono più che convinto che, almeno per quello che mi riguarda, non cambierà niente > dissi cercando di confortarla.
<Dan tu non capisci, uno stage lì non significa solo un corso di preparazione, significa che se tutto va come previsto riceverò una proposta di lavoro lì e quella sarà la mia nuova casa… ed io non so se sono pronta a rinunciare a te a Monica e alla mia famiglia > ribatté.
<Non credo che tu debba preoccuparti adesso, tu devi pensare a concentrarti sullo stage e per quanto riguarda il lavoro non è detto che debba accettarlo o trasferirti a lì a vita, dopo gli studi che stai facendo anche qui farebbero a gara offrirti un posto in una casa giornalistica > dissi usando lo stesso tono di poco prima, stavolta non le avrei permesso di decidere per me o di rinunciare a qualche cosa per semplice paura.
<Forse hai ragione, è inutile preoccuparsi ora > asserì con aria rassegnata.
<Bene adesso che le ansie sono leggermente dissolte non ci resta che chiamare tutti gli altri >dissi mettendo in moto.
<Perché? > mi domandò curiosa.
<Per festeggiare ovvio! Tranquilla stasera festeggeremo da soli > risposi con un sorriso.
<Sei il solito malato! > commentò sorridendo.

<Certo che potresti anche darmi una mano > si lamentò Sammy mentre era intenta a sistemare le valigie, ormai mancavano solo un paio di giorni alla sua partenza e stavamo approfittando di ogni istante che ci restava per stare insieme.
<Preferisco restare qui a guardarti > commentai restandomene comodamente seduto sul suo letto.
<Scansafatiche > borbottò chiudendo l’ennesima valigia, mi chiedevo come avrebbe fatto a trasportare tutta quella roba dall’aeroporto fino all’albergo, di certo non avrebbe potuto portarla da sola.
<Mi togli una curiosità? Come farai a trasportare tutta questa roba? > domandai curioso.
<Mi farò aiutare da uno dei tassisti dell’aeroporto > rispose semplicemente < D'altronde sono sempre uomini > continuò.
<In che senso? > chiesi perplesso, che differenza c’era se il tassista era uomo o no?
<Nel senso che appena vedete una bella ragazza non capite più nulla > spiegò con aria compiaciuta, in effetti non aveva tutti i torti, ma come poteva un uomo vedere una come lei e non restarne incantato? Ci mancava poco che anche i gay non la trovassero attraente.
<Tu non comprendi che sei tu quella che fa esplodere gli istinti più animaleschi di un uomo > commentai con un sorriso, di tutta risposta mi arrivò un cuscino in piena faccia.
<Cosa hai osato fare? > domandai alzandomi dal letto.
<Scusa… scusa è stata una reazione istintiva> rispose iniziando a indietreggiare.
<Non servono scuse > ribattei afferrandola per il braccio e iniziando a farle il solletico sui fianchi. Dopo aver espiato la sua pena per l’azione commessa e finito di preparare la maggior parte dei bagagli, Sammy m'implorò di accompagnarla alla sua vecchia scuola di danza, nonostante avesse finito con gli studi accademici, di tanto in tanto andava a trovare i suoi vecchi insegnanti.
<Ti prego vieni con me, giuro che ci fermeremo solo per pochi minuti e dopo sarò a tua completa disposizione > disse con il suo fare ammiccante.
<Se me lo dici così come posso non accettare > affermai con un sorriso.
Non ci mettemmo molto ad arrivare a destinazione, la scuola non era cambiata molto dall’ultima volta che l’avevo vista, l’esterno era sempre tinteggiato di bianco e innumerevoli aiuole di fori colorati decoravano l’ingresso. L’ultima volta che avevo varcato la soglia di quella porta fu per l’ultimo saggio di Sammy, che nonostante il disappunto della madre e il dispiacere degli insegnanti decise di lasciare la scuola visto che le rubava molto tempo e non le permetteva di occuparsi delle altre sue passioni. Personalmente, invece, credevo che Sammy si sentisse migliore persino della sua insegnate per continuare a prendere lezioni e visto che non voleva diventare una ballerina professionista aveva deciso di puntare su qualche cosa che le avrebbe permesso di realizzarsi. Nell’entrata c’erano un paio di divanetti sui quali non si sedeva mai nessuno, all’inizio credevo che li avessero messi lì solo per riempire uno spazio vuoto e che sedersi era assolutamente vietato, solo Mark non si era mai fatto problemi, si sedeva, si alzava e in rare occasioni, ossia quando Sammy ci metteva più tempo del solito ad uscire, li usava come sedie per mangiare qualche snack comprato al distributore automatico. Senza farsi troppi problemi Sammy entrò in una delle numerose sale, al suo interno c’erano una decina di ragazze intende a imparare una coreografia, l’insegnante le scrutava senza dire una parola restando ferma in un angolo della stanza. La sala era esattamente come la ricordavo, era di un colore glicine tipicamente femminile, sul lato destro della stanza c’era una sbarra di legno mentre dall’altro lato la parete era un enorme specchio. Nessuno sembrava accorgersi della nostra presenza, erano talmente concentrate sulla coreografia che neanche il crollo del soffitto le avrebbe distolta dal loro obbiettivo. Solo quando la musica finì l’insegnate si accorse di noi, era una donna abbastanza alta con dei capelli neri raccolti in uno chignon e dagli occhi insolitamente chiari per una dalla pelle tanto scura.
<Sammy che piacere vederti! > disse avvicinandosi a noi.
<Ciao Ester come stai? > domandò Sammy.
<Tutto bene, anche se potrebbe andare meglio > rispose riservando un occhiata alle allieve che si stavano godendo quei pochi minuti di pausa.
<Dai non sono tanto male > ribatté Sammy con una strana smorfia, neanche lei sembrava molto convinta della propria affermazione.
<Il mio obbiettivo è trovare un'altra come te e non lasciarle sciupare il suo talento > controbatté Ester.
<Buona fortuna > le augurò Sammy con un sorriso.
<Grazie, chi è questo aitante giovanotto che ti sei portata dietro? Ha un viso familiare… >asserì dandomi una rapida occhiata. Ora che la osservavo bene, anche io mi ricordavo di lei era stata l’insegnante di Sammy per molti anni e di sicuro ci eravamo incrociati a qualche saggio. Ci fermammo un paio di minuti a ricordare i vecchi tempi poi l’insegnante tornò dalle sue allieve, Sammy restò a guardarle incantata, la danza le mancava e secondo il mio modesto parere aveva fatto una grande stronzata a lasciare tutto. Verso le otto di sera decidemmo di ordinare una pizza e portarla a casa, concordammo di non chiamare gli altri visto che non sapevamo cosa avessero organizzato per la serata, avevamo paura di interrompere qualche cosa. Passammo il resto della serata a parlare, ridere, guardare film e fare l’amore.
<Ora devi andare Sara sarà qui a momenti > mi disse Sammy alzandosi dal letto e aggiustandosi addosso il lenzuolo che aveva trascinato con se, questa era un’altra cosa che non capivo delle donne che senso aveva coprirsi dopo se fino a pochi istanti prima si erano mostrate senza problemi?
<Ok…  >concordai alzandomi dal letto e iniziando a rivestirmi.
<Ci vediamo domani > la salutai dandole un piccolo bacio a stampo. Nonostante fosse appena mezzanotte decisi di tornare a casa, non mi andava di chiamare gli altri per vedere cosa stavano facendo, tra qualche giorno mi sarei ritrovato da solo in mezzo alle coppiette quindi era meglio farci l’abitudine a tornare prima a casa, non avrei retto molto a fare il terzo incomodo, e non mi andava che uno dei miei amici decidesse di lasciare il proprio partner a casa per farmi uscire. Il traffico era lento a causa dei numerosi locali della zona, mi guardavo attorno con aria distratta, c’erano numerose coppiette e comitive che  invadevano i marciapiedi davanti alle entrate di pub e pizzerie. Improvvisamente ebbi un tuffo al cuore, lei era li in piedi, stranamente da sola che armeggiava col suo cellulare. Erano mesi che non la vedevo e soprattutto che non pensavo a lei, sentivo il respiro farsi irregolare e il cuore accelerare inesorabilmente, presi un bel respiro con l’intento di riprendere il controllo, dovevo parlarle, vedere come stava e soprattutto sapere che ci faceva a quell’ora da sola per strada e mi auguravo con tutto il cuore che non stesse aspettando nessuno. Fermai la macchina davanti a lei e abbassai il finestrino per salutarla.
<Ciao Paola > la salutai.
<Ciao… Dan > ricambiò con una strana espressione sul viso, sembrava sorpresa ma allo stesso tempo leggermente turbata da quel nostro casuale incontro.
<Che ci fai qui tutta sola? > domandai dandole una rapida occhiata, notai che non si era agghindata tanto per uscire, indossava un semplice jeans abbinato a delle scarpette da ginnastica e a un giubbetto nero.
<Ero con alcuni amici e ora stavo chiamando un taxi per tornare a casa > spiegò.
<Non c’è Matteo che può darti un passaggio? > domandai, l’idea che una donna prendesse un taxi da sola a quell’ora non mi piaceva affatto…
<Non mi piace fare il terzo incomodo con lui e Federica > rispose facendo spallucce.
<Posso accompagnarti io, tanto stavo per tornare a casa > proposi.
<Non credo sia il caso > replicò non molto convinta.
<Perché? È solo un passaggio > ribattei, non comprendevo bene il perché ma ora che l’avevo rivista volevo che quell’attimo finisse in pochi secondi.
<Forse hai ragione, non c’è niente di male ad accettare un passaggio > disse, forse più per convincere se stessa che per comunicarmi la sua decisione.
<Bene allora sali > dissi allungando il braccio per aprire lo sportello della macchina dal lato del passeggero. Dopo un piccolo sospiro salì in macchina, il suo profumo invase in un attimo tutta la tappezzeria, era un’ebbrezza dolce e fresca che mi riempiva le narici e mi provocava una strana sensazione di pace e gioia.
<Allora come ti vanno le cose? > le domandai per rompere il silenzio che si era creato.
<Abbastanza bene e a te? > rispose con un piccolo sorriso.
<Abbastanza bene, come va la preparazione all’esame? > le chiesi, quest’anno doveva affrontare il fatidico esame di maturità, in quei giorni dove lo stress dei studenti era alle stelle, accadevano cose quasi soprannaturali e la pazzia echeggiava nella mente di molti liceali. C’era una evento che ricordavo con precisione quando ripensavo al mio esame, eravamo tutti seduti in quel corridoio enorme pronti ad affrontare la prima prova, quella di italiano, sulle tracce mandate dal ministero ce n’era una che ci chiedeva di spiegare cos’era per noi il coraggio. Mentre ero intento a scegliere la traccia da affrontare  vidi Mark alzarsi in piedi e comunicare alla commissione che aveva scelto la sua traccia. Il presidente un po’ perplesso e sbigottito gli chiese quale aveva scelto, Mark gli disse che aveva scelto la traccia che trattava del coraggio, dopo di ciò si avvicinò a lui con una naturalezza indescrivibile… “Questo è coraggio” disse infine consegnando il compito in bianco al presidente di commissione. Quella bravata ci fece restare col cuore in gola fino ai risultati degli scritti, alla fine quella forma di coraggio era piaciuta così tanto al presidente che alla prova d’italiano Mark aveva ricevuto il massimo dei voti.
<Insomma mi sento ancora in alto mare > rispose Paola distogliendomi da quel ricordo… <Perché sorridi? > continuò.
<Stavo ricordando un evento accaduto durante il mio esame di maturità > risposi, vedendo la sua aria confusa iniziai a raccontargli tutta la storia e tutta l’ansia che avevamo provato in quei giorni credendo che il nostro amico non avrebbe superato gli scritti. Era magnifico vederla ridere su quella storiella, solo in quel momento capii quanto mi erano mancati i suoi sorrisi, i suoi malumori, i suoi occhi, le sue labbra, il suono della sua voce.
<Senti Dan di sopra ho ancora un borsone con delle cose che lasciasti da me, ti va di salire a prenderlo? > mi domandò  una volta che fummo arrivati sotto il suo portone.
<Non staranno dormendo a quest’ora? > chiesi perplesso.
<Non c’è nessuno sopra > rispose con naturalezza. Non riuscivo a crederci che avesse avanzato una simile proposta, da quanto era così audace? Forse stavo solo correndo troppo, forse non mi stava invitando a salire nascondendo un secondo fine… in fin dei conti era sempre Paola, la mia piccola e innocente Paola.
<In questo caso perché no > affermai. Salimmo le scale con estrema lentezza, entrambi sapevamo che quello era il nostro ultimo contatto, non ci sarebbero state altre scuse per stare così tanto tempo insieme e soprattutto da soli.
Entrammo in casa e mentre lei andava a prendere la mia borsa, io restai in cucina non sapevo se sarei riuscito a rientrare in quella stanza dove per tante notti era stata mia e restare lucido.
<Eccola > disse allungandomi la borsa.
<Grazie > dissi prendendola, il contatto con le sue dita mi provocò una strana scarica elettrica su ogni centimetro del mio corpo, istintivamente lasciai cadere la borsa sul pavimento e prima che me ne rendessi conto mi ritrovai a baciarla e a stringerla a me, non sapevo chi dei due si fosse avvicinato per primo, la mia mente era offuscata, ma al momento non mi importava, l’unica cosa che volevo in quel momento era diventare una sola cosa con lei. La presi tra le braccia e la poggiai sul tavolo, stappandole letteralmente i vestiti di dosso, riscoprendo così ogni centimetro del suo corpo e assaporando ancora una volta il sapore della sua pelle. Mai mi era capitato di fare l’amore con una tale brama e una tale passione, le sue mani fra miei capelli, i suoi sospiri , le sue carezze erano qualche cosa di inebriante. Solo pochi istanti dopo aver raggiunto il culmine ci rendemmo conto di quello che era appena successo, presi dallo sconvolgimento e dall’imbarazzo ci rivestimmo senza dire una parola.
<Ora devo andare > dissi una volta che mi fui rivestito. Paola annuì senza emettere più alcun suono, allo stesso modo aprii la porta e iniziai a scendere quelle scale che poco prima mi avevano condotto da lei. Improvvisamente come un fulmine a ciel sereno un ricordo invase la mia mente, anche se mi costava molto ammetterlo avevo appena commesso un errore, un errore di cui nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza, il senso di colpa era troppo vivido e forte per permettere a qualcuno di venirne a conoscenza. Quell’immagine dei suoi profondi occhi azzurri invase la mia mente…
<Cavolo… Sammy! > bisbigliai accasciandomi a terra con la vista appannata e col cuore che mi martellava nel petto.

Non ho mai amato così Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora