2 mesi dopo. Bologna. Presente.
~•~
Terzo anno delle superiori. Primo giorno di scuola dopo un'estate da dimenticare. Se potessi, scapperei lontano. Il più lontano possibile, magari in un'isola deserta. In Tailandia. O in Olanda.
Invece mi sono svegliata, ho fatto la doccia, ho infilato l'intimo e mi sono piantata davanti allo specchio. E adesso non riesco a schiodarmi dal mio riflesso, ferma come una mummia in mutande rosa e canottiera bianca. Sembro una bimba. Anche il fisico lo è, e non mi piace.
Ho i capelli di un banalissimo castano scuro, lisci, piatti e fini come spaghetti a cui è inutile tentare di donare una forma, soprattutto adesso che è settembre e piove ininterrottamente da due giorni.
Come un automa, a rallentatore, sposto lo sguardo sul vetro gocciolante della finestra e intravedo il cielo scuro, le nuvole gonfie, la pioggia sottile che si infrange sui tetti generando un crepitio insopportabile: tic crash poom tic crash tic crash poom tic crash poom. Tic crash...
Immagino il parco sotto casa pieno di pozzanghere, l'erba verde sbiadita da questo temporale che ingrigisce il mondo che mi circonda. Come se tutto intorno a me non fosse già abbastanza grigio...
Le sneakers di mia madre calpestano il pavimento del corridoio, ma io sono talmente distratta da non sentirla entrare.
«Luana? Ancora così stai?» La sua voce è energica e pimpante, come se si fosse svegliata già da diverse ore. Conoscendola, almeno dalle cinque del mattino. In fondo, il mattino ha l'oro in bocca (parole sue).
Distolgo lo sguardo dalla finestra sbattendo, spaesata, le palpebre. «È ancora molto presto, in realtà!»
Le sette o poco più.
«Che puzza, e che casino qui dentro!»
Mamma solleva la tapparella e spalanca la finestra. Una ventata di aria gelida piomba in camera scuotendole le maniche della camicetta nera e i ciuffi del caschetto castano, lunghi quel tanto che basta a sfiorarle il collo e a incorniciarle il viso.«Adoro la mia puzza quando fa freddo»
Infilo la vestaglia, me la stringo addosso come se potesse proteggermi, come se potesse limitare i danni, mentre lei si abbassa a raccogliere dei vestiti sporchi disseminati sul pavimento da ieri sera.
«Non fare la sciocchina e sbrigati» dice. «Lo sai com'è tuo padre quando ha fretta»
Mi esce una smorfia perché so benissimo che papà è uno di quelli che se ha appuntamento alle dodici in punto, deve uscire di casa tre ore prima perché per strada -così come nella vita- possono capitare degli imprevisti ed è giusto metterli in conto in modo da avere il tempo per cercare, almeno, di risolverli.
«Se mi dai cinque minuti...» Cerco di farla schiodare, ma con scarsi risultati.
Lei si solleva e mi scruta sospettosa, gli occhi socchiusi e le sopracciglia aggrottate. «Cosa stavi facendo?» chiede.
Cerco di trovare una risposta sensata.
Non lo so, mamma. Il fatto è che vado avanti a tentativi da quando sono nata. Non so cosa stavo facendo e non cosa faccio per il novantanove percento del tempo. Non ho neppure idea di cosa farò domani, perché nella mia mente è tutto così confuso... Se solo sapessi.
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
Ficción General© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...