15. L'unica cosa che mi trattiene dal saltarti addosso è un piatto di ceramica

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"Una delle commedie romantiche più famose di questo decennio è "È colpa delle stelle"

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"Una delle commedie romantiche più famose di questo decennio è "È colpa delle stelle". La storia narra di Hazel e Gus, due adolescenti anticonformisti e dallo spiccato sarcasmo. I due si conoscono durante le riunioni in un gruppo di sostegno per malati di cancro e, da qui, inizia la loro bellissima storia d'amore. Il titolo del film – e del libro – nasce da una variazione di una frase del "Giulio Cesare" di William Shakespeare che recita così: «La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi»"





Credo che solo Dio sapesse perchè mi trovassi lì. Io, di sicuro, ne ero all'oscuro. Kaleb... beh, non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo.

Mi aveva invitata a casa sua. Assurdo. Completamente folle. 

Ed io, da ingenua ragazzina infatuata, gli avevo detto di sì. 

Avevamo camminato silenziosi fino alla porta del suo condominio, nel centro di Morristone. Era una palazzina carina, colorata e piena di piante sui balconi di legno scuro. Gli stava bene come casa, a Kaleb. Sembrava fatta apposta per lui.

Salimmo le scale con il rumore dei nostri passi che rimbombava sulle pareti. Kaleb si fermò davanti a una porta di color marrone scurp, infilò le chiavi e l'aprì. Davanti a noi c'era un salotto di medie dimensioni che si affacciava direttamente sulla cucina aperta. 

«Permesso...» mormorai, facendo il primo passo dentro quella piccola casa. 

Lui appoggiò il mazzo i chiavi su un comodino posto di fianco alla porta e sorrise. «Prego, accomodati». 

Mi guardai attorno, spaesata. Quelle stanze mi davano una strana sensazione. Da una parte ricevevo calore – si capiva che quelle pareti fossero intrise di vita – ma dall'altra brividi gelidi mi investivano il corpo. Assurdo. Reagivo in modo così anomalo solo perchè Kaleb mi aveva invitata a casa sua? Allora ero veramente arrapata come diceva sempre Bea. 

«Togliti pure la giacca». 

Mi girai a guardarlo. Lui il giubbotto non l'aveva perchè l'aveva dato a me quando mi aveva incontrata fuori dalla Tenuta mentre congelavo. Arrossii e glielo porsi alla svelta. 

«Grazie» borbottai, fissandomi i piedi. 

Lo sentii sorridere, anche se non lo stavo guardando. «Di nulla».

Calò il silenzio mentre lui posava la giacca sull'appendiabiti. Feci per dire qualcosa, ma una voce m'interruppe. 

«Kaleb!»

Mi voltai. Alla fine del corridoio che si apriva dal salotto c'era una ragazza dai lunghi capelli castani sul ciglio di una stanza. Ci fissava con due occhi color nocciola così simili a quelli del ragazzo al mio fianco che quasi mi fecero paura. L'avevo incrociata un paio di volte a scuola, ma senza prestarle davvero attenzione.

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