capitolo 12

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È l'8 Marzo

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È l'8 Marzo. Sono passati esattamente tre anni da quando il viso puro e innocente di quel bambino, di Marco, non vuole lasciare la mia mente.

Forse è una coincidenza, o forse no; ma tutti gli anni, proprio in questo giorno, non c'è neanche un raggio di sole che illumina. Ci son una marea di nuvole che lo ricoprono. È come se qualcuno lassù volesse che io stessi male in questo giorno. Ma la verità è che to male ogni giorno della mia vita; e da quel 8 Marzo io sono morta con quel bambino.

Non mi rimane nient'altro che un corpo ricolmo di pentimento, tristezza e rabbia. Tanta rabbia. Perché se adesso quel bambino non c'è più, è per colpa di mio padre. Io mi sono opposta fino all'ultimo momento.

Ma non l'ho fermato. E la colpa è solo mia. Ho ucciso quel bambino di soli sei anni.

Ora avrebbe avuto nove anni e sarebbe felice, in un'altra città più sicura, con i suoi genitori. Vivrebbe la vita semplice di un bambino.

Ma lui è stato destinato a mio padre. È stato destinato alla morte.

E ogni giorno il volto di quel povero bambino, che mi guarda mentre il pugnale lo trafigge , è un punto fisso della mia mente.

Non merito di essere felice. Ho sulla coscienza i suoi occhioni marroni, che mi guardano senza riversare neanche una lacrima.

Non merito di essere felice, perché lo doveva essere lui; la mia vita era già condannata, la sua no. Lui poteva vivere serenamente.

Ma non gli è stato concesso.








3 anni prima.

8 Marzo del 2019.

Il cielo è ricoperto dalle nubi grigioline, l'aria è fresca grazie al vento che me la sbatte in viso.

Mio padre e mia madre parlottano a bassa voce, di qualcosa a m e sconosciuto. O almeno sconosciuto per poco.

" No. Non può farlo. E tu non puoi farle questo".

Urla mia mamma, mentre le lacrime le ricadono sul viso. Mio padre prova a trattenerla, ma lei si dimena in fretta. Prima di varcare la soglia della sua camera, però, mi rivolge uno sguardo. Nei suoi occhi leggo solo colpevolezza. Con le labbra mima un "Mi dispiace", e poi sparisce al di là della porta.

Guardo stralunata mio padre, che se ne sta già andando via.

" Cosa è successo? Perché la mamma sta piangendo?".

Mi guarda senza trasmettermi nulla. Poi schiude le labbra, intento a dirmi qualcosa.

" preparati, sta sera dobbiamo lavorare".

Ho solo 13 anni, ma mi ha già portato più volte a vedere il suo lavoro.

Afferma, che bisogna istruire i bambini già da giovani. Pensavo che facesse un lavoro come un altro. Un lavoro comune. Ma mi sbagliavo.

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