Jimin fin da ragazzo aveva sempre amato scrivere, non poesie, non storie romanzate, ma i propri pensieri.Era sempre stato il suo metodo maggiore di sfogo, oltre che parlare con il suo migliore amico; tuttavia, per ragioni che davvero non se la sentiva di dire ad alta voce, non ebbe il coraggio di farlo.
Quando aveva conosciuto Yoongi, anni e anni prima, aveva scritto interi quaderni su di lui, sul fatto di non sentirsi pronto per una relazione, poi sull'amore sbocciato a cui non avrebbe saputo rinunciare, poi ancora sull'ansia nel conoscere i genitori dell'alfa, nonostante fossero adolescenti.
Jimin scriveva tutto ciò che lo preoccupava, era fatto così, e sapeva che sotto questo punto di vista non sarebbe cambiato mai.
L'unica cosa che fu differente in quell'occasione stava nel fatto che quella lettera non la stesse scrivendo a se stesso, ma a Yoongi, consapevole che non avrebbe avuto il coraggio di dirgli ciò che pensava in faccia, era troppo spaventato dalla sua tempesta emotiva.
Spesso aveva avuto momenti brutti nella sua stessa mente, momenti in cui sentiva solo il forte bisogno di coprirsi con il piumone e di dormire il più possibile, al buio, da solo.
Mai però erano stati così dannosi come quella volta, una coperta non avrebbe più risolto nulla, si sarebbe solo soffocato nel proprio dolore.Per questo, appena finita la sua sessione di scrittura, a causa della quale aveva versato qualche lacrima, andò nella grande cabina armadio della loro casa, ispezionandola nel silenzio più totale.
Non sapeva cosa stava per fare, non riusciva a pensare lucidamente, si sentiva come uno spettatore nel suo stesso corpo: vedeva le sue mani che si affrettavano a prendere dei vestiti per metterli in valigia, vedeva chiaramente come si fosse abbassato per riuscire a raggiungere anche i maglioni invernali.
Riusciva a sentire la trepidante ansia nel suo cervello, esattamente come poteva percepire il rumore delle grandi valigie nere mentre le chiudeva, ma non riusciva a fermarsi.
Era come impossessato da una qualche entità a lui invisibile, si sentiva un vero e proprio estraneo nella sua stessa mente.
Ciò, tuttavia, non lo fermò dal prendere con sé anche i gioielli che aveva lasciato sul comodino la mattina prima, non lo fermò nemmeno dall'indossarli alla rinfusa.
Jimin era certo di essere diventato pazzo.
Non si dava altre spiegazioni, semplicemente non le trovava: fuggiva
Yoongi non lo aveva chiamato in quelle due settimane di vacanza, non gli aveva scritto nessun messaggio, non lo aveva cercato in nessun modo, solo Taehyung gli era stato accanto, anche se dietro lo schermo di un cellulare.
Si sentiva abbandonato, ripudiato, odiato persino.
Chiuse la lettera leccando l'orlo lucido, la guardò per minuti interi, per poi posarla sul tavolo della cucina e non posarci più gli occhi, mai più.
Si chiese se stesse facendo una cazzata, se stesse sbagliando, nonostante la risposta fosse palese nella sua mente: sì, assolutamente sì, ma non aveva altri strumenti per affrontare la sua mente se non la fuga da quella realtà che gli stava così stretta in quel momento.Pensò ad Haesoo, ai suoi occhioni dolci che non era riuscito ad apprezzare davvero: ogni volta che lo osservava di sfuggita, ogni singola volta, la sua mente lo riportava al dolore del parto, alle giornate di buio assoluto.
Lo avrebbe odiato a vita, Jimin sarebbe stato detestato dal suo stesso figlio per il resto della sua esistenza, lo sapeva bene, ma per qualche strana motivazione non voleva pensarci in quel momento.
Proprio a causa di questo, o forse della vista leggermente annebbiata che lo affliggeva da giorni, se non settimane ormai, prese in mano il manico delle sue tre valige, prese la borsa da viaggio e caricò tutto nel taxi che aveva chiamato.
«Dove la porto, signore?»
Aspettò qualche secondo, poi rispose nel modo più cordiale di cui fosse in grado: «All'aeroporto di Seoul, grazie».
Dall'ultimo sguardo a quella che era stata casa sua per anni, sua e di Yoongi, all'entrata nel luogo della sua destinazione era passato un secondo, secondo la percezione di Jimin: non si sentiva vivo.
Attese per ben tre minuti prima di varcare la soglia del gate, fissando il telefono, come se fosse in attesa di una chiamata, un messaggio, un segno che qualcuno lo volesse ancora, che avesse ancora bisogno lui.
Ma questo non arrivò mai, o almeno non prima che il giovane omega salisse in aereo, spegnendo il telefono e mettendo un punto tra lui e il resto del mondo, o almeno del suo mondo.
Quel messaggio da parte di Yoongi non arrivò mai, e lui pensò fosse meglio così.
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𝘏𝘢𝘣𝘪𝘵𝘴 || 𝘠𝘰𝘰𝘯𝘮𝘪𝘯
Фанфик«Yoongi, aspettiamo un bambino» disse il biondo, sentendosi le mani sempre più sudate ad ogni secondo che passava. Yoongi strabuzzò gli occhi: «Come scusa?». Non si tornava decisamente indietro dopo quello. ♡ omegaverse ♡ ♡ yoonmin ♡ ♡ mpre...