9. Le schegge sono fatte di parole

459 27 0
                                    

Zayn - Dusk Till Dawn ft Sia

“Sono gli altri a farti vedere quante schegge ha il tuo cuore. Poi sta a te, toglierle oppure no.”
 
Domenica, Zion l'allenatore ci concesse del tempo per riposare e a dirla tutta, sentivo di averne proprio bisogno. Mi alzai dal letto con una voglia matta di scrivere. Volevo prendere alla lettera ciò che Aiden mi aveva detto e buttare giù una serie di testi che avrei poi consegnato al Professor Turner per far sì che mi ammettesse al suo corso. Scrivere, fin da bambina, era stata la cosa più facile e bella del mondo. Era l'unico modo che conoscevo per parlare con me stessa e dirmi quello che non riuscivo a dire a voce alta.
Tutto era cominciato con una poesia. Ero alle elementari e l'insegnante ci aveva chiesto di inventarne una. Non ne capivo niente di rime, perciò provai a descrivere solo come mi sentivo in quel momento. Ricordo che mi paragonai ad un colibrì. Perchè il colibrì per restare sospeso in aria, deve battere le ali incessantemente. E a quel tempo, credevo dovessi farlo anch'io per non cadere nel vuoto. L'insegnante ne rimase affascinata e fu lei che mi spronò successivamente a cominciare ad inventarne delle altre. Invece dei soliti compiti, mi assegnava una parola e da quella dovevo partire per comporre un piccolo testo. Mi sentivo gratificata ed apprezzata da lei, come se all'improvviso avessi trovato qualcosa in cui ero brava davvero. Poi un giorno dimenticai tutti i fogli che avevo scritto sotto il banco della scuola e la mattina seguente, i miei compagni avevano deciso di farmi trovare una sorpresa. Le poesie in cui avevo investito parte del mio cuore da bambina, erano state trasformate in tanti coriandoli bianchi e sparsi su tutto il banco. Non piansi mai per ciò che avevano fatto, strinsi solo forte i pugni. Ma la cicatrice, anche se ben nascosta, restò lo stesso sotto il grembiule.
 
Prima di mettermi all'opera e così dare il via a quella mattinata, avevo decisamente bisogno di fare una doccia. Presi tutto l'occorrente.Vestiti puliti, bagnoschiuma, asciugamani e mi incamminai verso il bagno. Mi gettai subito sotto l'acqua bollente. Il profumo del sapone scivolò sulla pelle come una carezza. Le gocce d'acqua calmarono i muscoli ed il calore fu inebriante. Quando spalancai la porta del bagno sovrappensiero e mi ritrovai davanti all'ultima persona che avrei mai pensato di incontrare, per un secondo, vacillai. Lo avevo lì davanti, nella sua t-shirt blu scura e lo sguardo assonnato, i capelli neri scompigliati, gli occhi di un blu immenso.
Non avevo nessun motivo per essere arrabbiata con Ash, anche se il giorno prima non si era presentato all'allenamento. Era ovvio che la cosa non gli importasse. Eppure, era stato l'unico a non venire. Persino Charlotte, dopo aver detto che non le andavo a genio, era comunque rimasta. Qualcosa lì per lì, ribollì nel profondo e non riuscii a restare zitta.
Eravamo fermi uno davanti all'altro sulla porta del bagno. Strinsi la maniglia «Avresti potuto avvisare, ieri.»
Lui inclinò il viso corrugando la fronte «Perchè?Mi aspettavi, ragazzina?»
«No.È andata bene anche senza la tua presenza. Giusto per fartelo sapere.»
Ash si appoggiò allo stipite, tenendo il peso di lato «Deludere le aspettative, è una cosa che mi riesce bene.Sapevo te ne saresti fatta una ragione.Giusto per fartelo sapere.»
Raddrizzai la schiena «Infatti ho capito come la pensi sul mio conto.Ma credevo almeno che ti importasse qualcosa dei tuoi amici.»
Il suo sguardo si fece più duro e la voce più fredda «Non sta a te, supporre cosa mi importi o meno.»
Scrollai le spalle «Già.È vero. Allora mi spiace. Dimentica tutto. Era solo un brutto modo per fare conversazione, immagino. Adesso so che è praticamente impossibile scambiare due parole con te.Grazie per avermi dato la conferma.»
Cercai di oltrepassarlo ma lui mi bloccò allungando un braccio contro il muro«Credi davvero che passare una settimana insieme a loro, serva a farteli amici?»
Aveva appena toccato un tasto dolente ma non potevo perdere il controllo davanti a lui. Alzai il mento stringendo gli occhi in due fessure «Non ho mai detto questo.»
Ash distolse lo sguardo, puntandolo dietro di me «Però lo pensi.»
Mi uscì una risata isterica «Non credevo sapessi leggere anche nel pensiero.»
Incrociò le braccia al petto e avvicinò il viso al mio orecchio. Un brivido mi percorse lungo tutta la spina dorsale «Oh. Ma tu sei un libro aperto. Ti sei legge in faccia quello che provi. Anche adesso.»
Si ritrasse all'instante e a me venne sa sibilare «E dimmi. Cosa provo?»
«Vorresti andartene. Eppure hai ancora i piedi inchiodati qui.»
Lo superai con una spallata e mi lasciò fare «Ma per favore!Buona giornata, Ash. Se mai ne avessi una buona.»
L'unica risposta che ottenni fu il tonfo della porta che si chiuse alle mie spalle.
Tornai in camera e tirai fuori il laptop dalla valigia, raggomitolandomi sul letto. Lo accesi ed aprii una nuova pagina bianca. Non avevo più tempo da perdere.
Delle cose, mi piace il succedere. L'accadere. Così come quando vuoi qualcosa e quella scappa più lontano. Così come quando quello che cercavi non ti serve più e te lo ritrovi invece a correrti dietro. Così come quando la quantità di parole che buttiamo al vento, fa retromarcia e ci si scaraventa addosso. Quello che vorremmo sentirci dire, non succede. E quello che non ci aspettiamo, ci viene detto lo stesso. Delle cose, mi piace il cambiamento. La paura di tuffarsi per poi asciugarsi al sole. I grandi sogni che pensi si siano spenti ed invece torni a desiderarli più forti di prima. Delle cose, mi piace l'imprevedibilità. Ed il fatto che dopo anni, capisci che quello che ti è successo, le ferite, i grandi scontri, le guerre con gli altri e con te stessa, le feste, le risate, le serate insonni, i sospiri ed i respiri, che hai tolto e che ti hanno tolto dal cuore, gli occhi felici, ti hanno alla fine, costruita. I colori li vedi bene quando ti avvicini. La pioggia non è bella solo un divano, ma anche quando ci balli in mezzo. Delle cose, mi piace l'amore. Perchè più amore metti, più ti senti migliorare. Non è questa forse la felicità? Trovare qualcosa, qualcuno, che ti faccia innamorare. Qualcosa, qualcuno per cui combattere. Qualcosa, qualcuno che in mezzo alla folla, ti venga incontro. Qualcosa, qualcuno, che ti insegni a riconoscere le stelle, quando il cielo è coperto da lampadine.
Salvai con un sospiro. Quando mi alzai per poggiare il laptop sulla scrivania, il mio sguardo si fermò sulla porta. C'era un bigliettino appeso.
"Credi di essere come noi? Credi di essere una di noi? Lascia perdere e tornatene da dove sei venuta. Attenta a ciò che desideri, Meghan. Perchè tante volte, si avvera."
Non so perchè continuai a leggerlo, forse speravo che il contenuto si modificasse da solo.Ma più cercavo un senso, più quel senso non lo trovavo. Le parole che mi avevano scritto si erano bloccate in gola e fecero male come un pugno. Mi piegai sulle ginocchia e senza che me ne rendessi conto, stavo già piangendo. Mi sentivo un vaso rotto che non era capace di aggiustarsi da solo. Avevo sentito dire che da qualche parte nel mondo, i vasi rotti venivano ricostruiti con l'oro e diventavano ancora più preziosi di quanto non fossero mai stati. Io non ci riuscivo. Non avevo nessuno che mi incollasse i pezzi.
Forse la cosa giusta era restarmene lontana da quelle Stelle. A che mi servivano, in fondo? Il cielo ne era pieno. Non volevo essere come loro. A me sarebbe bastato essere una nuvola. Una nuvola che con un soffio sarebbe potuta scappare ovunque desiderasse.
Passai il resto della giornata a studiare, durante la notte sognai un mare calmo che non capii. Lunedì mattina, tutto quello che avevo scritto sul laptop, era stato cancellato. Per un attimo, tornai ad essere quella bambina a cui avevano strappato tutte le poesie.

C'era una volta Alice ( Favole Di Carta )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora