33. Chiudere il cielo in una stanza

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James Arthur – Say you won't let go

 
Il giorno seguente mi arrivò una strana email da parte del professor Kits che chiedeva gentilmente se potessi arrivare con un quarto d'ora di anticipo a lezione. Non la trovai stravagante. Dopo che Ash aveva consegnato la nostra relazione, non avevo ancora saputo niente del risultato.Pensai volesse correggermi, oppure semplicemente parlarne o fornirmi un'eventuale valutazione.
Mi sbrigai a prepararmi e con il terrore di far tardi giunsi in aula almeno mezz'ora prima. Trovai il professore seduto alla cattedra. Era un uomo sulla quarantina, i capelli ricci castani, gli occhi nocciola, il naso arcuato, vestito di tutto punto con un cardigan crema ben stirato.
«Salve, prof» lo salutai sulla porta con educazione.
«Oh, Wonder, buon giorno. Mi fa piacere che tu sia venuta» disse e con un cenno della mano, mi invitò ad entrare.
«Ti volevo parlare della relazione che hai scritto con Storm. Prego, vieni avanti. Non startene ferma lì.» Kits prese gli occhiali dalla borsa e li indossò. Nell'altra mano teneva stretto il foglio con ciò che avevamo scritto entrambi. Ci avevo visto giusto, ma rimasi comunque preoccupata dalla sua espressione di disappunto.
Mi avvicinai timidamente «Ah, allora viene anche Ash?» chiesi ingenuamente, restando sollevata per il fatto di non dovermene stare da sola con lui.
«No, volevo discuterne in privato con te» esclamò alzandosi in piedi.
Rimasi ferma, dondolando sulla punta dei piedi.
«Vedi, la tua relazione è piuttosto banale, superficiale... Oserei dire, sciatta.»
Ascoltando le sue parole, venni percorsa da un brivido di terrore. Non mi piaceva essere giudicata in quel modo. Non mi piaceva essere giudicata in generale. Ma sapevo che frequentando un'università prima o poi sarebbe successo.
«Sciatta?» chiesi come se non avessi sentito bene. «A me è piaciuta scriverla.»
Perché dovevo negarlo? Perché dovevo sminuirmi se non ero d'accordo.
Kits continuò «E poi Storm... » esclamò battendo una mano sul foglio.«Tutte quelle parole sulla paura dell'amore... Mah» fece sbigottito.«Non mi convince e sono una massa di dicerie stupide.» Fui più offesa per ciò che aveva appena detto su Ash, che per me.
«Scusi, Signor Kits ma la parte di Ash, è stata straordinaria» parlai francamente, nascondendo le mani dietro la schiena.
«Signorina Wonder? Cos'è questo suo atteggiamento di superiorità nei miei confronti? Dovrei dare un giudizio io, non lei. I suoi commenti li tenga per sé.»
Il professore si avvicinò e mi si parò davanti «A meno che...» disse piano, quasi sottovoce. Diede un'occhiata alla porta, ma non c'era nessuno. Già da lì, percepii che stava per succedere qualcosa di strano. I lineamenti nel suo viso cambiarono, gli occhi si assottigliarono e alzò una mano a mezz'aria «A meno che, tu non mi voglia offrire qualcosa in cambio. Potrei renderti una Stella, una studentessa modello... Se solo tu...»
«Sta scherzando, spero?»
Mi spaventai, indietreggiai e andai a sbattere contro la cattedra. Mi faceva paura e cercai di spostarmi velocemente da lì, ma lui mi afferrò per un braccio. Sentivo la sua presa stritolarmi la pelle e attirarmi contro il suo torace. Il cuore iniziò a pulsarmi all'impazzata e avvampai per l'agitazione in corpo. Dovevo scappare ma non sapevo come. Volevo chiedere aiuto, ma non mi usciva la voce. Stavo tremando e la vista mi si appannò.
«Sai che potrei rovinare la tua carriera qui alla facoltà? Perché non ci scambiamo qualcosa io e te...» sibilò mentre mi alitava sul viso. 
«Mi lasci immediatamente!» strillai e cerca di divincolarmi. Ma più mi muovevo, più mi sembrava di restar pietrificata. La sua presa era salda e molto più forte della mia.
«Ehi, stronzo! L'ha sentita? Lasciala immediatamente!» La voce di Ash mi fece tornare a respirare  e la realtà riprese piano piano, contorni definiti. In un attimo, si fiondò su Kits e lo scaraventò a terra. Poi lo colpì allo stomaco e sul viso, con una raffica di pugni che sembrava non finire mai. Il rumore dei colpi sulla pelle mi fece tremare ancora di più. Mi tappai le orecchie.«Ash, ora basta!» gridai, sfiorandolo con la mano.  Si girò a guardami. Forse vide il terrore. Forse guardò in faccia tutta la paura che avevo perché si calmò all'istante. Aveva gli occhi rossi, era sudato, pallido e la vena sul collo pulsava ad intermittenza.             
«Andiamo via di qui, ti prego» gli dissi in lacrime. Lui tirò un ultimo calcio tra le costole del professore. Feci scivolare la mano nella sua e lo sguardo di Ash, incrociando i miei occhi, fortunatamente, si riempì di nuovo.
Mi condusse fuori dalla facoltà. Non appena fummo all'esterno, mi strinse a sé avvolgendomi completamente.«Mi dispiace, Meg. Mi dispiace terribilmente per quello che hai subito e per come ti senti adesso.»
Respirai il suo profumo, ma non riuscii a smettere di piangere. Strinsi la sua maglietta, coprendomi il viso.
«Io...Io...Non avrei mai immaginato che...» biascicai ancora scossa.
«Se continui così, giuro che torno dentro e lo massacro.»
Chiusi gli occhi, Ash passò le dita tra i miei capelli.
«Ha finito quel tipo con la Fox. Si è rovinato con le sue stesse mani. Dio santo, non posso credere a quello che stava per fare... Se io non fossi...» ruggì in preda alla rabbia.
Poi il suo tono di voce si fece più delicato e dolce «Va tutto bene, Meg. Ci sono qui io. Va tutto bene. Non ti succederà mai più niente del genere. Non ti succederà mai più niente di male. Ora sei con me. Ci sono io con te. Non ti lascerò sola ancora...»
Singhiozzai sfinita. Singhiozzai fino a che non tornammo al Greek. Ash mi portò nella sua stanza, chiuse la porta bloccandola con una sedia. Mi fece distendere sul suo letto e si allungò accanto a me. Mi abbracciò tutto il tempo senza dire altro. Mi abbracciò fino a quando non mi addormentai. Mi abbracciò tenendo una mano sul mio petto e lo fece finchè i battiti non rallentarono.
Sentire la presenza di Ash accanto, mi fece capire quanto fosse fragile il mio cuore. E quanto dipendesse totalmente e incondizionatamente da lui. Non sapevo lasciarlo andare e non volevo farlo. Volevo i suoi occhi attenti addosso, le sue mani ad affermarmi l'anima. Sentivo che ogni parte del corpo voleva possederlo e... Amarlo.
Mi svegliai nel pomeriggio, anche se non avrei voluto farlo. Anche se interrompere quel momento, voleva dire tornare nel mondo e alla realtà dei fatti.
Bloccando la porta, Ash aveva voluto sbattere fuori anche quella brutta giornata. Come se in un qualche modo volesse proteggermi senza permettere a nessun altro di entrare.
Lui per me, era stato un terremoto. Se avessero potuto leggere la linea del mio cuore sarebbe stata un zig zag di colpi e contraccolpi. Capivo perché dessero il nome proprio agli uragani. Perché certe persone, quando si immergono nella tua vita, creano dei vortici d'aria. Alcuni te la tolgono, altri te ne danno troppa. Con lui respiravo ma c'erano momenti in cui trattenevo il fiato. Era il mio uragano ed io stavo nel mezzo. E finché niente mi avesse disturbato, sarei rimasta lì. Avrei pagato qualsiasi cosa, per tenermi stretta lì.
Il cellulare di Ash squillò ininterrottamente. Alla fine, se lo sfilò dalla tasca dei pantaloni e rispose. Dall'altra parte udii una voce maschile che doveva quasi sicuramente essere quella di Aiden.
«Che c'è» disse Ash innervosito, come se nemmeno fosse una domanda.«Sei sicuro?» rotolò giù dal letto sbarrando lo sguardo.
«Arrivo subito» chiuse di colpo la chiamata. Sbattè contro il comodino e imprecò. Mi girai a guardarlo, con il mento nascosto dalle lenzuola.  «Che succede? » gli chiesi con un filo di voce.
«Tu resta qui e non ti muovere da questa stanza. Devo andare a sistemare delle cose.»
«Quali cose?»
Ash alzò gli occhi al cielo e sbuffò come se lo infastidisse parlarmi dei suoi piani. Poi sembrò ripensarci e cambiò espressione «Stai tranquilla qua. Giuro che non ti disturberà nessuno.»
Alzai la schiena, facendo strusciare le dita sul tessuto «Dove stai andando?»
Si passò una mano tra i capelli corvini «Posso non dirtelo?»
«Tu che dici?»  ironizzai, fingendo un sorriso che mi uscì storto.
«Mio padre è alla Fox e devo raggiungerlo con Aiden. Vuole vederci a tutti e due. Ma tornerò presto. È una promessa.»
Mi baciò la fronte «Starai bene?»
«Sì... Se sto qui... credo di sì » mugolai, rimettendo la testa sopra il cuscino.
«Qualsiasi cosa, chiamami e in secondo sono da te, capito?» mi assicurò con una certa premura, poi prese una ciocca di capelli trattenendola tra indice e pollice. La arrotolò nelle sue mani per poi sfiorarmi l'altra la guancia. Mi schioccò di nuovo un bacio delicato sulla fronte, ma questa volta tenendo gli occhi serrati. Prese le sigarette sulla scrivania ed uscì.
Provai più volte a cercare di riprendere sonno, ma non ci riuscii. Così decisi di dedicarmi a rassettare le cose di Ash per la stanza. Raccolsi i suoi vestiti da terra, sistemai i libri, i cd, divisi le penne per colore. Aprii la finestra e feci entrare la luce del sole. Non ne avevo mai avuto così bisogno, come quel giorno. L'aria era un po' gelida ma il profumo dei fiori in giardino lo percepii come un'ondata che mi riscaldò leggermente. In un cassetto trovai una foto di lui ed Aiden da bambini. Erano al mare, sulla spiaggia, ridevano felici. Ash avvolgeva il braccio sulle spalle di Aiden, uno contro la testa dell'altro. In quell'immagine rubata alla vita, sembravano davvero fratelli. Richiusi il cassetto e tamburellai con il piede a terra.
Mi resi conto che ero fatta di piccoli pezzi. Come i granelli di sabbia. Piano, piano. Sempre più spesso, mi sgretolavo senza rendermene conto. E forse alla fine, mi piaceva. Essere non sabbia asciutta. Ma quella che stava a riva, quella che l'acqua cancellava e portava via. Quella resisteva. Quella che cambiava. Quella che si innamorava di un po' di schiuma.
Ash tornò un'ora più tardi. Quando entrò nella stanza si sedette pallido sul letto accanto a me «Tutto risolto» disse fissando il vuoto. «Kits è stato licenziato e denunciato.»
Lo studiai un po' preoccupata  «E allora perché hai quella faccia? »
«Perché è intervenuto mio padre e...» poggiò la testa su un ginocchio reggendola con il braccio, nascondendo il viso.
«E?»
«Vuole conoscerti. Sai, Aiden gli aveva già parlato di te... E... Poi io gli ho raccontato quello che è successo con Kits... E, insomma ci ha invitati. Ha invitato tutti e tre ad un suo evento di beneficenza, sabato prossimo» si alzò dal letto e sbattè una mano contro il muro.
«Cioè ha invitato anche me?» chiesi stupita da quell'informazione.
Lui annuì, reclinando la testa verso la parete.
«Perché sei così preoccupato?» grucciai la fronte.
Ash si scompigliò i capelli.«Dannazione, Meg! Perché dobbiamo fingere ancora una volta che tra noi non ci sia nulla. E non mi va più bene questo!»
Lui era nervoso, ma a me aveva appena dato una notizia bellissima. Ad Ash quindi importava. Ash quindi, voleva stare con me alla luce del giorno. Potevamo smetterla di ingannare e raccontare bugie.
«Non possiamo semplicemente dire la verità?» chiesi ingenuamente. Mi alzai dal letto, gli andai incontro, gli cinsi i fianchi poggiando la testa sulla sua schiena. Lui mi lasciò fare.
«No, Meg. Non possiamo davvero... Perché nel momento in cui si verrà a sapere, tutto questo... Finirà. Io lo so.»
Non capii il senso di quelle parole.
Per quanto volevo dare un taglio a quel gioco che avevamo iniziato e che implicava il tenerlo nascosto agli altri, non aggiunsi nient'altro. Non lo forzai. Per quella volta, a me, andava bene anche così. Aveva nascosto il cielo in una stanza per me. E ne ero pienamente consapevole.
Ash, fammi restare qui. A questo punto. Dove non esiste né inizio, né fine. Fammi restare tra i tuoi silenzi e i tuoi occhi. Ecco tu sei questo. Quanto tempo, o pelle, o brividi, o cose, o giorni, devi mettere al posto giusto, per riempire un vuoto? Quanto devi divorare? Se avessi anche solo un po' di calore, se perdessi un altro briciolo di cuore, non ce la farei. Non provare niente, non sentire niente, non avere niente. Niente tranne te.

C'era una volta Alice ( Favole Di Carta )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora