14. Se solo ricordassi chi sei

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Coldplay - The Scientist

Avevo preso l'abitudine di accendere la radio del campus tutte le mattine. L'ascoltavo raramente, ma la trovavo piuttosto rilassante mentre mi preparavo per andare a lezione. A Rose piaceva la radio, quella della mia città era di gran lunga più noiosa e passava solo vecchie canzoni seguite da qualche oroscopo. Devo aggiungere che la zia, ne era così ossessionata da non saltare nemmeno un appuntamento con lo speaker, per conoscere come avrebbe passato la giornata il suo segno zodiacale.
Non so se ho mai creduto negli oroscopi. Mi affidavo ai desideri e mi chiedevo sempre come facessero le stelle a sapere cosa riservasse il destino per il mio cuore. Ammetto che mi incuriosiva, sperare che potessero davvero avere a che fare qualcosa con il futuro. Ma non avevo mai avuto prova certa che seguire l'oroscopo, funzionasse. Credo che al posto di una previsione, avrei preferito che contenesse un augurio. Tipo che il vento mi conducesse in posti in tempesta e poi mi riportasse indietro non danneggiata, ma con più pezzi. Tipo che se mi fossi dovuta perdere in un mare, poi avrei saputo restare a galla e nuotare. Tipo che le scalate sarebbero state sempre verso ciò che volevo e non per accontentarmi. Tipo che i giorni che avrei voluto dimenticare, sarei stata in grado di farlo con un semplice schiocco di dita. Tipo che l'amore fosse sempre contro e mai a favore.
Sapevo che le storie più belle nascevano tra il cemento e la sabbia, tra la neve e i sassi e che quando fiorivano, possedevano la bellezza delle cose ribelli, selvagge e completamente indomabili. L'amore sarebbe stato fatto di cose semplici. Perchè amare qualcuno di per sè, era una cosa semplice. Non potevi controllarlo, non potevi trattenerlo, non potevi toccarlo. Ma eri in grado solo di chiudere gli occhi e contare quanti battiti avresti perso. E ad ogni perdita avresti percepito quella sensazione. Essere straordinari in mezzo a tutto questo mondo.
Quel lunedì, mentre ripiegavo i maglioni nell'armadio, stranamente mi fermai ad ascoltare la radio.
«Studenti della Fox, stanotte, ovunque voi siate, fermatevi a guardare il cielo. É  in arrivo una pioggia di meteore. Da mezzanotte in poi, il fenomeno sarà visibile ad occhio nudo. É  qualcosa che capita una volta ogni cento anni! Perciò cosa fate ancora lì impalati?Sbrigatevi! Correte a cercare qualcuno con cui spassarvela! Sarà uno spettacolo magnifico!Per oggi è tutto, passiamo la linea a...»
Aiden. L'unica persona che mi venne in mente, fu proprio lui. Ero stata così felice quando la sera prima, dopo che si erano conclusi i Giochi delle Case, era corso nella mia stanza per mettermi al corrente che il Greek aveva vinto anche l'ultima sfida e che il trofeo era nelle nostre mani. Avevo da poco aperto gli occhi, dopo aver preso sonno nell'infermeria e quindi mi ci volle qualche minuto per capire che era lì davvero e che non stavo sognando affatto. Mi aveva presa tra le sue braccia e fatta girare su me stessa.«Oh, è stato magnifico, matricola!» aveva detto con gli occhi verdi che brillavano.
«Mi dispiace avervi mollato proprio sul più bello.»
Lui aveva aggrottato la fronte, mentre mi metteva giù. «Cosa?Abbiamo vinto anche grazie al tuo aiuto! Zion ha ripreso il megafono ed ora è con tutti gli altri, in giro per il campus a cantare a squarciagola.Nessuno riesce a farlo smettere.»
Avevo indietreggiato, un po' dispiaciuta per aver perso la stretta delle sue braccia«Allora dovresti essere anche tu a festeggiare.»
Aiden aveva sollevato un angolo della bocca. «Sì, bhe. Manchi all'appello. Non volevo rimanessi da sola nella tua stanza. Sono venuto a prenderti.»
Poggiai una mano sul braccio «Ti ringrazio, ma la caviglia mi fa ancora un po' male. Mi hanno dato degli antidolorifici e consigliato di rimanere a letto per tutto il resto del giorno. Vorrei esserci, sul serio.»
«Allora vorrà dire che resterò qui a farti compagnia» aveva esclamato incrociando le braccia al petto e lasciandosi cadere sul mio letto.
L'avevo raggiunto zoppicando.«Aiden sto bene. Apprezzo il gesto. Ma io il prossimo anno sarò ancora qui. Voi noi. Va a goderti la festa.»
«Non se parla, matricola.»
«Facciamo così. Per stasera passo. Appena la caviglia sarà guarita, organizzeremo qualcos'altro. Ma per ora» avevo preso le sue mani per spingerlo in piedi.«Goditi la vittoria, Aiden Storm. Mi sono divertita.»
Un po' titubante si era avviato verso la porta, per voltarsi un momento prima di uscire.«Ehi, matricola.»
«Sì?»
«Sono felice che tu sia qui. Non sto mentendo.»
«Anch'io» avevo risposto. Poi ci avevo riflettuto un attimo su.«Ma perchè dovresti mentire?»
Probabilmente l'ultima frase non aveva fatto in tempo ad ascoltarla, perchè quando avevo puntato lo sguardo sulla porta, lui già non c'era più.
 
Chissà se per quell'evento le Stelle stavano già organizzando qualcosa. Fatto sta, che volevo assistere allo spettacolo in compagnia di Aiden. Mi vestii in tutta fretta, lasciando la camera completamente in disordine. Avrei pensato dopo a sistemarla. Ero convinta che se non l'avessi incontrato in tempo, qualcun altro mi avrebbe rubato l'occasione di invitarlo.Provai a bussare alla sua stanza, ma non rispose nessuno. Evidentemente era già uscito. Mi precipitai nella sala comune, sperando che almeno fosse lì. Invece trovai Nathe ed Alex che facevano insieme colazione.«Ehi, Meg. Come va la caviglia? Mi è dispiaciuto un sacco che ieri non ti sei potuta unire a noi» mi disse Alex mentre buttava giù il succo d'arancia.
«Decisamente meglio. Grazie» risposi un po' di fretta.
«Sembra che tu abbia perso qualcosa» tentò di indovinare Nathe addentando un biscotto.
Mi grattai la testa «Ehm. Sapete dove si è cacciato Storm?»
«Quale Storm? Lo Storm buono o lo Storm cattivo? Ne abbiamo due, se non sbaglio» scherzò Nathe trattenendo una risata.
«L'unico con cui parlo.»
«Credo che oggi sia fuori per tutto il giorno. Ieri ha ricevuto una chiamata dal padre e da quello che ho capito, dovevano partecipare ad un convegno insieme» mi spiegò Nathe.«Se vuoi posso informarmi per che ora torna al Greek.»
«Oh, non preoccuparti» dissi alzando le mani.«Se è con suo padre, non voglio assolutamente disturbarlo.»
Nathe girò il cucchiaino nella sua tazza facendola tintinnare «Altrimenti c'è sempre lo Storm cattivo.»
Alex tirò un calcio sotto al tavolo. Nathe corrucciò la fronte «Che c'è?»
Lei sbuffò e fece roteare gli occhi al cielo.«Scusalo, Meg.»
Strinsi le labbra «No, ma tanto avrei allegramente rifiutato l'offerta. Grazie a tutti e due per l'aiuto.Vado a lezione.»
Andai a sbattere contro qualcuno alle mie spalle e del caffè si rovesciò sopra la vestaglia panna di Zion.«Oh, mi dispiace!»
Lui mi battè una pacca sulla spalla«Tranquilla, principessa. Ti farò avere il conto della lavanderia.» Fece una faccia così seria che dovetti mordermi una guancia.Poi scoppiò a ridere, Nathe e Alex, lo seguirono.«Sto scherzando!Sto scherzando! Al mio bucato questa settimana ci pensa Aiden. Quindi sono certo troverà un modo per smacchiarla!Oh, non fare quella faccia. Ti sto prendendo in giro! Figurati se mi importa qualcosa di una stupida macchia di caffè.»
«Oh, sì. Lei ha un problema con il caffè» si intromise Ash che era spuntato fuori all'improvviso.
«Ok, ragazzi. Credo proprio che adesso devo andare» dissi, cercando di trascinarmi via di lì, più in fretta possibile.
 
La mia idea di passare la serata con Aiden a guardare la pioggia di meteore era appena andata in frantumi. Non mi restava che ripiegare sui libri e avvantaggiarmi con lo studio. Prima però, avrei dovuto affrontare la lezione di filosofia e sperare che Ash non fosse di nuovo lì. Una parte di me si chiedeva come fosse possibile che uno studente iscritto alla facoltà di economia seguisse anche i corsi umanistici, l'altra credeva che non fossero affari suoi.
I ricordi arrivavano sempre all'improvviso e mi piombavano addosso senza chiedere il permesso. Non era la prima volta che accadeva.
Mentre mi dirigevo in aula, bastò un secondo per perdermi di nuovo dentro la mia testa. Mi tornò in mente qualcosa che avevo rimosso chissà come, chissà quando. Dovetti fermarmi e poggiare la schiena contro il muro, perchè la vista piano, piano cominciò ad annebbiarsi. Una serie d'immagini mi tolse completamente il fiato.
C'era un bambino, nei miei ricordi. Un bambino che era apparso qualche volta dentro un mio sogno, ma che poi era svanito non appena mi ero svegliata. Un bambino con gli occhi vuoti e testardi. Un bambino, con gli occhi vuoti, testardi e strani. Non riuscivo a distinguerne il colore perchè la sua sagoma era offuscata e traballante. Era più alto di me, più forte e con una faccia buffa e dispettosa. Mi faceva ridere ed era come se lo conoscessi da tutta la vita.
Sapevo che quando se la prendeva, arricciava le labbra e stringeva i pugni. Come sapevo che dopo nemmeno cinque minuti gli era già passata e tornava subito a sorridermi. Gli zigomi si alzavano, le labbra si distendevano e succedeva soprattutto quando incrociava il mio sguardo. Sapevo che amava le caramelle con le nocciole all'interno, che correva veloce ed io faticavo a stargli dietro, che aveva paura dei ragni e delle rane, ma che aveva abbastanza coraggio da affrontare qualsiasi mostro gli si palesasse davanti. Amava le favole, odiava l'inverno, era fissato con la magia e con i giochi di prestigio. Diceva sempre che io avevo un buon odore perchè profumavo di biscotti appena sfornati.
In quel ricordo, eravamo due bambini. Io gli stavo accanto e mi sentivo come quando è la vigilia di Natale e ti aspetti solo cose belle. Lui invece, mi osservava nello stesso modo in cui si guarda una sorpresa, o qualcuno per cui vuoi essere migliore.
Era notte, una notte buia ma senza nuvole. Era estate, le cicale cantavano melodie dolciastre. Eravamo in un campo, con l'erba alta che arrivava fino alla punta delle ginocchia. Forse quelli che avevamo attorno erano tulipani, ma il ricordo era troppo sbiadito per esserne certa. Il bambino ad un tratto sorrise sfacciatamente e mi prese la mano. Ci poggiò dentro qualcosa ed io lo lasciai fare. Era una luce minuscola che vidi appena. Mi chiuse le dita in un pugno e sussurrò «Questo sarà il nostro piccolo segreto.Non puoi dimenticarlo, però, Meg. Non devi dimenticarlo mai.» Tenendomi ferma la mano, aggrottò le sopracciglia «Promettimelo.»
Sbuffai divertita «Lo prometto, lo prometto. Non essere così serio. Io mantengo sempre quello che dico.»
«Croce sul cuore?»
«Sì, certo. Croce sul cuore.» Mi disegnai una x sul petto e mi buttai a sedere a terra con lui. Il bambino strappò un filo d'erba e se lo infilò tra le labbra per giocherellarci.
«Questa è la magia migliore di tutte.Te l'assicuro. Ogni volta che sei triste, puoi chiudere gli occhi e tornare qui. E puoi farlo quando vuoi, sai?»
«Anche quando sarai lontano?» dissi mentre gli occhi mi pizzicavano.
«Sì.»
«Anche quando non ci sarai più tu a raccontarmi le storie?»
«Sì, Meg.»
«E come farò ad andare in bicicletta senza di te?»
«Impararei a farlo da sola.»
«No!Non voglio!Non voglio andare in bicicletta da sola. Non voglio che qualcun altro mi racconti le storie della buona notte al posto tuo. Non voglio che tu te ne vada.Non andartene, ti prego.Ti lascio tutte le caramelle che vuoi, ma non andartene. Non lasciarmi da sola. Portami con te, allora.»
Il bambino sospirò e si girò dalla parte opposta.«Meg, sai che non voglio farlo. Se fosse per me, resterei con te per sempre.»
«E allora resta con me per sempre.»
«Non posso.»
«Se non puoi, non voglio vedere la magia migliore di tutte. Mi hai mentito!Se davvero fossi capace di utilizzare la magia,realizza il mio desiderio. Voglio che tu, torni da me ogni volta che ne ho bisogno. Non importa quanto tempo ci metterai perchè io ti aspetterò. Qui. Seduta proprio qui.»
Il bambino sorrise «Sull'erba bagnata?»
Lo spintonai «Non prendermi in giro.»
Lui sollevò lo sguardo verso le stelle «È  ora.Spero che tu non abbia aperto la mano.»
«No. Non l'ho fatto, imbroglione» dissi mentre gli mostravo il pugno chiuso.«Posso, adesso?»
«Guarda che le magie non escono se non sai aspettare» mi rimproverò, ravviandomi le ciocche rosse dietro l'orecchio.«Fa silenzio e sta a guardare.»
Iniziò a contare eccitato sussurrando contro le stelle «Tre.Due.Uno. Adesso!»
Spalancai la mano e venimmo circondati da un milione di lucciole che volavano via verso il cielo. Aveva ragione, era stata davvero la magia migliore di tutte.
Poi il ricordo si bloccò e tutto quello che rimase fu solo un'ombra. Tanta ombra che mi abbracciò e stritolò, pensando di essere una vecchia e cara amica.
Sapevo che i ricordi sbiadivano come l'alba. Odiavo ogni volta che succedeva. Li vedevo, ne restavo affascinata ed un attimo dopo mi era rimasto solo il vuoto a consolarmi. Avevano passato anni a nascondersi, buttati nel ripostiglio freddo e umido del mio cuore.
Tutti accumulano il passato in barattoli senza etichetta. Fino a quando, quelli non decidono di rompersi. Il vetro con troppo calore, si frantuma. Avevo rimosso che i miei barattoli fossero pieni di lucciole.
Le lucciole non fanno male. Le amano i bambini perchè sono in grado di toglierti il fiato. Fanno luce anche nelle notti più buie ed assomigliano maledettamente alle stelle.
Era così tanto tempo che non ne vedevo una che mi chiesi quanti altri barattoli mi restassero prima che scomparissero per sempre.
I miei ricordi erano fatti di lucciole. Sapevo di averle incontrate, ma me ne ero in un qualche modo, dimenticata. Non avevo mantenuto la promessa fatta a quel bambino. Speravo solo che quando fossero state finalmente tutte libere, avrebbero scelto di rimanermi accanto.

C'era una volta Alice ( Favole Di Carta )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora