🔹18. Ci facciamo male

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«Edoardo ha accoltellato tuo fratello?»
La voce tremante di Ambra mi riporta al presente. Mi volto verso di lei, ha le guance rosse così come gli occhi, probabilmente per la forza con cui sta trattenendo le lacrime.
«Ma tuo fratello è morto per colpa dell'incidente, vero?»
Cerca una conferma che non posso darle. Infilo le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Te l'ho detto che abbiamo esagerato quella sera.»
«Rispondi alla mia domanda.»
Faccio un sorriso cupo, poi mi volto e ritorno a guardare oltre la finestra...

"Esco dalla discoteca dalla parte sul retro, attento che nessuno ci veda. Raggiungo l'auto nel parcheggio e con non poca fatica riesco a fare sedere Gerardo sul sedile davanti. Il suo corpo snello si sta lasciando andare, ora è pesante e debole.

«Gerà
Gli do un paio di schiaffi sul viso, che molleggia da una parte all'altra. Sta perdendo conoscenza ed è proprio in questo preciso istante che la realtà mi colpisce più forte degli schiaffi che gli sto tirando.

«Gerà, svegliati. Mannaggia a te se svieni è la fine» ringhio tra i denti, la mia stessa voce arriva spezzata alle mie orecchie. Il cuore batte così furioso da farmi bruciare il petto.
«Gerardo. Fratello... dai cazzo» mormoro respirando a fatica. Ho la fronte madida di sudore e mi sento soffocare come se delle dita d'acciaio stessero stritolando il mio collo.

«Leonà... sono... stanco» biascica cercando di aprire gli occhi, ma la voglia di lasciarsi andare è troppo forte.

«Lo so, ma tu sforzati. Tu sei forte... tu...» Mi tremano le mani, le stesse che lo scuotono con decisione.
Apre gli occhi sforzandosi in tutti i modi di rimanere sveglio.
Io non riesco neanche più a parlare, quelle dita invisibili mi stanno stringendo la gola e il petto.
Respiro rumorosamente, con la bocca spalancata, incanalando più aria possibile nei mie polmoni.

«Leonà...» Gerry fa una smorfia mentre cerca di voltarsi verso di me.
«Non ti muovere, Gè.» Tiro su col naso, gli prendo la mano e la premo sul fianco che non ne vuole sapere di smettere di sanguinare.
«Tieni premuto, capito? Io devo guidare» biascico a fatica, ormai.

«Leo... calma.»
I suoi occhi stanchi si fissano nei miei. Prende un respiro tremante, il bel volto deformato da una smorfia di dolore. Lui con il fianco lacerato che cerca di tranquillizzare me, si sono invertiti i ruoli.
«Da quanti anni... non hai un attacco... di panico?»
Non posso impedire ai miei occhi di riempirsi di lacrime.

«Da tanto, Gerà. Da tanto.»
Gli afferro il viso con entrambe le mani.
«Non ti addormentare.»

Poggio la mia fronte alla sua, gli do un bacio e corro al lato del guidatore. Salgo, metto in moto e sfreccio via dal parcheggio. Le mani sproche di sangue scivolano sullo sterzo e le dita che tremano non aiutano affatto, rinsaldo la presa e accelero.
La strada davanti a me sembra infinita, di tanto in tanto controllo Gerardo vigilando che non si addormenti.

«Gè, ti ricordi quando da piccolo mi facevo prendere dal panico? »
Cerco di tenergli la mente occupata, di farlo interagire così da rimanere sveglio.

«Mh-mh.»
Rido. Una risata affannosa. Lui mi imita ma viene colto da un colpo di tosse che fa sanguinare ulteriormente la ferita.

«Non fare movimenti bruschi, Gerry. Attento. Premi sulla ferita.»
Esegue le mie istruzioni come può.
«Sì... sì... mamma.»
Trova ancora la voglia di scherzare e di prendermi in giro, ciò mi dà un minimo di speranza.

«Tu eri l'unico che riusciva a calmarmi, ti ricordi?»
Gli scuoto leggermente una gamba e lui trascina la testa molle nella mia direzione.
«E per forza... sei... sei... il mio fra... fratellino. Io... ti... ti proteggo.»

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