Questo 2020 sta per concludersi con una separazione inaspettata, tra me e la casa in cui abito.
Immagina di vivere in un posto per quindici anni e doverti staccare un giorno. Quanto fa male solo al pensiero, soprattutto se in questa casa ti sei evoluta e ti sei affezionata a 90mq. Ricordo ancora il primo giorno che ho messo piede qui dentro, a sette anni.
Lo spazio di questo appartamento era immenso in confronto alla bambina che ero nel 2005, non abituata a degli interni così occidentali, senza tappeti ovunque e addirittura con due bagni, di cui uno era una specie di sgabuzzino. Per non parlare delle stanze, smisurate in altezza.
All'inizio mi capitava anche di perdermici.
Non facevo altro che guardarmi attorno ed osservare tutto ciò che mi circondava. Non era la casa di campagna dell'est Europa di nonna. Per quanto faccia ridere, ero una bambina che non aveva mai vissuto in un appartamento, mi stupiva questo cambiamento, per me è stato radicale, mentre per i bambini qui è la cosa più normale.Ad agosto si parlava in famiglia di un ipotetico trasloco, e ho pregato che fosse solo un'idea passeggera che mia madre aveva. Qui ho la mia cameretta, che ho ceduto in parte a nonna da quando sta con noi. Ho avuto il mio spazio personale, del quale sono diventata gelosa. Prima di arrivare qui, non lo ero mai stata da bambina, gelosa di uno spazio privato, che cosa strana sarebbe stata in un paese colonizzato dal regime sovietico. Non avrei fatto caso a questo aspetto una volta, poi sono cambiata in una società a me nuova. O meglio, sono riuscita ad adattarmi, così come sosterrebbe Darwin. Riuscendoci, sono diventata più italiana, ho adottato la lingua, la cultura, il gesticolare con le mani addirittura, impossibile ormai da nascondere quando torno in patria. Sono stata adottata dall'Italia e da questo appartamento. In questi quindici anni sono cresciuta, diventando una donna che ha attraversato varie fasi, soffrendo e gioendo tra le sue mura. Alla parola 'casa', io penso a questo appartamento, che considero mio, anche se non lo è perchè siamo in affitto.
Ebbene l'idea di doversi trasferire da qui mi logora in realtà, eppure il cambiamento di solito lo accetto senza far tante storie, ma ora quel che riesco a fare è pensare ai quindici anni passati qui dentro e mi viene da piangere. Ho accompagnato ultimamente mamma a vedere un nuovo appartamento, più in centro e vicino la stazione dei treni, non mi piace per niente. E' circondato da altre case attorno, al piano terra, ed è compatto. E' così piccolo che non avrò più un mio spazio in cui stare, e toccherà condividere la camera con mamma. Il pensiero di traslocare qui mi uccide.
Faccio un po' fatica a stare nel mio appartamento grande, perché siamo in cinque, figurati in questo. Per non parlare dei balconi, sono minuscoli, ci si deve dare il cambio se vuoi affacciarti un po' o a stendere i panni.
Mi sento vuota nel vedere il corridoio di casa mia pieno di scatoloni, in cui ho riposto roba su roba. Sembra il Muro del pianto.
Sarò sempre legata a questo appartamento, perché rappresenta anche il luogo in cui ci siamo riunite io e mia madre dopo anni di lontananza. È stato l'ambiente in cui ci siamo conosciute meglio, in cui abbiamo discusso, confrontate. Siamo cresciute entrambe qui, lei come madre e io come figlia.Ah i ricordi...
Non faccio altro che pensare al momento in cui me ne andrò e mi fa soffrire. Non potrò più affacciarmi dalla mia camera e vedere la rotatoria piena di macchine, il supermercato, andare sul terrazzo, o farmi due passi giù nel parcheggio. Tutto ciò mi ha permesso di distrarmi nel primo lockdown, e a quanto pare ci aspetterà viverne un altro ancora questo inverno, perchè la situazione sembra non voler migliorare. Come faccio senza tutti questi posti? Nel nuovo appartamento toccherà affacciarmi in balcone e vedere le facce imbronciate dei miei vicini super nazionalisti, perchè faccio parte dell'unica famiglia extracomunitaria di questa via. Non voglio andarmene da casa mia.
Però è arrivato dicembre, e sulle note di Fine Line di Harry Styles impacchetto tutta la roba nella mia cameretta. Sento un vuoto dentro, che credo non si colmerà mai. Il letto matrimoniale in cui ho sempre dormito è sopraffatto di scatoloni pieni di libri, vestiti, accessori, scarpe e così via. Il materasso porta il peso di un pezzo della mia infanzia e adolescenza. Ho dovuto staccare anche i poster e le foto che avevo appeso nel tempo, la parete ora è vuota e pulita. Tutto questo bianco emana malinconia.
Traslocare in inverno è letteralmente un incubo. Non bastava il bagaglio emotivo, ma ci si mette anche il maltempo. Viaggi su viaggi con la pioggia, tutti che si affacciano per vedere chi si trasferirà in questo nuovo vicinato, smontare per rimontare i mobili. La stanchezza di portarsi scatole e scatoloni da un posto all'altro si fa sentire.
Ora la mia casa è vuota, l'unico ricordo indelebile che rimane di me lì è sul telaio della porta di camera di mamma, dove c'è segnata la mia altezza negli anni, un cliché, ma è pur sempre un pezzo della mia presenza. Gli ho scattato una foto, per averla con me una volta uscita da qui. Vedere questo appartamento spoglio mentre faccio un ultimo giro mi addolora, ma faccio finta che sono entusiasta del futuro e di andare in un posto nuovo, più piccolo di questo, con dei vicini poco collaborativi.Si ipotizza che un trasloco debba farti provare allegria, perchè indica aria di cambiamento, positivo in genere, ma a me provoca solo angoscia. Ma l'angoscia più grande l'ho provata ultimamente andando a rivedere il mio vecchio appartamento, che è già in ristrutturazione, i proprietari mi hanno permesso di visitarlo. L'interno di questo appartamento sarà sempre un ricordo, così come la porta su cui ho segnato la mia altezza, che ora non c'è più, è stata smontata insieme al pavimento e la carta da parati nel lungo corridoio, tutta strappata via. La vasca nel bagno è stata sostituita persino da una cabina doccia. La cucina dimezzata, per creare una cabina armadio tra cucina e corridoio.
Invece per quanto riguarda la mia stanza, i mobili che c'erano, ora hanno fatto spazio al nulla, lasciando che il sole illumini completamente con i suoi raggi le pareti.La nota meno dolente, è che non dovrò più scrivere un indirizzo di casa lungo, accompagnato da un numero civico di tre cifre. Ogni volta riempivo la riga di qualche documento finendo fuori.
E' così che si cresce allora, abbandonando anche ciò a cui si tiene. Il luogo che per tanto tempo è stato casa e in cui mi sono sentita al sicuro, è diventato in un batter d'occhio uno spazio estraneo, che non riconosco più e i quindici anni passati lì dentro, sono sfumati con un restauro.
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Due settimane in vacanza
Historical FictionLa mia voce, oltre a far parte dell'archivio sonoro di Roma, starà nell'inchiostro di queste ottantuno pagine di diario che vi dedico. Cover credit to model: Kiranjeet Gill