Capitolo 13

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Il capo degli armigeri riferì gli ultimi rapporti al suo sovrano. Levon si passò una mano sulla barba ispida, valutando attentamente la situazione. I re del nord marciavano su Roskilde e dall'Herning non giungevano notizie da tre giorni. Il capitano Kalem, lanciando occhiate fugaci agli altri due ufficiali, stava riferendo che a loro parere quest'ultima era da considerare espugnata.

A differenza dello scatto rabbioso che gli ufficiali si aspettavano, il principe mostrò indifferenza. "La Scandinavia ha deciso di sferrare il suo attacco e noi siamo pronti a riceverla. L'esercito giuntoci dall'Armenia ha già preso le dovute posizioni. Canut e Sverre potranno pure avvicinarsi ma dovranno contare le loro perdite prima di scontrarsi con noi."

Jarif, consigliere di Levon, si fece avanti trascinando lentamente il suo corpo magro e serpeggiante. Dai suoi occhi sinistramente sorridenti e stretti come due fessure si poteva scorgere la sua familiarità col sovrano e i suoi consigli nascondevano l'ombra dei suoi malefici.

"Mio principe" intervenne con tono quasi stridulo "a voi non importa nulla di Canut e Sverre. Propongo di attirare la marchesa dentro le mura. Una volta in trappola non sarà difficile disarmarla della sua spada" disse ignorando l'espressione truce che si dipinse sul volto spigoloso di Levon.

Il principe si accostò al suo consigliere e lo fulminò con lo sguardo. "La vostra imperizia in fatto di guerra, Jarif, mi lascia perplesso" lo redarguì con voce roca. "Ai miei uomini non interessa. Ho promesso loro una battaglia e un bottino. E li avranno!" Jarif chinò il capo fattosi paonazzo in volto.

"Adhir partirete per Elsinore e farete di tutto per bloccare l'avanzata di re Sverre" ordinò il principe. Adhir sgranò gli occhi colto da meraviglia, ignorando persino il tono rude del suo sovrano. Per anni aveva condiviso le azioni con altri comandanti e adesso gli si presentava l'occasione di diventare il protagonista di una sua battaglia con un suo esercito!

"Kalem," continuò Levon, rivolto al secondo comandante "preparerete gli attacchi interni e le difese per tutto il perimetro delle mura. Voglio i migliori arcieri appostati sui merli e le baliste poste su tutti i punti strategici, anche davanti al ponte."

"Mentre voi, Jarif," aggiunse con sguardo arcigno, voltandosi verso di lui "sarà meglio che raggiungiate le truppe a ovest e attendiate Canut. Vi assicuro che laggiù avrete tempo per riflettere sulle astuzie e le manovre per intrappolare la marchesa di Herning."

Jarif strinse la mascella sbattendo più volte le palpebre. "Mio principe, è il vostro modo di punirmi perché vi ho recato offesa?" chinò il capo sottomesso. "Perdonatemi, vi prego. Io non ho mai combattuto e ..."

"Siete anche voi addestrato alla guerra" lo interruppe Levon. "Non temete" aggiunse fingendo di rassicurarlo, mentre per Jarif fu chiara l'intenzione del suo signore di disfarsi di lui. Con le sue parole maldestre aveva compromesso la fedeltà dei suoi uomini e Levon non poteva rischiare di spezzare quel filo sottile che lo legava al raggiungimento dei suoi obiettivi. "Farete parte di un reparto di sicurezza. Marcerete a una certa distanza dal grosso di una colonna in movimento e prenderete nota di ciò che accadrà sul campo di battaglia, tenendomi aggiornato sugli sviluppi e sulle mosse del nemico."

Jarif strinse i pugni e fece due passi avanti deglutendo a fatica. "Mi spedite tra le retroguardie, Sire. Non ne uscirò vivo!"

Levon voltò lentamente lo sguardo su di lui, tenendo pazientemente le mani incrociate dietro la schiena. "Sono certo che darete prova del vostro coraggio" mormorò inarcando un sopracciglio. Rosso e livido in volto, Jarif sentì il panico paralizzargli le gambe. Quando poi il suo principe congedò Adhir e Kalem, tremante si domandò che cosa mai volesse ancora da lui.

"Idiota!" tuonò Levon, la cui voce risuonò nel salone deserto. "Hai intenzione di mandare a monte tutti gli sforzi che ho fatto fino ad ora?" lo aggredì con voce astiosa.

Jarif sbatté le palpebre, speranzoso. "Non mi manderete nelle retroguardie?"

"Se non lo facessi, fornirei prova ai miei uomini di debolezza e penserebbero che tolleri l'insubordinazione. Se verrebbero a scoprire i miei piani il loro ammutinamento mi devasterebbe!"

"Cerca, piuttosto, di non farti ammazzare. Se tu disertassi, non saresti certo punito, non sei un soldato, chissà ..." digrignò cercando di stimolare l'astuzia del suo servitore.

Jarif si gettò in ginocchio per una simile clemenza.

"Hai ancora un compito da svolgere" lo avvertì il sovrano allontanandosi. L'armeno si rialzò lentamente.

"Se io non dovessi uscire vivo da questa impresa tu dovrai fare in modo che mio figlio cammini sulle mie orme."

"Vostro figlio? E' solo un ragazzo!"

"E' un uomo! Ed è tempo che scenda dal letto di allori su cui si sta crogiolando e che prenda in mano le redini del regno che io gli lascerò!" sibilò accostandosi alla grande vetrata che dava sul cortile. "La mia spada colpirà gli ostacoli che si porranno sul progetto del mio dominio e mio figlio ne coglierà i frutti. In quanto a Cassandra Hassel, la trascinerò con me, ignara di ciò che le attende. Ho progettato ogni cosa" disse voltandosi verso il suo dignitario. "Tu andrai in Armenia a indottrinare mio figlio, mentre io porterò con me il principe Eric, spingendo sua sorella a seguirmi nel buio delle tenebre!"

Tornò a osservare il cielo nuvoloso attraverso i vetri. "C'è un tesoro che mi renderà potente e lei detiene lo strumento per il mio compromesso o non avrò il mio esercito potente. E nessun cavaliere con una croce sul petto potrà opporsi a questa volontà!" sibilò col volto contratto.

**********

Quando Cassandra giunse a Odense, trovò la città liberata. Re Canut, infatti, aveva impiegato vari contingenti e parecchia della sua energia per sferrare la resistenza armena.

"Re Sverre è sbarcato e sta marciando sulla capitale" informò il sovrano dall'aria affaticata.

"Levon avrà ricevuto il suo esercito dall'Armenia" stabilì lei pensierosa. "Dobbiamo raggiungere i norvegesi, maestà. Sono temerari e vorrei impedire la possibilità che re Sverre insinui un attacco a sorpresa."

Re Canut si corrucciò. "Si atterrà ai piani, limitandosi a sgombrarsi il passaggio dalle truppe di sostegno armene. Re Sverre è un combattente molto prudente. Lo so a mie spese!" ammise con un brontolio sommesso.

Cassandra, tuttavia, ebbe l'impressione che Levon conoscesse le loro mosse. Chiamò il generale Johansson evitando al re di fare domande. "Converrete nella mia decisione di far riposare i soldati prima di imbarcaci per lo Sjaelland."

Il generale lanciò un'occhiata impacciata al suo sovrano, il quale sgranò gli occhi sbigottito. "Sa ... sarei d'accordo con voi, altezza, se Sua Maestà acconsentisse!"

"Conterà pure il mio parere" si oppose il re con finta aria arrendevole, rinunciando all'indignazione. Lei spostò lo sguardo su di lui e sbatté le palpebre con indifferenza.

"No"

Sbigottito il re, dunque, si indignò, sebbene la curiosità prendesse il sopravvento sulla sua moralità offesa. "Pensavo che foste impaziente di giungere a Roskilde!"

"Levon non scapperà dalla sua postazione e voi, maestà, siete stanco. La battaglia a Odense vi ha sfinito ma siete troppo orgoglioso perché lo ammettiate."

"Sono d'accordo con la principessa, sire" si permise di aggiungere Johansson.

Il re gonfiò le gote. "Stando così le cose, ci accamperemo qui stanotte!"

Soltanto la tenda del sovrano fu issata con i suoi stendardi. Cassandra preferì rimanere accanto al suo cavallo tra le proteste del sovrano. Dopo aver consumato un pasto veloce, si rilasso ai piedi di un albero a osservare i fuochi accesi e la distesa di soldati, ognuno di loro impegnato a fare qualcosa.

I raggi lunari si infiltrarono soavemente tra le maestose querce e i fitti abeti che padroneggiavano nella foresta. Nessuno, quella notte, riuscì a dormire. Il sapore amaro della battaglia che stava per giungere non dava tregua alla stanchezza.

Cassandra ripensò ai timori di padre Absalon. Levon era davvero protetto dalle forze del male. Le presenze oscure che aveva percepito quella notte attorno a lui l'avevano irrigidita. Osservò la spada che giaceva al suo fianco. Nessuno conosceva il suo reale potere, a parte lei. Come poteva esistere qualcosa di più potente? Strinse la mascella con convinzione: il male non poteva trionfare sul bene!"

CASSANDRA - La Leggenda del Custode - Vol.1  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora