6

2.7K 105 216
                                    

Le ultime dieci settimane sono passate talmente tanto in fretta che fatico ancora a capacitarmi di come siano già trascorsi tre mesi dal giorno in cui abbiamo iniziato il programma.

È proprio vero che, quando fai ciò che ti piace, non ti accorgi del tempo che vola. Tuttavia, devo ammettere che è stato veramente molto faticoso rimanere in ospedale per più della metà delle mie giornate tra un paziente e l'altro, specialmente perché non ho mai avuto un attimo di respiro.

Correndo sempre a destra e manca non sono riuscita a badare ad altro nella mia vita, nemmeno Victoria. L'appartamento, infatti, è un disastro, è tutto in disordine similmente a quando ci siamo trasferite. Ci vorranno ore e ore per farlo di nuovo splendere come all'inizio. Forse, solo adesso che stiamo iniziando a prendere il giro avremo la possibilità di dedicarci ad esso, però non so quanto ancora ci vorrà. Abituarsi a questi ritmi non è semplice.

All'Artemis General lavoriamo decisamente di più rispetto a quando la mia coinquilina ed io ci trovavamo a Boston per la Medical School, ed entrambe siamo arrivate alla conclusione che ciò sia dovuto al fatto che qui assistiamo anche agli interventi, oltre a prepararci per condurli. Prima giravamo perlopiù nel pronto soccorso per imparare la medicina di base.

Dio solo sa quanti prelievi del sangue e lastre abbiamo fatto e quanti punti di sutura abbiamo dato da due anni a questa parte. Mi viene la nausea solo a pensarci.

Non che ora sia cambiato qualcosa, però c'è da dire che a bilanciare questa routine infinita ci sono le ore in sala operatoria, le mie preferite.

Come ciliegina sulla torta, tra cinque minuti inizio la reperibilità dal momento che Victoria si è sentita poco bene ed è rimasta a casa. Non ho saputo dirle di no quando mi ha chiesto di sostituirla, soprattutto quando le ho visto gli occhi spenti, cosa che non è da lei.

Il turno di oggi, però, è stato infinito e stressante. Sono talmente stravolta da non avere nemmeno la voglia di tornare in appartamento. Perciò, dopo aver buttato nel cestino i guanti appena utilizzati per poter medicare sulla testa un signore anziano, mi dirigo subito nella prima stanza che trovo per riposarmi un po' e recuperare le energie perse.

Una particolarità di questo ospedale è la presenza di camere simili a quelle per i pazienti, ma leggermente più piccole e con qualche letto in più per permettere a chi è reperibile come me di dormire. Come dire di no a una tentazione del genere in una situazione come la mia?

Apro dunque la porta della stanzetta in penombra e, guardandomi attorno, noto due letti a castello molto semplici. Uno è già occupato in basso da una persona girata di lato con il volto verso il muro, mentre l'altro no e quindi per non far rumore lo raggiungo in punta di piedi dopo aver chiuso alle mie spalle la porta.

Mi siedo pertanto sul materasso, di cui percepisco immediatamente la morbidezza, e prima di coricarmi tolgo le scarpe, che lascio per terra.

Per stare comoda e alleggerire la divisa appoggio ancora il mio badge, il mio telefono e il mio cercapersone su un piccolo comodino lì vicino e per un po' me ne dimentico.

Mi infilo così sotto le coperte e in una frazione di secondo mi lascio andare alla sofficità del cuscino, che senza troppi indugi mi dà la piacevole e paradisiaca sensazione di trovarmi sulle nuvole. Sono convinta che non tornerò facilmente a casa dopo aver dormito in questa stanza.

A meravigliarmi, però, è il fatto che qui dentro, nonostante il trambusto sia all'ordine del giorno in reparto, non sento assolutamente nulla di tutto ciò. Infatti, il silenzio regna sovrano, tant'è che è addirittura assordante per le mie orecchie che non si sono ancora abituate. Per questo motivo, fatico ad assopirmi. Non ci voleva proprio.

Legame di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora