Le ultime dieci settimane sono passate talmente tanto in fretta che fatico ancora a capacitarmi di come siano già trascorsi tre mesi dal giorno in cui abbiamo iniziato il programma.
È proprio vero che, quando fai ciò che ti piace, non ti accorgi del tempo che vola. Tuttavia, devo ammettere che è stato veramente molto faticoso rimanere in ospedale per più della metà delle mie giornate tra un paziente e l'altro, specialmente perché non ho mai avuto un attimo di respiro.
Correndo sempre a destra e manca non sono riuscita a badare ad altro nella mia vita, nemmeno Victoria. L'appartamento, infatti, è un disastro, è tutto in disordine similmente a quando ci siamo trasferite. Ci vorranno ore e ore per farlo di nuovo splendere come all'inizio. Forse, solo adesso che stiamo iniziando a prendere il giro avremo la possibilità di dedicarci ad esso, però non so quanto ancora ci vorrà. Abituarsi a questi ritmi non è semplice.
All'Artemis General lavoriamo decisamente di più rispetto a quando la mia coinquilina ed io ci trovavamo a Boston per la Medical School, ed entrambe siamo arrivate alla conclusione che ciò sia dovuto al fatto che qui assistiamo anche agli interventi, oltre a prepararci per condurli. Prima giravamo perlopiù nel pronto soccorso per imparare la medicina di base.
Dio solo sa quanti prelievi del sangue e lastre abbiamo fatto e quanti punti di sutura abbiamo dato da due anni a questa parte. Mi viene la nausea solo a pensarci.
Non che ora sia cambiato qualcosa, però c'è da dire che a bilanciare questa routine infinita ci sono le ore in sala operatoria, le mie preferite.
Come ciliegina sulla torta, tra cinque minuti inizio la reperibilità dal momento che Victoria si è sentita poco bene ed è rimasta a casa. Non ho saputo dirle di no quando mi ha chiesto di sostituirla, soprattutto quando le ho visto gli occhi spenti, cosa che non è da lei.
Il turno di oggi, però, è stato infinito e stressante. Sono talmente stravolta da non avere nemmeno la voglia di tornare in appartamento. Perciò, dopo aver buttato nel cestino i guanti appena utilizzati per poter medicare sulla testa un signore anziano, mi dirigo subito nella prima stanza che trovo per riposarmi un po' e recuperare le energie perse.
Una particolarità di questo ospedale è la presenza di camere simili a quelle per i pazienti, ma leggermente più piccole e con qualche letto in più per permettere a chi è reperibile come me di dormire. Come dire di no a una tentazione del genere in una situazione come la mia?
Apro dunque la porta della stanzetta in penombra e, guardandomi attorno, noto due letti a castello molto semplici. Uno è già occupato in basso da una persona girata di lato con il volto verso il muro, mentre l'altro no e quindi per non far rumore lo raggiungo in punta di piedi dopo aver chiuso alle mie spalle la porta.
Mi siedo pertanto sul materasso, di cui percepisco immediatamente la morbidezza, e prima di coricarmi tolgo le scarpe, che lascio per terra.
Per stare comoda e alleggerire la divisa appoggio ancora il mio badge, il mio telefono e il mio cercapersone su un piccolo comodino lì vicino e per un po' me ne dimentico.
Mi infilo così sotto le coperte e in una frazione di secondo mi lascio andare alla sofficità del cuscino, che senza troppi indugi mi dà la piacevole e paradisiaca sensazione di trovarmi sulle nuvole. Sono convinta che non tornerò facilmente a casa dopo aver dormito in questa stanza.
A meravigliarmi, però, è il fatto che qui dentro, nonostante il trambusto sia all'ordine del giorno in reparto, non sento assolutamente nulla di tutto ciò. Infatti, il silenzio regna sovrano, tant'è che è addirittura assordante per le mie orecchie che non si sono ancora abituate. Per questo motivo, fatico ad assopirmi. Non ci voleva proprio.
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Legame di sangue
ChickLit[COMPLETA] Olivia Green è una ragazza orfana di madre e di padre, coinvolti in un incidente stradale quando ancora era piccola, ma questo di certo non l'ha fermata dal realizzare i suoi sogni. Lasciata Boston, si trasferisce a New York dove intrapre...