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Il suono della pioggia autunnale che batte sui vetri della mia camera mi risveglia dal sonno profondo in cui ieri sera sono crollata.

Ad accompagnarlo vi è il profumo inconfondibile di uova e bacon che aleggia nella stanza e mi invita ad alzarmi una volta per tutte dal letto. Chissà da quanto la cuoca starà preparando la colazione.

E, così, in pochi secondi sono già in piedi sulle mie gambe, con lo stomaco che brontola. Tuttavia, per poco non rischio di cadere da quanto il mondo gira attorno a me, devo dire un po' troppo velocemente per i miei gusti.

Quel vino deve essere stato abbastanza forte per farmi avere ancora qualche postumo della sbornia.

Meno male che oggi non lavoro.

Dunque, con la lentezza di un bradipo ma pur sempre facendo attenzione, mi trascino al di fuori di quelle quattro mura, dove per mia fortuna la luce è sempre fioca a causa del maltempo e quindi non mi acceca come, invece, mi succede sempre.

Il pensiero, intanto, ritorna a ieri sera e inevitabilmente a ciò che mi ha detto Alex e allo stesso tempo alla gentilezza con cui Nathan si è preso cura di me e della mia mano, ancora ben coperta dal cerotto ma comunque pulsante per il dolore.

Sono altamente confusa da tutto ciò. Può essere che il vino mi abbia dato allucinazioni e, in realtà, abbia semplicemente immaginato le parole di Alex e la dolcezza di Nathan? Da un lato non mi dispiacerebbe, ma dall'altro un po' di più.

Piano piano percorro il lungo corridoio nella penombra e finalmente raggiungo la cucina, dove non c'è più il disordine della cena ma l'isola apparecchiata per la colazione e ai fornelli non c'è la cuoca, ma Nathan.

Me lo sto sognando o sta realmente preparando da mangiare?

C'è un malfunzionamento in corso nel suo sistema, altrimenti non mi spiego tutto questo.

«Hai intenzione di rimanere lì impalata o di sederti?», mi chiede con il suo fare scorbutico.

Falso allarme, sta benissimo.

«Buongiorno anche a te», lo saluto ironica proprio come ieri Alex ha fatto con lui. Intanto, prendo posto.

«Di fianco al bicchiere ti ho messo un antidolorifico, ho pensato che potesse farti male la mano non appena sveglia», afferma accennando alla pastiglia davanti ai miei occhi.

«Grazie», sussurro grata buttandola subito giù con un po' d'acqua. «E grazie anche per avermi aiutata ieri sera», aggiungo dopo alzando la mano per fargli intendere ciò a cui mi riferisco.

«Eri ubriaca e ferita, era il minimo che potessi fare», risponde regalandomi un leggero sorriso che gli incurva le labbra, mentre spegne il fuoco e si avvicina a me per riempire il mio piatto e poi il suo con quanto ha cucinato.

Un certo calore mi si irradia nel petto nel vederlo sorridere e subito mi fa pensare che, forse, non è così scorbutico come vuole far credere di essere.

Tuttavia, questa sensazione si arresta nell'istante in cui ricordo la chiacchierata di ieri sera. Adesso che sono un po' più sobria dovrei chiedergli se è vera la storia dell'erede, eppure non voglio rovinare questo momento così idilliaco in cui sembriamo quasi amici.

«Stamattina ho ricevuto un'altra busta sui tuoi genitori, e quindi te l'ho lasciata sul comodino in camera mentre dormivi», afferma iniziando a mangiare. «La seconda che ti ho dato l'hai già aperta?», mi chiede ulteriormente.

«Ti ringrazio, e comunque non ancora», ammetto seguendolo nelle sue azioni.

Intanto, penso a lui che entra nella mia stanza a mia insaputa. Mi avrà guardata dormire? Stavo russando? Avevo la bocca aperta?

Legame di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora